Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog, Rai 5, ore 21,17.
Documentario, anno 2010, del maestro Werner Herzog (uno adorato anche dai jeune critique ventenni di tutta Europa, che lo scorso agosto hanno affollato il suo masterclass al Locarno Festival) che segna uno dei primi esempi di 3D d’autore, insieme al contemporanei Pina di Wim Wenders, al Tintin di Spielberg e all’Hugo Cabret di Scorsese. Il gran tedesco, uno che ci appare ormai come tra i maggiori cineasti del secondo Novecento e inizio Duemila, si arma di cinepresa e tecnologia in tre dimensione per registrare la bellezza somma delle pitture rupestri nella grotta Chauvet, Francia meridionale. Graffiti di 32mila anni fa, di un uomo nostro antenato, nostro simile anche nell’abissale lontananza e differenza. Naturalmente l’esplorazione si trasforma nell’ennesima avventura herzogiana nel profondo della natura e dell’umano, e nel loro inestricabile intreccio. Con slittamenti nella dimensione del mito, in quella cave che è l’antro primordiale e forse il grembo di madre terra. Un docu che è stato anche un ottimo successo al box office, a partire da quello, sempre assai difficile per un europeo, del Nord America.
Last Days di Gus Van Sant, La Effe, ore 21,10.
Gli ultimi giorni di qualcuno che assomiglia molto a Kurt Cobain prima del suicidio, ma che non può essereèì lui per via di problemi legali e diritti vari. Tra i film più radicali di Gus Van Sant, regista diviso tra l’autorialità pura e il compromesso con Hollywood. In questo suo eterno pendolarismo, stavolta si colloca sul versante ‘piccolo film di piccolo budget’ con linguaggio arrischiato. Difatti in Last Days si esagera in piani sequenza, il marchio di fabbrica da Antonioni in poi del cinema altissimo, ma anche, all’opposto, in camera fissa (sono i due poli di una dialettica incessante del cinema d’autore). Blake, il rocker protagonista interpretato dal biondo (siamo in un film di Gus Van Sant, no?) Michael Pitt già visto nel bertolucciano The Dreamers, si aggira catatonico nei boschi, mentre agente, compagna, amici e perfino un detective lo cercano disperatamente. Attenzione, la donna di Blake è Asia Argento (e non dite che fa la parte di Courtney Love, sennò la vedova Cobain se la prende di brutto). Freddo e atono, un film che dispiace a molti e piace a pochi (io mi colloco nella seconda categoria, dunque ne consiglio caldamente la visione).
Precious di Jeff Daniels, Rai Movie, ore 23,00.
Occasione per intercettare, qualora non lo si fosse già visto, questo film del 2009 che negli Stati Uniti è stato un successo enorme al box office, diventando una delle produzioni indipendenti più redditizie di tutti i tempi. Un caso, ecco. Anzi, una di quelle case histories da studiare e ristudiare per capire come si fa (ed eventualmente replicarne il trionfo). Tutto comincia con la proiezione al Sundance, e da lì il film dilaga, con tanto di consacrazione a Un certain regard a Cannes. Portando nella A-list il suo regista Lee Daniels, lo stesso, per capirci, del recente The Butler. Precious è una storia di marginalità estrema, una povera teenager nella Harlem ancora ghetto afroamericano del 1987 spaventosamente sovrappeso, analfabeta, vittima di abusi sessuali in famiglia e incinta del secondo figlio. È stato il padre, da cui lei ha già avuto una bambina con la sindrome di Down. Precious ce la farà a riscattarsi e a intuire un’altra possibile vita dopo che in una scuola si prenderanno cura di lei e le faranno scoprire quella cosa che si chiama dignità. Certo il film, e il libro che ne sta alla base, esagera nel concentrare su Precious un eccesso di sfortune che neanche nei feuilleton ottocenteschi, e che il personaggio rischia di diventare un po’ troppo emblematico e dimostrativo della condizione femminile nei ghetti urbani neri. Ma l’interpretazione di Gabourey Sidibe è travolgente e Lee Daniels abilmente pilota il film verso il grande melodramma popolare. Con, anche, Lenny Kravitz e Mariah Carey, che ritroveremo, sempre con la regia di Daniels, in The Butler.
Sex List – Omicidio a tre di Marcel Langenegger, Rai Movie, ore 21,15.
Un noir alquanto diverso dagli attuali medi prodotti del genere, che una visione se la merita. Con, oltretutto, un cast di primo livello che allinea Ewan McGregor, Michelle Williams e Hugh Jackman (anche produttore). Una contemporaneizzazione dei classici con donna fatale e alquanto dark (lady), dove il bravo ragioniere Ewan McGregor si ritrova, per via di un telefono scambiato, nel sottosuolo newyorkese del sesso facile e promiscuo. Un club in cui, nel più rigoroso anonimato, si prensonocontatti, si fan conoscenze, e poi subito a letto senza complicazioni di innamoramenti e amori. Così sembra. Perché per il nostro signor Alice nel paese delle meraviglie erotiche l’incontro con una bionda sarà l’inizio di un incubo. Non è stato un succeso, ma chi, come me, ama il noir, gli dia un’occhiata. Regia del non proprio famoso Marcel Langenegger. Molto meglio il titolo originale, Deception (Inganno).
The Moth Diaries di Mary Harron, Rai 4, ore 21,13.
