12 film. Hitchcock, Billy Wilder, Steve McQueen, Peter Weir, Ozpetek. E molti altri, e molto altro.
Shame di Steve McQueen, La effe, ore 0,00.
Baby Love di Vincent Garenq, Rai Movie, ore 22,55.
Film francese del 2008, discreto successo in patria e da noi passato invece sotto silenzio, che in chiave di commedia garbata e caruccia affronta il tema della paternità gay, un po’ prima che la faccenda diventasse una delle issue più calde nelle agende politiche d’Occidente. Con un plot elementare ed esemplare, acciocché i termini della questioni siano posti e messi in racconto nella massima chiarezza. Siamo a Belleville, e già la location è un inno al multikulti e alla mescolanze di ogni differenza e diversità. Emmanuel e Philippe sono una coppia omosessuale tranquilla e di, pare, raggiunta felicità. Senonché Emmanuel detto Manu si scopre un’irrefrenabile voglia di paternità, mentre il compagno di bambini in casa non ne vuole sapere. Poi il caso dà una mano a Manu, facendogli incontrare una ragazza argentina che potrebbe diventare quella che orribilmente vien chiamata madre surrogatoria o, peggio ancora, utero in affitto (è la glacialità della terminologia medica a rivelare tutta la pesantezza di siffatte situazioni mascherate e addolcite spesso dalla falsificante lingua delle emozioni). A lei serve un matrimonio per avere la cittadinanza, a lui un figlio, e l’accordo è fatto. Ma la cosa avrà sviluppi imprevisti. Una commedia che cerca di dare ogni colpo possibile a ogni cerchio e ogni botte, dando un po’ ragione al gay voglioso di paternità e un po’ alla donna-utero in affitto che rivendica il suo diritto di madre. Un finale che tutto accomoda con gran paraculaggine, lasciando aperte le domande più scottanti e perfino sanguinose. Ma è il cinema bellezza. Con Lambert Wilson e Pascal Elbé, una di quelle coppie gay perfettine come si vedono solo nella finzione. Titolo originale che è già un messaggio, Comme les autres, Come gli altri. Regia di Vincent Garenq.
L’attimo fuggente di Peter Weir, iris, ore 21,02.
O capitano! Mio capitano! Io non l’ho mai amato, che ci posso fare (lo segnalo per, diciamo così, dovere di cronaca). Uno dei film a più alto rischio di retorica della storia del cinema. Robin Williams, Ethan Hawke, Robert Sean Leonard. Dirige Peter Weir.
Il signore e la signora Smith, di Alfred Hitchcock Rete Capri, ore 21,00.
Credo che anche gli hitchockiani più indefessi e informati lo conoscano, poco, o non lo conoscano per niente, questo film del 1941, di un Sir Alfred già approdato in America dalla nativa Inghilterra, e che è (mi pare) l’unico suo non thriller. Niente assassini e assassinii, niente misteri da svelare. Solo commedia, pura commedia di quelle sofisticate e di sottile guerra tra i sessi come si usava allora, tra Cukor, Howard Hawks e Preston Sturges (e Lubitsch, of course). Genere per il quale Hitchcock mostra di averci la mano e la vocazione (immettendoci anche un po’ della sua naturale crudeltà), e difatti brandelli di commedia e rom-com emergeranno in molti suoi film successivi, da La finestra sul cortile a Caccia al ladro. La coppia del titolo – il cui nome già denuncia il suo farsi simbolo della medietà americana – scopre dopo anni che il proprio matrimonio non è valido a causa di un vizio di forma. A quel punto, liberi dal vincolo, marito e moglie si daranno alla scoperta di nuove storie, lui con più avventure, lei con un ex compagno di scuola ora socio del non-marito. Immaginate come finirà. Film prodotto dalla Rko su misura della sua protagonista, la signora della sophisticated comedy Carole Lombard, bellezza e classe inarrivabili. La controparte maschile è Robert Montgomery.
Saturno contro di Ferzan Ozpetek, Canale 5, ore 23,30.
Appuntamento imperdibile per i fan di Ferzan Ozpetek, che sono legioni (lo so bene io, che avendo scritto maluccio del suo ultimo Allacciate le cinture e del suo penultimo Magnifica presenza, mi sono visto arrivare non pochi commenti inferociti di ozpetekiani duri e puri). Questo Saturno contro del 2007 è forse il suo maggiore successo commerciale insieme a Mine vaganti, sugli 8-9 milioni di euro, mica pochi per un film più di situazioni e caratteri che di trame e forti narrazioni. Molto, molto alla Ozpetek comunque, anzi quasi un manifesto del suo cinema e della sua visione romanocentrica (ma di una certa Roma) del mondo. Bel titolo, bisogna ammettere: “Hai Saturno contro”, per dire che il pianeta lento lassù da qualche parte del cosmo ti sta creando difficoltà. Effettivamente, i personaggi di questo rondò esistenziale sono tutti sospesi tra piccola felicità e piccole infelicità, con slittamenti verso le seconde. C’è un padrone di casa, Davide, alla cui tavola si raccoglie un gruppo di amici di varia umanità. La coppia lei-lui, con lui innamorata di un’altra. La coppia lui-lui, e uno dei due è l’ex fidanzato di Davide. Una coppia italo-turca. Una single con qualche problemuccio con le sostanze alteranti. Uno di loro starà male all’improvviso, e questo farà precipitare nevrosi, ansie, frustrazioni, angosce, anche solidarietà inaspettate. Io, che non sono un devoto del regista stanbuliota-romano, trovo che non sia male, e un buon concentrato del suo cinema. Attori tutti in parte: Pierfrancesco Favino, Stefano Accorsi, Margherita Buy, Filippo Timi, Luca Argentero, Ennio Fantastichini, Isabella Ferrari, Serra Yilmaz, più un’Ambra Angiolini qui inventata attrice da Ozpetek, e che grazie a Saturno contro, oltre che vincere parecchi premi, avvierà una buona carriera cinematografica.
