10 film. Nicholas Ray, Costa Gavras, Vittorio De Sica, Soderbergh. James Franco/Ginsberg. Sacha Baron Cohen prima di Borat. 17 ragazze, e tutte incinte. E altro ancora.
Il re dei re di Nicholas Ray, Rete 4, ore 21,15.
Miracolo a Milano di Vittorio De Sica, Rete Capri, ore 21,00.
Di tutti i film che videro la collaborazione tra De Sica regista e Cesare Zavattini, quello che ha più forte l’impronta dello scrittore-sceneggiatore di Luzzara. Con un che di Frank Capra, anche, che dirotta il neorealismo in cui necessariamente si inscrive il film – siamo nel 1951, e la coppia aveva già realizzato Ladri di biciclette e Sciuscià – verso il fantastico, l’onirico e la commedia dei buonissimi sentimenti. Un miscuglio che non convinse i critici di allora, e nemmeno del tutto il pubblico. Dopo decenni però Miracolo a Milano è considerato, semplicemente, un classico, e come tale va visto o rivisto. Racconto di barboni buoni, di una corte dei miracoli insediata alla periferia di Milano dove gli uomini e le donne hanno il cuore puro, e dove finisce per caso un ragazzo assai idealista. Il sogno di tutti è una terra promessa oltre il cielo (over the rainbow?) in cui vivere senza più soffrire le pene della povertà e il disprezzo altrui. Con il finale del volo sulle scope dei netturbini che ancora oggi incanta. Con la grande Emma Gramatica e Paolo Stoppa.
Urlo con James Franco, Rai 5, ore 23,02.
Il primo – è del 2010 – della piccola onda di film sui poeti-scrittori della beat generation di questi ultimi anni. Dopo questo Howl di Rap Epstein e Jeffrey Friedman seguiranno il brutto Sulla strada e il più interessante Kill Your Darlings (Giovani ribelli). I due registi assai indie confezionano un film assai indie, con tanto di ricorso all’animazione che fa sempre molto avanguardismo. Tutto per raccontare di Allen Ginsberg, anzi della stagione della sua vita legata al poema che lo rese celebre, Howl. Lui, gli amori e soprattutto il processo per oscenità che dovette subire per le allusioni molto trasparenti nella sua opera a uso di droghe e a omosessualità. Con i versi illustrati attraverso i cartoni. Ottimo successo arthouse. Il film che lancia definitivamente in orbita James Franco, qui in uno dei molti gay-movie della sua carriera di attore e autore.
Mad City – Assalto alla notizia di Costa Gavraa, Rete 4, ore 0,30.
Uno dei film americani dell’impegnato e sempre muscolare (quanto ad approccio registico) e tonante Costa Gavras. Che qui non dismette, anzi, la sua carica declamatoria e predicatoria per immergersi nell’ennesimo film di denuncia, che poi è un genere con i suoi codici non diversamente da ogni altro. Stavolta si vuole stigmatizzare la società dello spettacolo e il perverso sistema mediatico che tutto sfrutta, manipola e usa. Denuncia non nuova, si pensi solo al profetico Quinto potere di Sidney Lumet e a L’asso nella manica di Billy Wilder. Apologo esemplarissimo, Mad City. Il custode di un museo incazzato per il licenziamento ferisce un tizio, poi prende in ostaggio la direttora che l’ha silurato e una classe in visita. Il solito ambiguo giornalista lo avvicinerà per assicurarsi lo scoop. Intanto accorrono tutte le tv e la faccenda si ingrossa. Con John Travolta e Dustin Hoffman.
L’eredità di Per Fly, La effe, ore 22,50.
Film danese da noi quasi non visto, ma assai rispettato in patria e nel resto d’Europa. Secondo di una trilogia del regista Per Fly su vita e non-vita all’interno di tre classi sociali. L’eredità vuol farsi ritratto della classe più alta, di una borghesia travolta, più che dall’avidità personale, dalla logica fredda e impersonale del denaro. Christopher s’è lasciato alle spalle il mondo high class in cui era nato cresciuto e l’acciaieria di famiglia di cui non si era mai voluto occupare. Ma dopo la morte per suicidio del padre è costretto, richiamato dalla madre, a occuparsi dell’azienda, e niente per lui sarà più come prima. Un dramma assai nordico dove le tensioni covano sotto la coltre della freddezza e dell’irreprensibilità, e quando esplodono son devastanti (per dire, Gertrud di Dreyer). Siamo anche dalle parti del racconto morale sui misfatti di classe, e L’eredità in questo non è non immemore di La caduta degli dei di Luchino Visconti (l’acciaieria dice qualcosa?). Girato in stile tardo-Dogma con macchina a mano nevrotica.
17 ragazze di Delphine e Muriel Coulin, La effe, ore 0,55.
Uno dei film più eclatanti della tendenza pro-life (“sono incinta e non voglio abortire”) al cinema insieme all’ormai classico Juno. Anche se di ideologia e controideologia non c’è traccia, non trattandosi qui di un film di battaglia, di un film-manifesto, ma di un racconto situato al livello di esistenze e esperienze. Un tempo al cinema si abortiva (anche) per reclamare i propri diritti all’autodeterminzione, affermare il primato di sé su una maternità scomoda e non voluta, adesso, semplicemente, non si trova più un film in cui una donna ammetta di voler abortire. Anche nell’imminente Noi 4 di Francesco Bruni, di cui ho visto ieri l’anteprima stampa, la ragazza che teme di essere rimasta incinta del solito mezzo mascalzone decide, ancora prima di averne la certezza, che di aborto non vuole manco sentire parlare. Lo stesso succede nell’imminente In grazia di Dio di Edoardo Winspeare. Qualcosa tutto questo vorrà pur dire, no?, su come sia cambiata la sensibilità collettiva, e soprattutto di tante ragazze, in materia. Che quando un po’ di tempo fa ho visto in Cineteca Un’altra donna di Woody Allen, con Gena Rowlands che ricorda la sua decisione di abortire, ho avuto l’impressione di un film venuto da un’altra era, ed è proprio così.