Film di vampiri adolescenti, ma stavolta con impronta autoriale. tant’è che questo film venne presentato fuori concorso al Festival di Venezia 2011, dove c’era una notevole attesa per via del rispetto e dello status precedentemente conquistato dalla sua regista, la canadese Mary Harron. Non convinse del tutto, ma resta un prodotto assai dignitoso, che cerca di immettere nel filone diciamo così Twilight qualche pulsazione e vibrazione letteraria e colta, con citazioni da classici come Carmilla di Le Fanu. In un liceo arriva dall’Europa una ragazza misteriosa di nome Ernessa. Resterà assai colpita da lei, e un po’ innamorata, una complicata e piuttosto infelice compagna di scuola di nome Rebecca. La quale, man mano che l’amicizia con Ernessa si fa pià stretta, comincia a deperire, ad emaciarsi. Si insospettisce, e comincia aindagare sullo strano caso, un professore di lettere. Vedibile. Con un qualche sottotesto, m’è parso di capire, lesbico.
Swimming Pool di François Ozon, la7d, ore 23,00.
Sono un estimatore di François Ozon, lo ritengo tra i migliori talenti registici della generazione dei quaranta e qualcosa, lucido come pochi nel rifare i genere e rivoltarli, in un gioco citazionista, in un manierismo che è amore per il cinema e, anche, amore per i labirinti, i giochi di specchi, i virtuosismi e le macchinerie narrative. Un autore di immenso eclettismo, capace di passare dal mélo fassbinderiano (Gocce d’acqua su pietre roventi) al disadorno cronachismo alla Dardenne (Il rifugio). In questo notevole Swimming Pool del 2003 sembra inizialmente addentrarsi in un mystery alla Agatha Christie con venature hitchockiane, per poi virare sulla dialettica realtà-rappresentazione, sullo scambio tra vero, verosimile e finzione, sull’arte come imitazione della vita e la vita come imitazione dell’arte. Sarah Morton, una scrittrice inglese di polizieschi cui una formidabile Charlotte Rampling conferisce una dandistica, elegante, mascolina sciatteria un po’ Agatha Christie e molto, moltissimo Patricia Highsmith, si insedia nella villa di campagna in Francia del suo editore per scrivere il nuovo romanzo. È in crisi di ispirazione, il foglio resta bianco e vuoto. A scuoterla dal torpore arriverà Julie (Ludivine Sagnier, attrice ozoniana per eccellenza), la figlia dell’editore, una ragazzina che è un tornado di sesso, ribellismi, voglie, e che finirà con lo scuotere la quieta vita in villa. Spiandola, facendosi raccontare i dettagli dei suoi amori, amanti, avventure e altri sporcaccionismi, Sarah ne trae espirazione e linfa per il romanzo che finalmente comincia a prendere forma. Seduzioni e fascinazioni criptolesbiche, vampirismi (ma chi vampirizza chi?). Non è che l’inizio di una partita molto complicata, con rovesciamenti, colpi di scena, depistaggi, inganni, giochi di maschere. Invidie e rivalità femminile cìhe insanguineranno la piscina del titolo. L’eterno tema narrativo dello scrittore e dei suoi personaggi che si autonomizzano e pretendono di farsi vita e carne. Solo che Ozon ha l’accortezza di servirci il tutto in chiave gialla, tenendoci appesi fino alla gran rivelazione finale. Un tema, quello dell’autore e delle sue creature di carta che si fanno carne, rispuntato un anno e mezzo fa anche nel film indie americano Ruby Sparks, parecchio deludente e inferiore alle aspettative.
The Descent di Neil Marshall, Rai 4, ore 23,10.
Non snobbiamolo, per favore: è uno dei migliori horror della scorsa decade. Un gruppo di ragazzi scende in una grotta dei Monti Appalachi (ma non sanno che la zona è pericolosa? non hanno mai visto Un tranquillo weekend di paura che si svolge proprio da quelle parti?) e ne succedono di ogni, come il canone dell’horror esige. Però questo non è per niente dozzinale. Anche qui, come nello spagnolo La notte dei girasoli, torna il topos letterario della grotta come luogo di disvelamento dell’inconscio e del non detto, vedi Passaggio in India di Edward Forster e Il labirinto oscuro di Lawrence Durrell.
Basic Instinct di Paul Verhoeven, Rete 4, ore 23,15.
Paul Verhoeven mi piace da sempre, fin dal suo primo periodo olandese, e mi ostino a pensare che questo suo Basic Instinct non sia solo il film in cui Sharon Stone accavalla le gambe senza slip. Verhoeven è indigesto, ma è un autore molto riconoscibile, anche abbastanza unico. C’è in lui quell’immaginario erotico spesso, denso, pesante, greve, da Nord profondo, da Fiandre tra Anversa, Amsterdam su su fino a sfiorare Amburgo. Quell’erotismo che ha prodotto la tristezza delle ragazze in vetrina e la prima, livida pornografia europea anni Cinquanta-Sessanta. Ecco, Basic Instinct è così. Europeo, nordico, per niente hollywoodiano nonostante le sue sembianze di noir seriale. Basic Instinct è una pala fiamminga di corpi pallidi già oltretombali e di colpevoli senza redenzione. Del 1992 (son passati vent’anni di già) è, piaccia o meno, un classico e modello di riferimento.