La quinta espansione è alle porte e noi tiriamo le somme sui migliori raid boss del MMORPG Blizzard
Del kolossal Blizzard si può dire tutto e il contrario di tutto, ma c'è una cosa intorno alla quale non si può girare troppo: lo sviluppatore di Irvine ha praticamente reinventato il concetto di "raid" per come lo aveva espresso il MMORPG cui World of Warcraft si è maggiormente ispirato prima di rivoluzionare il sottogenere theme park, e cioè EverQuest. Era il 2005 e Blizzard usciva sul mercato con un titolo che oggi ci sembra praticamente scontato - in quanti lettori si lamentano sempre che ha fatto il suo tempo? - ma che allora era una vera e propria rivoluzione. E oggigiorno quando si parla di "raid" in ambito MMORPG si pensa subito a quelli di World of Warcraft e il paragone diventa quasi istantaneo. Cosa si intende per "raid", quindi? A livello basilare, parliamo di un'attività che si svolge in un gruppo composto da più giocatori rispetto al normale (non a caso vengono spesso sviluppati contenuti per gruppi normali e per, appunto, raid) che dovrà affrontare una serie di sfide, spesso rappresentate da nemici più forti del normale e da "incontri" con boss che andranno sconfitti impiegando strategie molto particolari.
Nel corso di dieci anni siamo partiti dal "tank'n'spank" (il nemico viene controllato dal tank mentre i damage dealer lo picchiano e i guaritori curano tutti) elementare e siamo arrivati a complesse battaglie suddivise in più fasi con tanto di cambi di scenario e scenette scriptate. Del raiding Blizzard ne ha fatto un'arte e molti sviluppatori hanno tratto spunto dalle meccaniche congegnate per World of Warcraft, implementandole nei loro giochi: le famigerate "pozze sul terreno", i "soft enrage", e via dicendo. Sembra facile copiare delle idee e adattarle al proprio gioco, ma non è così. Pochi titoli hanno raggiunto il livello di complessità ed equilibrio visto nei raid di World of Warcraft, e ci hanno messo parecchi anni senza riuscirci completamente: è il caso di Star Wars: The Old Republic, Rift, Final Fantasy XIV: A Realm Reborn. Tutti giochi che, non a caso, propongono la stessa, identica struttura del tronista Blizzard. Ora che qualcosa sta cambiando e che gli sviluppatori hanno - finalmente, verrebbe da dire - deciso di seguire la loro strada e di proporre qualcosa di diverso, si cerca una nuova rivoluzione vincente, un nuovo modello da seguire, magari basato sulla deriva tutta action che ha preso il genere MMO negli ultimi anni con Guild Wars 2, The Elder Scrolls Online e l'imminente WildStar. E ciò nonostante, l'endgame PvE di World of Warcraft resta il più giocato in assoluto, e per delle ottime ragioni. Abbiamo pensato di fare un tuffo nel passato, remoto e recente, e di ricordare i cinque migliori raid-boss di World of Warcraft. Sentitevi liberi di dissentire e di proporre la vostra top 5 nei commenti in coda all'articolo: questa è la nostra e, come in tante altre esperienze legate ai MMORPG, nella scelta hanno giocato un ruolo tanti fattori diversi, dall'umore con cui si sono affrontati alla compagnia che ci ha sostenuto ad ogni vittoria e ad ogni wipe. Perché anche una giornata storta può trasformare il più facile dei boss nel più orribile degli incubi. Sì, Rotface, stiamo pensando proprio a te.
5. Lei Shen, il Re del Tuono
All'ultimo posto della nostra classifica c'è l'antico imperatore dei Mogu riportato in vita, con la patch 5.2, in una Pandaria che non gli appartiene più, in mano ai Pandaren e al centro del conflitto tra l'Orda e l'Alleanza. Siamo già alla quarta espansione di World of Warcraft, al penultimo raid, ed è il 2013: da questo punto di vista, lo scontro con Lei Shen mette in mostra i muscoli dei designer Blizzard, che nei venti minuti circa necessari a farlo fuori hanno concentrato più o meno dieci anni di esperienza. La battaglia si svolge nel cuore del suo palazzo, su una piattaforma sopraelevata circondata da un'altissima voragine: cadere dai bordi è fatale, regola numero uno.
