La crisi che sta incendiando il mondo e l'Italia in queste settimane è la crisi del capitalismo. E' il fallimento di quel sistema economico fondato sulla libera circolazione dei capitali e sulla pretesa che i mercati possano autoregolarsi senza regole e controlli posti nell'interesse generale così come si è imposto negli ultimi trent'anni. Un sistema nel quale i profitti non nascono più essenzialmente dalla produzione reale di beni e servizi ma attraverso la speculazione finanziaria, i giochi di borsa, le 'scommesse' dei prodotti derivati. Un sistema che ha trasferito una rilevantissima quota della produzione industriale dall'Europa e dagli Stati Uniti nei Paesi con minor costo del lavoro e privi di garanzie sindacali e nel contempo ha comportato, nel mondo occidentale, il massiccio trasferimento di ricchezza dai lavoratori ai detentori del grande capitale. Un sistema che ha obbligato una consistente quota dei ceti medio-bassi europei ed americani ad indebitarsi per mantenere le proprie condizioni di vita. Afferma Giorgio Ruffolo in un'intervista a Valentino Parlato sul Manifesto:“A tre quarti del secolo scorso c'è stata una vera e propria mutazione. Siamo passati dal capitalismo manageriale al capitalismo finanziario. Il primo aveva accettato di subordinare le prospettive di profitto a una politica dei redditi che sanciva un compromesso storico tra democrazia e capitalismo, con il passaggio dalla massimizzazione alla normalizzazione del profitto. Oggi siamo tornati a un regime di esasperata massimizzazione del profitto e nel più breve periodo, con la conseguenza di una mostruosa esplosione delle diseguaglianze. Le conseguenze devastanti di quelle diseguaglianze sulla compressione della domanda sono state evitate ricorrendo massicciamente all'indebitamento, come dire ai posteri. Con la conseguenza di uno sfrenato aumento della liquidità. Alla vigilia della crisi, nel 2007, la liquidità mondiale aveva raggiunto un livello dodici volte superiore al prodotto reale mondiale, di qui la crisi che ha coronato la controffensiva capitalistica. La controffensiva capitalistica è iniziata negli anni '70 con il distacco del dollaro dall'oro ed è esplosa negli anni '80 con la liberalizzazione del movimento mondiale dei capitali, liquidando gli accordi di Bretton Woods, che garantivano, con le limitazioni al movimento dei capitali, le politiche macroeconomiche dei governi. Con la controrivoluzione tatcheriana e reaganiana sono stati ribaltati sia i rapporti di forza tra capitalismo e stati nazionali, sia quelli tra capitale e lavoro. E' finita quella che un grande storico marxista come Hobsbawn aveva definito l'età dell'oro.” Eppure sono proprio coloro che hanno provocato la malattia a pretendere ora di imporre la cura e di perseverare nelle stesse politiche che hanno condotto alla crisi.
L'euro è stato anche un tentativo (“l'idea non era male” scrive Guido Viale) attraverso cui l'Europa ha tentato di fronteggiare il nuovo quadro internazionale e difendersi dal declino mantenendo un peso e un ruolo nel mondo. Un tentativo però andato in crisi perché non accompagnato da una politica economica e fiscale comune, decisa da istituzioni democraticamente elette e non da burocrati, e perché non si è dotata la BCE di quei poteri e di quelle prerogative di politica monetaria che sono proprie di tutte le Banche centrali.