Viale del tramonto di Billy Wilder, Rai Movie, ore 0,35.
Capolavoro, capolavorissimo. Uno dei 10-film-da-salvare di tutti i tempi. Requiem sulla Holywood Babilonia. Cerimonia funebre e cimiteriale del divismo com’era e del sogno del cinema (del sogno americano, del cinema americano). Tutte le ombre e le penombre della Mitteleuropa e degli espressionismi weimeriani scese a inghiottire Hollywod grazie alla presenza di Erich Von Stroheim, testimonianza vivente all’interno del film, di un mondo e di mondi scomparsi, e del fuggiasco da Vienna e Berlino Billy Wilder dietro la macchina da presa. Con uno degli incipit più famosi di sempre, con un morto che parla galleggiante nell’acqua di una piscina. Da lì, da quella voce si dipana à rebours la storia. Che è la storia di un giovane soggettista-sceneggiatore di Hollywood assai ambizioso e assai spiantato che si ritrova per caso nella villa di quella che fu la massima diva del cinema muta, Norma Desmond. La quale in quel suo eremo-santuario (del proprio culto), e quasi mausoleo, ora vive rinchiusa, come tumulata. Circondata dai ricordi e dai pezzi del mondo suo com’era, il mondo del suo fulgore divino, del massimo successo. Feticci ammassati ovunque, in ogni stanza, di una Hollywood aurorale e già intrisa di marcio e decadenza, già sepolcrale. Decori da marchesa Casati al suo più estremo darkismo, di Art Nouveau e pure Déco conservati come in una teca. Mentre sullo schermo di casa gira un film di lei, Norma Desmond, al suo acme. La signora, che è Gloria Swanson, come un’ape regina, come un ragno gigante, come una mantide, irretisce e imprigiona nella sua tela il giovane sceneggiatore, lo fa suo, convincendolo a occuparsi della sceneggiatura che segnerà il suo trionfale ritorno al cinema. Se lo porterà a letto, saranno amanti, mentre a tutto assiste, devoto e silenzioso, il fedele maggiordomo e autista impersonato da Erich Von Stroheim, in realtà già suo mentore e regista di lei innamorato, al punto da accettare ora, pur di starle accanto in quel delirio, di esserle servo. Quando Gillis cercherà di tornare a una vita per così dire normale, a lasciare quel mondo di tenebra per un banale e normale sole californiano, e per un amore qualsiasi, lei perderà la testa. Gran finale, indimenticabile davvero, e ipnotizzante. Nel quale la folle Norma realizza paradossalmente il suo sogno divistico di ritorno davanti alla macchina da presa. Gloria Swanson immensa, e coraggiosa nell’usare se stessa, il proprio personaggio, il proprio passato da star per metterli al servizio di questa riflessione macabra e spietata sul cinema. Puro cinema nel cinema, cinema sul cinema. Anzi, una lezione di metacinema. William Holden è la carne viva immessa in un mondo marcio, e dunque destinata a corrompersi.
Anonymous: L’esercito degli hacktivisti di Brian Knappenberger, La Effe, ore 22,25.
Documentario americano del 2012 che ricostruisce nascita, storia, imprese, fatti e qualche misfatto del gruppo autodefinitosi Anonymous, nato in rete nei primi anni Duemila da un pugno di hacker decisi a mettere al servizio delle buone cause politicamente corrette il loro know how di pirati e scassinatori virtuali. Si adotta quella che oggi è onnipresente ma allora un po’ meno, maschera di Guy Fawkes e via con gli hackeraggi eccellenti, le manomissioni di siti, le scorribande tra database di enti, istituzioni, compagnie ritenute portatori insani di colpe e responsabilità ai danni del popolo (della rete e non). Tra i bersagli, Scientology, Sony, Mastercard. Poi arriva la stagione delle rivelazioni che possono fare danni alle potenze, la stagione di quella di Wikileaks per intenderci, e Anonymous pure in quello dà la sua mano. E poi, supporto alle primavere arabe, agli Occupy, alle varie rivolte collettive qua e là per il mondo. Un grande romanzo virtuale, con protagonisti di cui finalmente veniamo a sapere qualcosa. Regia di Brian Knappenberger. Titolo originale, We Are Legion: The Story of the Hacktivists.