Per di più, non si può essere raggiunti dagli incantesimi di resurrezione dei nostri compagni; molto semplicemente, se si cade si è fuori dai giochi, e questo è un rischio chiave in almeno due fasi dello scontro. La particolarità del combattimento, oltre al fatto che Lei Shen dispone di vari attacchi diversi che obbligano i giocatori a spostarsi regolarmente, sta nei pilastri che circondano l'arena: Lei Shen caricherà il più vicino, acquisendo dei bonus e potenziando al contempo il pilastro e il suo potere speciale. Nelle due fasi di intermezzo dello scontro, quando Lei Shen si sposta al centro dell'arena e diventa invulnerabile, i giocatori devono vedersela con i singoli poteri speciali dei pilastri, la cui potenza dipende dal livello raggiunto dai pilastri stessi. In buona sostanza, il raid deve giostrare le "cariche" dei pilastri e combattere Lei Shen costringendolo a spostarsi da uno spicchio all'altro della piattaforma in modo che carichi i pilastri che vuole il raid e solo fino a un certo punto. La battaglia ci è piaciuta molto anche per questo: implica una minuziosa precisione nei posizionamenti e dei veri e propri calcoli matematici basati su svariati fattori come, ad esempio, anche la potenza d'attacco dell'intero raid. Lei Shen, per certi versi, mette alla prova soprattutto i raid leader, che devono dividere correttamente il raid in gruppi più piccoli per affrontare opportunamente le fasi di intermezzo, ma anche i singoli giocatori che devono interpretare il loro ruolo alla perfezione e, contemporaneamente, reagire a quello che succede intorno a loro. Le fasi finali sono decisamente adrenaliniche, soprattutto quando Lei Shen comincia a evocare dei venti che spingono il raid verso i bordi, picchiandolo duro al contempo con i suoi poteri basati sui fulmini. Spettacolare e avvincente, lo scontro con Lei Shen ha un grosso punto debole: Lei Shen in persona. Purtroppo il Re del Tuono ha il carisma di un grissino, nonostante tutto il lore costruito intorno ad esso, e la genialità di alcune meccaniche sembrano quasi sprecate.
4. Arthas, il Re Lich
Il faccia a faccia con Arthas Menethil lo abbiamo atteso a lungo. Dal 2003 per l'esattezza, e considerando che World of Warcraft non era ancora uscito... è tutto dire. Per chi non lo sapesse, il protagonista di Warcraft III diventava malvagio e, nell'espansione The Frozen Throne, indossava il mantello di Re Lich, isolandosi nel lontano continente di Northrend, teatro poi dell'espansione del 2008 di World of Warcraft, Wrath of the Lich King. A differenza del già citato Lei Shen, Blizzard era riuscita a rendere palpabile e coinvolgente la minaccia del Re Lich per tutta l'espansione attraverso quest e cammeo vari, conducendo i giocatori all'inevitabile scontro finale nella sua fortezza. È sulla cima di Icecrown Citadel che i giocatori affrontano Arthas, il boss conclusivo del dungeon: una battaglia senza esclusione di colpi, caratterizzata da svariate fasi in cui le abilità del Re Lich si moltiplicano grazie anche all'aiuto dei suoi servitori.