Finalmente l'Unione Europea, di fronte alla prospettiva di essere travolta (compresa la ricca e solida Germania) dal default di alcuni dei suoi Stati membri, ha preso la decisione che avrebbe dovuto prendere da tempo: garantire la solvibilità del debito dei paesi aderenti all'euro attaccati dalla speculazione, impegnandosi ad acquistare i titoli di Stato emessi da Grecia, Spagna, Italia. Un punto fondamentale (Paolo Ferrero) è però che l'acquisto dovrebbe avvenire direttamente dagli Stati emittenti senza passare per il mercato secondario (cioè attraverso le Borse dando così ulteriore alimento alla speculazione). Si può pensare che quanto sta avvenendo sia il frutto di un complotto pluto-giudaico-massonico o più modestamente della finanza anglosassone per affossare l'euro, pericoloso concorrente del dollaro e della sterlina, e per impossessarsi a costi di saldo dei ricchi asset industriali e patrimoniali dei Paesi in crisi. Oppure, a seconda delle preferenze, che l'euro sia stato proprio il disegno di quelle stesse forze per distruggere l'Europa. Personalmente mi pare più realistico ritenere che, in un mondo che si fonda unicamente sulla legge del più forte e sul diritto di depredare colo che non hanno la forza di difendersi, in questa giungla o savana selvaggia che è costituita dai meccanismi della finanza internazionale e del libero mercato, sia assolutamente consequenziale che iene e sciacalli si avventino sulle prede ferite e più deboli. Il default, il rifiuto di ripagare il debito, l'uscita dall'euro, il caos e la catastrofe che ne deriverebbe per tutti non sono scenari auspicabili. La BCE chiede ora legittimamente all'Italia, come condizione del proprio intervento, un piano realistico di riduzione dal debito. E' assolutamente inaccettabile però che possa dettare le misure concrete attraverso cui questo deve avvenire: privatizzazioni (vendita delle aziende pubbliche a partite da ENI, ENEL, Poste, Finmeccanica per finire alle municipalizzate, contraddicendo l'esito del recente referendum popolare), ulteriori riduzioni dei diritti dei lavoratori (estensione del precariato rendendo più facile i licenziamenti dei cosiddetti garantiti), attacco al welfare (sanità e pensioni). Ed è indegno che vi sia chi, come il profeta del libero mercato Mario Monti, plauda al commissariamento del governo italiano. Indegno per l'accettazione delle misure ingiuste ed inefficaci che vengono imposte (mentre non mi strapperei le vesti per la perdita di sovranità italiana): davvero si può continuare a ritenere che questo mondo sull'orlo dell'abisso, dilaniato dalle guerre, dove milioni di esseri umani muoiono di fame sia il migliore dei mondi possibili? E' (sarebbe) il compito di una Politica degna di questo nome affrontare e risolvere i problemi avendo come stella polare il bene comune: la vita delle persone conta più dei mercati. Berlusconi e i Tremonti, Brunetta, Sacconi che lo affiancano non sono l'origine e la causa di tutti i nostri mali, le dimissioni di questo governo non farebbero cessare d'incanto la crisi in cui ci troviamo, ma certo sono del tutto inadeguati, per capacità ed integrità morale, a contrastarla ed in questo momento sono la peggiore iattura possibile per l'Italia. Speranze maggiori peraltro non vengono dalle opposizioni e dal PD in particolare che chiede di 'riequilibrare' la manovra ma non di stravolgerne la logica. I provvedimenti che vengono prospettati, facendosi scudo e con l'alibi dell'Europa, pongono tutto il peso del (preteso) risanamento sui ceti popolari ed i lavoratori, si apprestano a privare l'Italia di quella residua presenza pubblica nell'economia che è fondamentale per indirizzare l'evoluzione economica ed industriale del Paese e consentirgli di conservare un ruolo mondiale di primo piano. Modificare la Costituzione poi per inserirvi l'obbligo del pareggio è un errore fatale (Romano Prodi: “Ed è sbagliato inserire l'equilibrio di bilancio come obbligo costituzionale perché …. vi possono essere tempi … nei quali non è pericoloso ma utile per lo sviluppo del paese avere deficit di bilancio …. “). Cosa succederebbe se ci si dovesse trovare a fronteggiare una disastrosa catastrofe naturale: si rinuncerà alla ricostruzione perché la Costituzione impedisce di finanziare in deficit le necessità impreviste? La strada forse per l'Italia (un paese che detiene riserve auree per un valore di oltre cento miliardi di euro, tra le più ingenti al mondo) non sarebbe poi così difficile: il bacino a cui rivolgersi con determinazione e ferocia è quello delle centinaia di miliardi di euro dell'evasione fiscale e delle attività in nero, del fatturato delle economie criminali, della corruzione, dei privilegi e delle rendite parassitarie (nessuno che parli mai dei miliardi di euro regalati ogni anno al Vaticano), dei costi della politica intesi non come ragionevoli oneri dello Stato per il funzionamento delle istituzioni democratiche ma come