Il club degli imperatori di Michael Hoffman, Iris, ore 23,32.
Un college-movie del 2002 non rauchy-porcello e non ridanciano, e più sulla (tarda) scia dell’Attimo fuggente. Un professore di storia antica e un allievo dotato, ma fancazzista, ribelle e sbruffone, di ricca e potente famiglia. Scontri tra i due, poi una quasi-pacifiazione, allorché lo studente, Sedgewick Bell, sembre mettere la testa a posto e applicarsi. Verrà scelto dal prof al posto di un altro, meno brillante ma più studioso, per un contest e sarà l’inizio di parecchie complicazioni. Ottimo cast: Kevin Kline, Emile Hirsch, Paul Dano, Jesse Eisenberg. Regia di Mihael Hoffman.
La signora in rosso di Gene Wilder, Rai Movie, ore 21,15. Film-bandiera degli anni Ottanta, e di cui, oggi, resta soprattutto la canzone di Stevie Wonder I Just Called to Say I Love You. Con Gene Wilder (anche regista) nella parte dell’uomo anonimo che si ritrova in un turbinio di avventure. Yutta colpa dell’amore, ovvio. Lui, pubblicitario, perde la testa per una signora di rosso vestita mentre la vede rifare Marilyn nella famosa scena sulla grata del metrò con la gonna gonfiata. La insegue, finisce in un mare di guai. Del 1984, ma sembran passati cent’anni.
S1møne di Andrew Niccol, Rai 4, ore 21,13.
S1møne (sì, scritto così, sta per Simulation One) ipotizza cosa potrebbe aspettarci quando le tecniche di simulazionee replicazione saranno in grado di realizzare creature virtuali del tutto simili agli umani. Stufo delle bizze della sua attrice più importante, un produttore decide di rimpiazzarla con una creatura virtuale, S1møne per l’appunto. Il film avrà un successo imprevisto, e allora cominceranno i problemi. Idea niente malle, svolgimento anche quello niente male. Gran cast: Al Pacino, Evan Rachel Wood, Winona Ryder e, come replicante, Rachel Roberts. Alla regia l’australiano Andrew Niccol, uno che si è ritagliato una nicchia personale e riconoscibile con il suo cinema di una fantascienza molto prossima, venata di inquietudini socioesistenziali, sempre con messinscente altamente stilizzate e dense di citazioni figurative. Gattaca resta il suo film più famoso, ma anche il recente In Time con Justin Timberlake e Amanda Sayfried è molto interessaante, nonostante che da noi la critica istituzionale non se lo sia proprio filato.
Nemico pubblico n. 1 – L’ora della fuga di Jean-François Richet, Rai 4, ore 0,08.
Secondo film del dittico di Jean-François Richet dedicato al fuorilegge francese anni ’60-70 Jacques Mesrine (vedi scheda della prima parte). Stavolta si racconta il consolidarsi del suo mito, le numerose, incredibili evasioni di Mesrine dal carcere, il suo flirtare con i gauchiste e la lotta armata. Diciamo un Vallanzasca francese. Performance pazzesca di Vincent Cassel, che lo situa tra i massimi attori europei. Con lui Ludivine Sagnier (una delle mie attrici preferite). Notevole polar. Sceneggiatura del franco-algerino Abdel Raouf Dafri, che di lì a poco avrebbe scritto il capolavoro di Jacques Audiard Un prophète, e che non sbaglia un dialogo. Film che molto deve al poliziottesco italiano e anche a Romanzo criminale di Placido, successo enorme in Francia.
Sua maestà (Your Highness) di David Gordon Green, Italia 1, ore 0,45.
Un film liquidato alla sua uscita (era il 2011), in America e peggio ancora in Italia, come una cosaccia di iper volgarità, una di quelle raunchy comedy parolacciare e grevi a uso di teenager in tempesta ormonale. Però il cast avrebbe dovuto mettere sull’avviso chi stronca di default e va pigramente per automastismi e schemi mentali. James Franco, Natalie Portman, Zooey Deschanel, Charles Dance e il grandissimo Toby Jones. Se vi sembran nomi da B-movie. E il suo regista, David Gordon Green, di lì a non molto avrebbe spiccato il volo verso i festival di alta gamma, presentando prima a Berlino 2013 Prince Avalanche e poi a Venezia Joe (non ancora uscito in Italia). Allora guardiamolo, questo film, cercando di intenderlo oltre la superficie volutamente grossolana. In un Medioevo assai di maniera a un principe bello un perfido mago porta via la bella promessa sposa. Il nostro si metterà in cerca della rapita, mal aiutato dal fratello neghittoso e riluttante all’impresa, passandone e vedendone di ogni. Con un linguaggio sessualmente esplicitò che scioccò perfino i recensori americani, adusi a tutto. Ma oggi, col senno di poi, e avendo avuto modo di apprezzare David Gordon Green, sarà il caso di riconsiderarlo, questo Your Highness. Che nel suo Medioevo sboccato ricorda (inconsapevolmente) un po’ L’armata Brancaleone e parecchio i nostro boccacceschi-decamerotici anni Settanta.