17 ragazze, dunque, operina del 2011 che ha spiazzato e un po’ divertito con i suoi toni da commedia la Francia. Diretto da due registe sorelle, Delphine e Muriel Coulin, ci racconta di una liceale che cade incinta di uno che non è neanche il suo boyfriend. Intorno a lei, un villaggio in cui la crisi della pesca sta portando una continua riduzione del benessere. Sarebbe forte la pressione sulla ragazza perché si liberasse del bambino. Ma a darle man forte arriveranno 16 sue compagne di liceo, che decideranno per solidarietà di farsi mettere incinte pure loro, e così sarà. 17 gravidanze, tutte insieme. Pradossalmente, attraverso quella precoce maternità di massa vogliono attuare la loro emancipazione, gridare la loro rivolta verso gli adulti, sottrarsi alle loro regole. Gravidanza come autodeterminazione e liberazione. Scompaginando decenni e decenni di battaglie femministe, capovolgendo il mito contemporaneo della maternità come schiavitù femminile. Tutto non nei toni del manifesto ideologico, tantomeno della concione neocon e pro-life, ma in quello della commedia. Divertente, però c’è da pensare, altroché se c’è. Presentato a Cannes, finalista César come migliore opera prima. Gran successo in patria, meno da noi. Una delle commedie meno ovvie degli ultimi anni.
Che l’argentino di Steven Soderbergh, la7, ore 0,00.
Prima parte del fluviale biopic su Guevara girato da Steven Soderbergh. Operazione che non ha avuto però il successo sperato, nonostante l’accuratezza storica e filologica da parte del regista, e la passione e l’impegno profusi dal suo protagonista Benicio Del Toro. Soderbergh è rimasto indeciso tra l’agiografia, ormai però impraticabile di questi tempi, e la pesante rivisitazione, e magari revisione, del mito. Una non-scelta cerchiobottista che alla fine non ha pagato e che confina Che tra i tentativi interessanti, ma non riusciti. In questo episodio si parte dall’incontro nel 1952 in Messico tra Ernesto Guevara, studente di medicina ragentino, e Fidel Castro. Seguono poi lo sbarco sull’isola con lo yacht Granma, le prime battaglie. Un’alleanza, quella tra i due, che avrebbe fatto la storia, e non è un’esagerazione. Rodrigo Santoro è il futuro Lider Maximo.
Il furore dalla Cina colpisce ancora con Bruce Lee, Rai 4, ore 23,29.
1971. Dopo infinite partecipazioni a serie tv americane, Bruce Lee ottiene il suo primo ruolo protagonista in questa produzione made in Hong Kong. Sarà un successo enorme al box office di Hong Kong e verrà esportato in tutto il mondo. Anche se è il primo film vero di Bruce Lee, da noi arriva dopo Dalla Cina con furore, ed ecco il motivo del lambiccato e stramplato titolo. Bruce è un ragazzo che dalla Cina si trasferisce dallo zio in Thailandia, paese tantacolare e pericoloso. Imparerà presto le scaltrezze del suo nuovo mondo e mostrerà tutte le sue virtù di combattente sbaragliando una banda di mafiosi. Per fans di arti marziali, ma non solo: Lee è oltre i generi.
Crimini del cuore di Bruce Beresford, Class Tv, ore 20,40.
Si sa, quando ci son tre sorelle son sempre casini e problemi di famiglia. Da Cenerentola a Cecov arrivando a Hannah e le sue sorelle di Woody Allen e al recentissimo I segreti di Osage County. Questo Crimini del cuore del 1986 si iscrive perfettamente nel genere, e anche stavolta, come in Osage County, alla base c’è un play premio Pulitzer. Lenny, Meg e Babe son le tre sorelle Magrath, vivono nel profondo Sud, in Mississippi e son state tutte tirate su dal vecchio nonno dopo la tragedia che le ha colpiute (c’è sempre una tragedia in queste storie). Ovverossia il suicidio per impiccagione della loro mamma. Ognuna ci ha i suoi casini, le sue tempeste, le sue nevrosi-sconfitte-delusioni. Riunioni di famiglia dopo che Babe ha sparato al marito manesco. Cosa non salterà fuori (le riunioni di famiglia al cinema son foriere delle peggio cose). Il film è le sue tre interpreti. Che sono Jessica Lange, Diane Keaton e Sissy Spacek. Le dirige, cercando di mantenere l’equilibrio secondo un non scritto ma ferreo manuale Cencelli sullo spazio concesso a ognuna, Bruce Beresford. Con l’allora fichissimo e coolissimo Sam Shepard (vederlo adesso è uno shock).
Ricky Bobby: la storia di un uomo che sapeva contare fino a uno, Italia 1, ore 0,35.
Commedia raunchy e demenziale di quella che in America vanno alla grndissima, poi arrivan da noi e si sgonfiano. Will Ferrell è un pilota che un po’ tardivamente arriva a correre nel campionato automobilistico Nascar. La sua ascesa sembra irresistibile, finché non si profila all’orizzzonte un pilota, francese e gay, proveniente dalla Formula Uno che ha tutta l’intenzione di sloggiarlo dal vertice. Il film, del 2006, merita la visione soprattutto per la presenza di quel genio (ultimamente un po’ appannato) di Sacha Baron Cohen nella parte del francese gay. E Borat doveva ancora arrivare.