"... e poi, la cosa forse di minor valore ma che consideravo più bella: una cartolina d’Auguri di Natale che mi aveva spedito il signor Vecchio, infilata in buca con sobrio svolazzo dal Nureyev ciclista in una mattina di lieve nevischio. Era stata indirizzata proprio a me, “al piccolo Corradino…”, da questo fantomatico signor Vecchio, che doveva essere una specie di amico di famiglia milanese, più amico di zia Trude e di nonna Corinna che non dei miei genitori, e che non ricordavo d’aver incontrato mai. Non era una cartolina di quelle lucide, plastificate, ma un cartoncino poroso e fragile come carta assorbente, con disegnata una piazzetta di città. C’erano la fontana e la neve e l’orologio su una torre, e tutt’intorno bambini, mamme, innamorati, cagnolini, in colori pastello delicati e vivaci, e tutto era curato nei minimi particolari, dalle sciarpe, ai guanti, ai berretti. Attraverso le finestre baluginavano luci arancioni, tiepidi fuochi di nidi felici dove nessuno picchiava nessuno. In mezzo alla fontana c’era un totem di pietra con un orso ritto sulla cima, e dietro il totem una grande casa verdolina col tetto spiovente come nei Paesi del nord – ma la cosa più emozionante, guardandola, era che la scena non era finita, non chiusa. Alla base della torre dell’orologio, con le lancette che segnavano le cinque di un sacro pomeriggio d’inverno, era incavato un arco di cui vedevi poco più di metà, e oltre l’arco potevi scorgere un vicolo fiancheggiato da tanti altri palazzi dai colori confetto, giallini, rosa, azzurri, violetti… Ti ci potevi perdere dentro, e fantasticare di storie, d’amori corrisposti, d’inaspettati incontri.Sul retro, oltre all’indirizzo col mio nome e al francobollo da 25 lire, c’era, a sinistra, la scritta “S. Natale ‘70”, e un breve messaggio d’auguri più convenzionale, che affettuoso. Come se indirizzarlo al bambino fosse stato un garbato espediente, e il testo formalmente rivolto a conoscenti di poca o nulla importanza. Non ricordavo niente delle impressioni che poteva aver suscitato in me quando l’avevo ricevuta, e nemmeno il momento preciso in cui avevo deciso di sottrarla dal mucchietto di cartoline di famiglia, tenerla da parte e conservarla con cura. Sapevo solo che la trovavo commovente. Commovente che questa persona sconosciuta avesse fatto per me un gesto tanto gentile, anche se il messaggio freddo e striminzito smentiva un poco, in maniera incomprensibile, la dolcezza d’averla indirizzata “al piccolo Corradino”, e la struggente bellezza del disegno. Non mi era possibile stabilire neanche lontanamente che faccia potesse avere questo ignoto signore. Per quel che ne sapevo poteva essere un trentottenne calvo e sbarbato e dall’aspetto sgradevole, ma il fatto che si chiamasse “signor Vecchio”, e che mi avesse mandato una cartolina d’Auguri per le festività invernali, mi faceva pensare a lui come a un tenero Babbo Natale dalla barba bianca."
I miei tagli da "gémenteseflentes": la cartolina del signor Vecchio nella primissima stesura.
Creato il 23 dicembre 2013 da Zioscriba"... e poi, la cosa forse di minor valore ma che consideravo più bella: una cartolina d’Auguri di Natale che mi aveva spedito il signor Vecchio, infilata in buca con sobrio svolazzo dal Nureyev ciclista in una mattina di lieve nevischio. Era stata indirizzata proprio a me, “al piccolo Corradino…”, da questo fantomatico signor Vecchio, che doveva essere una specie di amico di famiglia milanese, più amico di zia Trude e di nonna Corinna che non dei miei genitori, e che non ricordavo d’aver incontrato mai. Non era una cartolina di quelle lucide, plastificate, ma un cartoncino poroso e fragile come carta assorbente, con disegnata una piazzetta di città. C’erano la fontana e la neve e l’orologio su una torre, e tutt’intorno bambini, mamme, innamorati, cagnolini, in colori pastello delicati e vivaci, e tutto era curato nei minimi particolari, dalle sciarpe, ai guanti, ai berretti. Attraverso le finestre baluginavano luci arancioni, tiepidi fuochi di nidi felici dove nessuno picchiava nessuno. In mezzo alla fontana c’era un totem di pietra con un orso ritto sulla cima, e dietro il totem una grande casa verdolina col tetto spiovente come nei Paesi del nord – ma la cosa più emozionante, guardandola, era che la scena non era finita, non chiusa. Alla base della torre dell’orologio, con le lancette che segnavano le cinque di un sacro pomeriggio d’inverno, era incavato un arco di cui vedevi poco più di metà, e oltre l’arco potevi scorgere un vicolo fiancheggiato da tanti altri palazzi dai colori confetto, giallini, rosa, azzurri, violetti… Ti ci potevi perdere dentro, e fantasticare di storie, d’amori corrisposti, d’inaspettati incontri.Sul retro, oltre all’indirizzo col mio nome e al francobollo da 25 lire, c’era, a sinistra, la scritta “S. Natale ‘70”, e un breve messaggio d’auguri più convenzionale, che affettuoso. Come se indirizzarlo al bambino fosse stato un garbato espediente, e il testo formalmente rivolto a conoscenti di poca o nulla importanza. Non ricordavo niente delle impressioni che poteva aver suscitato in me quando l’avevo ricevuta, e nemmeno il momento preciso in cui avevo deciso di sottrarla dal mucchietto di cartoline di famiglia, tenerla da parte e conservarla con cura. Sapevo solo che la trovavo commovente. Commovente che questa persona sconosciuta avesse fatto per me un gesto tanto gentile, anche se il messaggio freddo e striminzito smentiva un poco, in maniera incomprensibile, la dolcezza d’averla indirizzata “al piccolo Corradino”, e la struggente bellezza del disegno. Non mi era possibile stabilire neanche lontanamente che faccia potesse avere questo ignoto signore. Per quel che ne sapevo poteva essere un trentottenne calvo e sbarbato e dall’aspetto sgradevole, ma il fatto che si chiamasse “signor Vecchio”, e che mi avesse mandato una cartolina d’Auguri per le festività invernali, mi faceva pensare a lui come a un tenero Babbo Natale dalla barba bianca."
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