I giocatori che combattono Arthas devono avere i riflessi pronti, come minimo: non solo è necessario cambiare bersaglio alla svelta e con precisione quando necessario, ma bisogna anche sapersi muovere saggiamente e al contempo mantenere tutta l'attenzione sul boss a seconda del ruolo ricoperto nel gruppo. Le valkyr di Arthas sono particolarmente letali: in alcune fasi dello scontro appariranno dal nulla per acchiappare un giocatore e gettarlo giù dalla fortezza, dove morirà e non potrà essere riportato in vita, estromesso dallo scontro fino al suo epilogo. Ecco quindi che bisogna collocare il gruppo strategicamente per approfittare di ogni centimetro e giostrare l'abilità più fastidiosa di Arthas, un'enorme pozza nera che si allarga sotto i piedi di un giocatore, espandendosi a macchia d'olio finché i suoi bersagli si trovano su di essa. Bisogna correre e schivare come matti per più di quindici minuti, adattandosi ad ogni situazione con un minimo di flessibilità: è proprio uno di quegli scontri in cui non si può giocare a memoria. Le fasi finali sono convulse ma spettacolari, soprattutto quando Arthas intrappola nella sua spada Frostmourne le anime di alcuni giocatori che dovranno proteggere lo spirito del padre di Arthas mentre cerca di indebolire i poteri del figlio. Chiude il tutto una cinematica epocale quanto commovente... eppure Arthas è al quarto posto della nostra classifica. Perché? Be', perché lo scontro - già lungo e faticoso di per sé - è piagato dal malefico RNG (Random Number Generator) quando si tratta di scegliere il nuovo bersaglio dei poteri del Re Lich. Basta il minimo errore per mandare in vacca l'intero scontro e, cosa peggiore, non c'è praticamente mai la possibilità di recuperare: incrociare le dita ogni volta che Arthas si prepara a lanciare Defile non è esattamente una cosa semplice, soprattutto se ti servono per picchiarlo.
3. C'thun
Intendiamoci, C'thun è orripilante. È un enorme occhio con aculei, tentacoli e un intestino gigantesco sotto il pavimento, perfettamente in tema con quella schifezza mostruosa di scenario che era Ahn'Qiraj, l'antica città degli scarrafoni di Silithus, introdotta con la patch 1.9 all'inizio del 2006. A quei tempi i raid erano ancora da quaranta giocatori, e organizzarli era un delirio, gestirli ancora peggio: la leggenda narra che Blizzard abbia ridotto il numero di partecipanti a dieci e a venticinque per arginare i suicidi dei poveri raid leader costretti a gestire quaranta persone delle quali ne avrebbero strozzata più di metà. Ma non divaghiamo. C'thun è un "dio antico", praticamente una setta di villain che Blizzard tira fuori dal cilindro quando è a corto di idee o vuole prendere tempo.
All'epoca, però, l'idea che Azeroth fosse minacciata da una forza sovrannaturale antichissima e potentissima era piuttosto accattivante, cosa che rese un po' meno straziante la discesa nelle viscere del suo tempio sotterraneo, tra i mostriciattoli di Starship Troopers e gli anubi giganti. Alla fine, però, immaginate la scena: c'è questo corridoio con una porticina che si affaccia su una sala enorme, al cui centro si erge C'thun. Il raid si riversa nella sala, al grido di battaglia del suo leader, e viene testé atomizzato dal primo attacco di C'thun: un fulmine che rimbalza da un giocatore all'altro, incenerendoli tutti. Ah, C'thun, che bei ricordi quando persino il "pull" doveva essere a modo, altrimenti si rischiava il "wipe" istantaneo! Che poi, nel 2006 di meccaniche in World of Warcraft ce n'erano molte di meno, ma Blizzard sapeva inventarsi le peggio diavolerie con i pochi mezzi a disposizione. Ed ecco, quindi, che i quaranta cristiani di cui sopra dovevano dividersi in otto gruppetti circa e disporsi equidistanti gli uni dagli altri, pronti ad eliminare i tentacoli di C'thun nei loro settori e, soprattutto, a fare il giro in senso orario o antiorario della stanza quando il mostro sparava il suo attacco principale, un'enorme cannonata di energia mortale. E poi si veniva ingoiati e ci si ritrovava nel suo stomaco, dove bisognava nuotare nei succhi gastrici per farsi sputare di nuovo fuori e proseguire la lotta. Oggi C'thun appare un boss decisamente superato (i giocatori livello 90 lo uccidono con un paio di colpi e chi si è visto si è visto) ma ai tempi sconfiggerlo era una soddisfazione enorme, sia per i partecipanti sia per il raid leader che, nel suo piccolo, si godeva non solo l'uccisione del dio antico ma anche la consapevolezza di essere riuscito a guidare con successo un piccolo esercito di scalmanati pronti a farsi la pelle per mettere le mani su degli oggetti di una bruttezza grafica inenarrabile.
