-
L’Onu e le Private Military Security Company (PMSC)
In un’interrogazione del 2011 Pino Arlacchi, Rita Borsellino, Gabriele Albertini, Mario Pirillo e altri chiedevano al Parlamento Europeo strumenti giuridici più completi ed efficaci a livello internazionale (testo e risposta qui) .
L’Evoluzione: la privatizzazione della guerra
L’espansione delle PMSC risale agli anni ’90, ma i mercenari sono tornati più recentemente nella cronaca durante la rivolta in Libia in funzione di propaganda anti-Gheddafi, tacendo la massiccia componente di contractors nelle milizie ribelli.
Il continente Africa è la zona planetaria d’elezione per il business delle guerre privatizzate. L’instabilità dei governi, inoltre, induce le multinazionali a far ricorso alle compagnie militari per la sicurezza degli impianti e delle zone di sfruttamento delle risorse naturali. Pentagono e Dipartimento di Stato ricorrono alle PMSC appaltando servizi militari logistici e d’intelligence, combattimento e spionaggio, ogni volta in cui risulterebbe impopolare la presenza dell’esercito regolare degli Stati Uniti.
La privatizzazione della guerra sfugge alle normative internazionali e, accanto alle attività belliche e alle azioni mirate a neutralizzare personalità designate dal committente, le PMSC offrono una varietà di servizi: preparazione al conflitto e consolidamento dell’obiettivo, monitoraggio della cessazione delle ostilità e delle elezioni, sminamento, repressione delle insorgenze popolari, consulenza per la formazione degli eserciti, addestramento di truppe regolari, polizia, corpi militari d’élite.
Il potere e gli introiti delle PMSC non derivano soltanto dai contratti con governi e organizzazioni internazionali. Il gruppo di lavoro Onu diretto da Enrique Bernales Ballesteros, ha rilevato la presenza di mercenari in attacchi terroristici e il loro coinvolgimento nelle attività che servono a finanziarli. L’uso delle compagnie private nei conflitti interni in Africa, si ricordi la repubblica Democratica del Congo, le mette a contatto con il network internazionale del crimine, dalle armi alla droga, e un inesauribile flusso di denaro entra nelle casse delle compagnie.
Pino Arlacchi, sociologo ed esperto in materia di sicurezza
“Oggi i «contractors» operano attraverso agenzie utilizzate il più delle volte da multinazionali e
.
I Giganti : Academi & altre Company
Le maggiori compagnie del settore sono Sandline e Gurkha S. G. della Gran Bretagna; con la fine di Executive Outcomes di Pretoria, il Sud Africa intraprende con la gran Bretagna la Erinys International, con sede a Dubai.
CACI e L-3 ( compagnie responsabili delle torture nelle carceri di Abu Ghraib) sono americane
Un’idea del potere condizionante che esse esercitano sui governi si è avuta lo scorso anno.
Nell’agosto 2012 la Academi era stata condannata a pagare 7,5 milioni dollari in multe, ma nel febbraio 2013 la gran parte viene revocata con la motivazione “i contractors agivano agli ordini del governo degli Stati Uniti”.
Fra i committenti (o proprietari?) di Academi compare anche il flagello planetario Monsanto.
La Silpres Group, che ha una sede a Livorno sotto la sigla E.P.T.S, è molto attiva in Libia, in Sud-Africa e ovunque la strategia del business richieda sicurezza e intelligence.
Lo status internazionale dei contractors
Per chi aspira a diventare mercenario in zone di conflitto, è importante sapere che la Convenzione di Ginevra del 1949, Protocollo Aggiuntivo 8 giugno 1977, all’Art. 47 comma 1 è lapidaria “Il mercenario non ha diritto allo statuto di combattente o di prigioniero di guerra” (1*).
In zona di conflitto il combattente per una compagnia privata agisce al di fuori della catena di comando ufficiale lungo la quale scorrono i livelli di responsabilità; vi è da supporre che la sicurezza personale in caso di cattura o ferimento finisce per essere materia di contrattazione tra la compagnia stessa e la controparte che detiene il prigioniero ed entro l’ambito dell’importanza conferitagli o alla necessità di preservarne la segretezza della presenza nel teatro del conflitto.
Per la legalizzazione dell’attività ci sono i paesi che tacciono, altri che adottano norme. Si va dall’Austria, che fa decadere la cittadinanza a chi si arruola in compagnie di mercenari, all’Italia, che vieta l’arruolamento in compagnie straniere. Il Sud Africa legalizza la professione per “missioni umanitarie”, mentre gli USA conferiscono la licenza di uccidere.
La Svizzera aveva finora regolamentato una sola compagnia di mercenariato: le Guardie in Vaticano. Nelle scorse settimane il Consiglio federale ha proposto la legge concernente le prestazioni di sicurezza che le compagnie elvetiche (comprese le holding che controllano compagnie straniere) forniscono all’estero. Dovranno rendere conto alla Confederazione delle attività, ottemperare a regole e accettare controlli, rispettando il divieto assoluto di partecipazione a conflitti che influiscano sulla neutralità internazionale della Svizzera.