iniqui privilegi di cui godono gli esponenti dei partiti (e dei sindacati). A nessuno è venuto in mente di operare una tassazione straordinaria sui capitali (85 miliardi di euro) rientrati con lo scudo fiscale pagando una misera sanzione del 5 per cento? E con un patrimonio privato che ammonta a diverse volte l'intera entità del debito pubblico e che si concentra nelle mani di una esigua percentuale della popolazione (il 10 per cento detiene il 45 per cento della ricchezza secondo le stime riportate da Banca d'Italia), un'imposizione patrimoniale appare una misura logica ed equa. Lo stesso vale per la più volte proposta ma mai attuata tassa sulle transazioni finanziarie.Ci sono poi da tagliare le spese militari e ritirare le missioni di guerra all'estero per recuperare altre risorse.Le misure adottate e di cui ora si vogliono anticipare i tempi di attuazione non servono nemmeno, come affermano molti osservatori ed ammette lo stesso Monti, alla crescita: agognata da tutti o quasi, certo condizione ragionieristicamente indispensabile per riequilibrare i conti pubblici, ma che appare sempre più obiettivo privo di senso in un mondo saturo delle produzioni di beni di consumo e che è ormai al limite della possibilità di utilizzo delle risorse naturali. Questa crisi deve essere l'occasione di ripensare e riprogettare (in Italia ed in Europa) l'economia e la società in cui viviamo. Mettere in sicurezza i conti pubblici non basta, è necessario mettere in sicurezza l'esistenza delle persone, garantendo a tutti ciò che indispensabile per vivere: un reddito minimo garantito, la casa, l'accesso ad istruzione e cultura, la sanità, le comunicazioni.Questo rappresenterebbe la risposta alla povertà e alla precarietà, consentirebbe di aumentare il potere di spesa degli individui (non è questa la condizione della crescita?) senza compromettere la competitività delle imprese, restituirebbe slancio e fiducia alle persone e alla loro capacità di iniziativa e di impresa. Crescita dovrebbe significare ora trasferire risorse dal consumo di beni individuali (automobili, elettronica, combustibili fossili) allo sviluppo di beni collettivi ad alta intensità di lavoro: scuola, cultura, ambiente, sanità, infrastrutture sostenibili, energie rinnovabili. Sviluppo da accompagnare con un nuovo e straordinario impulso alla ricerca, con la moralizzazione della vita pubblica, con l'efficientamento dell'apparato burocratico pubblico. Per tutto questo servirebbe una grande mobilitazione dei cittadini, dei movimenti, degli intellettuali e dare alle lotte per l'uguaglianza e la giustizia un respiro europeo. Servirebbero sindacalisti e politici onesti e non compromessi in questo sistema. Le decisioni verranno prese in questi giorni, sfruttando la disattenzione degli italiani durante il mese di agosto: che senso ha, in questo scenario, pianificare per il prossimo 1° ottobre l'avvio di azioni di lotta?E' inevitabile dunque, guardando alla concreta situazione italiana, il pessimismo. Così Ilvo Diamanti: “ … dubito che gli italiani siano davvero in grado di affrontare la sfida di questo momento critico. Al di là delle colpe altrui, anche per propri limiti. Perché non hanno - non abbiamo - più il fisico e lo spirito di una volta. Perché oggi essere familisti, localisti, individualisti - e furbi - non costituisce una risorsa, ma un limite. Perché la sfiducia nello Stato e nelle istituzioni, oltre che nella politica e nei partiti: è un limite. (E non basta la fiducia nel Presidente della Repubblica a compensarlo.) Perché l'abbondanza di senso cinico e la povertà di senso civico: è un limite. Perché se a chiederti di cambiare è un governo fatto di partiti personali e di persone che riproducono i tuoi vizi antichi: come fai a credergli? “ E Grillo: “Ci sarà forse un giorno un cantore, un nuovo Pasolini, che racconterà ai nostri nipoti il diario del grande saccheggio, di quando il Bel Paese fu depredato e ridotto ad appendice politica e economica del mondo. Spiegherà come eravamo e come avremmo potuto essere. Lo farà con i paesaggi scomparsi, con le intelligenze disperse in una moderna diaspora, con industrie di cui rimane solo il nome, con una democrazia tradita. Forse si avventurerà in una ricerca dei responsabili di una tale piaga. Ma non ci sono responsabili. La colpa è di un morbo che ha avvelenato la mente di uno dei popoli più brillanti mai esistiti e che non sa più chi è. Che vaga come un cieco nella notte e se lo prendi per un braccio per accompagnarlo sulla strada si ritrae e ti insulta. Non è cieco, quello che deve vedere lo sa bene. Non ci sono cure per questa malattia che non vengano da sé stessi.” Oppure bisogna coltivare l'ottimismo e provare intanto a costruire dal basso, tutte insieme le persone di buona volontà e come indicano Guido Viale e Jacopo Fo, un'economia solidale e partecipata ed un modello sociale alternativo?
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