Magazine Pari Opportunità

I miei #GenitoriFuoriDagliStereotipi

Da Bambolediavole @BamboleDiavole

Quello che sto per scrivere non è nessuna storia riguardante i miei figli e le loro simpatiche evasioni.

Pargoletti ancora non ne ho e non so se mai ne arriveranno.

Quello che voglio raccontarvi riguarda me e di come io abbia vissuto la mia infanzia e adolescenza.

Attualmente sfioro la trentina, ho una laurea e cerco un lavoro.

Sin da piccola sono stata caratterizzata da un caratterino abbastanza vivace. Una piccola battagliera che, al fine di mitigare o comunque tenere più sotto controllo, è stata sbattuta in un istituto di monache all’età di 6 anni, esperienza che tutto sommato, per quante se ne dicano, per me non è stata negativa.

Con i miei compagni e compagne  infatti eravamo liberi di giocare con quello che volevamo, nel salone comune dove facevamo solitamente ricreazione c’erano dei mega cassoni pieni di vecchi giocattoli e tutti potevamo scegliere quello che più ci piaceva. Giocavamo a guardie e ladri, acchiapparello, nascondino e quando bisognava preparare i lavoretti per le varie festività capitava di vedere ricamare a punto e croce le fanciulle così come i fanciulli. Se ci dividevamo in squadre si utilizzavano colori come il rosso o il blu – nessuna distinzione in rosa e azzurro- e i grembiuli erano per tutti di uno smorto azzurro pallido. Sembra che stia parlando di fantascienza ma in realtà è quello che accadeva realmente quasi 25 anni fa in una scuola cattolica del profondo sud. Ma non preoccupatevi, a parte queste cose, avrei 1001 buoni motivi per sconsigliarvi vivamente un istituto gestito da suore.

Sin da piccola ho sempre potuto scegliere da sola i miei giochi. Avevo infiniti tipi di bambole e bambolotti, servizi di finte pentole da far invidia al corredo di una sposa di fine 800, la casa di Barbie, la macchina da cucire, gira la moda, ecc ecc… ma avevo anche macchinine, dinosauri, Action Man, mille tipi diversi di costruzioni, il Castello della Fisher Price con tanto di catapulte e via dicendo. Non ho mai sentito dire dai miei genitori: “Tu questo non lo puoi fare perché sei una femminuccia”, anzi questa frase è sempre stata ricorrente ma detta da persone esterne  alla mia famiglia, che, chissà per quale assurdo motivo, si sentivano in dovere di riprendermi nel momento in cui mi vedevano ritornare a casa con le ginocchia sbucciate e tutta sudata dopo aver giocato a un qualcosa che ricordasse vagamente il calcio.

Amavo fare “esperimenti”, quelli banalotti tipo mischiare bicarbonato e aceto per intenderci, e avevo un sacco di libri a riguardo per poter imparare. Ebbi pure la fase dell’ ”inventrice”, che consisteva nello smontare e rimontare l’impossibile, e non fui ostacolata neanche qui.

Sono sempre stata sostenuta e supportata e nessuno mi ha mai obbligato ad avere un determinato atteggiamento o comportamento solo perché nata “femmina” – manco fosse una terribile malattia-  o perché “le brave bambine fanno così”.

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Da piccola odiavo indossare le gonne e quando qualcuno mi rimproverava dicendomi: “Sei una femminuccia, le femminucce indossano le gonne” andavo da mio padre che mi diceva di lasciarli stare e che se la gonna non la volevo mettere ero liberissima di farlo.

Spesso da piccola ho visto amiche e amici costretti a fare rispettivamente danza o calcio perché così era “giusto” ed ero quasi terrorizzata di chiedere ai miei genitori di fare sport. Buona parte delle mie amiche faceva danza, era una sottospecie di rito di iniziazione, la “brava bambina” doveva fare sport “femminili” e la danza, secondo lo stereotipo comune, pare che lo sia.  Fu così che, supportata dai miei genitori,  mi dedicai alle arti marziali, e nonostante siano passati tanti anni le pratico ancora, anche se all’inizio ho dovuto sopportare le continue critiche di chi vedeva il mio sport come un qualcosa di sbagliato in quanto ritenuto maschile.

Quindi quello che mi sento di consigliare è di lasciare liberi i propri figli e le proprie figlie, liber* di essere se stess*, di potersi esprimere come vogliono e soprattutto di non obbligare loro degli atteggiamenti o dei comportamenti che dovrebbero avere in quanto maschi o femmine. Pensate infatti a  quanto sia fastidiosa la frase: “I maschi non piangono, non sei mica femminuccia”. Fastidiosa ma soprattutto sessista poiché si vanno ad imporre subdolamente dei ruoli: il maschio forte, la femmina debole.

E nessun bambino o bambina dovrebbe sentire il peso dei ruoli che la società ci vuole imporre.

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