Tornando all’Italia, che non legalizza le compagnie militari private, le attività di contrasto alla pirateria marittima sono compito dei Nuclei Militari di Protezione (NMP) della Marina Militare, secondo il Decreto Legge 12.07.2011 n° 107 che conferisce agli appartenenti ai Nuclei compiti di polizia giudiziaria. Per la verità, ufficialmente si è optato per un sistema di sicurezza integrato pubblico-privato, ma in concreto è operativa solamente la componente militare NMP. Il caso dei “due marò” , che oppone l’Italia all’India, ha assunto la gravità che conosciamo precisamente dall’ utilizzo di personale militare per servizi di sicurezza commissionati da privati.
La giornata del mercenario
C’è il bodyguard che come un’ombra seguirà un magnate o starà a guarda di un impianto. Altri spianeranno le armi verso bande di rapinatori oppure contro schiavi di piantagione o di miniera per impedire loro la fuga. Alcuni su navi mercantili avvisteranno i pirati oppure si aggireranno, inosservati, fra i passeggeri di una nave da crociera per individuare eventuali terroristi. Situazione variamente impegnative, a volte decisamente dure, ma che non impediranno un reinserimento senza eccessivo disagio nella vita civile.
Chi agisce in zona di conflitto, invece, scopre una vita agli antipodi delle fiction tv e delle descrizioni che fanno nei siti le PMSC. Ci sono aspetti che non vengono esplicitati in fase di reclutamento, fase nella quale è l’aspirante a dover dimostrare di possedere i requisiti. Ai corpi militari combattenti si accede, infatti, con un passato militare di vasta esperienza e le opportunità più lautamente retribuite sono appannaggio di chi proviene dai reparti speciali.
Dopo l’ingaggio, il mercenario scoprirà di non potersi permettere quesiti etici (il palazzo che ho l’ordine di far saltare è un covo di terroristi o un orfanotrofio?). Dovrà colpire i connazionali se la sua PSMC è stata ingaggiata per ucciderli. Non dovrà aspettarsi il giudizio di una Corte Marziale per eventuali obiezioni dell’ultimo minuto, perché l’obbedienza non avrà alternative. Racconta un bosniaco ex-mercenario: “Amico, tu non conosci il significato della parola tortura. Se non fai quello che ti dicono, caput caro amico”.
Le PMSC possono essere tanto uno strumento per la sicurezza di persone, impianti e altro, quanto un mezzo per molteplici, evidenti o nascoste, sopraffazioni. Tale ambiguità richiede una disincantata consapevolezza e lucida assunzione di responsabilità a coloro che si sentono attratti dalla professione.
Memorie: John Banks e Stefano Delle Fave
Non è molto comune che un mercenario racconti le vicende vissute. Il segreto appartiene alla durata dell’ingaggio, ma si perpetua nel tempo perché le verità sono generalmente troppo sconvolgenti perché siano ascoltate. E confrontate con le versioni ufficiali “aggiustate” rilasciate dai Governi, dall’Onu, a volte perfino dalle organizzazioni per i diritti umani (Libia e Siria).
Un caso autobiografico importante è quello di John Banks. Inglese e fratello di un mercenario nel Katanga, congedatosi dall’esercito è entrato al servizio della CIA per operazioni in Europa e al di là della “cortina di ferro”. Nella sua attività sovversiva spicca la partecipazione negli anni ’70 a operazioni segrete per la destabilizzazione della Libia,dove, con la rivoluzione del 1969, al potere era appena salito Gheddafi.
Il caso italiano che è arrivato alla notorietà è Diavolo Rosso, Roberto delle Fave , diventato mercenario “per caso” dopo l’arrivo in Bosnia come reporter. Può sembrare ora, con il suo allevamento di serpenti, un personaggio pittoresco, ma le sue memorie sono raccapriccianti. La sua storia è raccontata nel film biografico, con molti spezzoni di reportage Rai, diretto da Erion Kadilli, “Sono stato Dio in Bosnia”. Vita di un mercenario”.
La vicenda di Delle Fave, fondatore della milizia dei Cigni Neri, s’intreccia con quella di Xavier Gautier, il reporter ucciso per aver denunciato il traffico d’armi alle varie bande, con quella di Arkan, il serbo capo delle Tigri. Costeggia i tanti finanziatori italiani, privati o partiti politici, che sostenevano una fazione contro le altre, è forse contigua ai Servizi Segreti italiani e all’agguato a cinque nostri connazionali che portavano aiuti alla popolazione; due soli poterono salvarsi.
Il personale inferno bosniaco, Dobrinja, sobborgo di Sarajevo, è stato il gorgo da cui la mente emerse trasformata. Nella città assediata dai serbi il suo gruppo scava un tunnel per evacuare la popolazione: “Credevo di far fare un’uscita in grande di 7000 profughi croati …non ne abbiamo fatti uscire nemmeno una quarantina” . Le intese non contano nulla nei conflitti “sporchi” e quel tunnel della salvezza mancata servirà poi per nascondere terroristi internazionali, fare entrare in città armi, ragazze e bambini da vendere o da violentare.
Il post del 2012 Africa, vita da mercenario è un evergreen di questo blog.
Il gran numero di visite segnala una sorprendentemente diffusa aspirazione alla “carriera” nel business mondiale della “sicurezza”.
Il fenomeno esiste da sempre ed occorre conoscerne l’evoluzione nei tempi moderni.
(1*)
il link dell’immagine rimanda al documento con cui il Senato italiano
ha ratificato la Convenzione di Ginevra e il Protocollo aggiuntivo