2. Il teatro dell'opera di Karazhan
"Tonight we explore a tale of forbidden love!" A risentire questa frase oggi, a tanti anni di distanza, sorridiamo e ripensiamo a Karazhan come a uno dei più bei raid di World of Warcraft. Ma credeteci sulla parola: ai tempi, quando lo si affrontava ogni settimana, quella stramaledetta frase provocava ulcere istantanee e faceva venire voglia di farla finita con una lametta da barba sui polsi. E non perché la battaglia con Romulo e Juliet fosse difficile, attenzione, ma più che altro perché usciva quasi tutte le settimane! La particolarità di questo "raid boss", infatti, era proprio questa: cambiava a caso. Karazhan è la torre a sud di Stormwind in cui aveva vissuto uno dei maghi più potenti di Azeroth, Medivh: nella prima espansione di World of Warcraft, The Burning Crusade, i giocatori avevano l'occasione di esplorarla per scoprire chi fosse riuscito a conquistarla dopo la dipartita del suo padrone di casa (spoiler: un demone alieno assolutamente anonimo).
L'ambientazione era immensa e non lineare e resta tutt'oggi una delle più vaste, belle e coinvolgenti del gioco. Dei dodici boss al suo interno, alcuni erano facoltativi e potevano essere affrontati in qualsiasi ordine, ma il cosiddetto "Opera Event" era un ostacolo obbligatorio. Il "boss" si combatteva su un palcoscenico, davanti a una platea di fantasmi: ogni settimana il presentatore annunciava uno dei tre possibili scontri. La maledettissima storia dell'amore proibito di Romulo e Juliet, ovviamente ispirati a Romeo e Giulietta, era uno di questi. Poi c'erano anche Dorothee e i suoi allegri amici basati su Il Mago di Oz, oppure il Big Bad Wolf di Cappuccetto Rosso, lo scontro meno tradizionale dei tre visto che di tanto in tanto un giocatore veniva trasformato in una gnoma vestita di rosso e doveva scappare dal lupo cattivo per non essere ucciso sul colpo. Romulo e Juliet giocavano molto sulle capacità del raid di interrompere determinati attacchi e gestire le percentuali e i tempi con precisione: andavano uccisi più o meno contemporaneamente, o si riportavano in vita a vicenda. Lo scontro con la compagnia di Oz, invece, era abbastanza classico, perlopiù basato su un ordine di uccisioni e sul controllo dei movimenti dei nemici. E allora, che aveva di speciale il teatro dell'opera di Karazhan? Perché è al secondo posto nella nostra classifica? Per tutta una serie di fattori che con il game design a dire il vero hanno poco a che fare: a conquistare, in questo caso, erano l'atmosfera e l'assurdità della situazione, i piccoli dettagli come i versi del pubblico fantasma o l'enfasi dell'annunciatore, lo sfondo "cartonato" durante la battaglia con il lupo, il bottino a tema (il fucile resta uno dei più ganzi del gioco!) e le citazioni dei testi originali. L'Opera Event è un po' l'incarnazione di quell'equilibrio e di quell'autoironia che Blizzard ha perso un po' con il passare degli anni: completare Karazhan oggi è un gioco da ragazzi, e se non l'avete mai fatto vi consigliamo vivamente di andarci e di perdervi al suo interno senza consultare nessuna guida. Sarà un'esperienza fantastica.
1. Kael'thas Sunstrider
No, non quello del "merely a setback!" ma quello vero, quello che abbiamo gonfiato di botte alla fine di The Eye, il raid dungeon ambientato in una delle astronavi Draenei di cui si sono appropriati gli Elfi del Sangue nel vuoto cosmico di Netherstorm. Il raid dungeon da venticinque giocatori era stato introdotto con l'espansione The Burning Crusade, la quale aveva messo subito in chiaro che l'elfo pazzo Kael'thas era una minaccia da eliminare, se non altro per smetterla di vederne comparire l'ologramma per rimproverare i suoi sottoposti come un insopportabile maestrino. E così si superano i suoi sgherri (un piccione infuocato, una scienziata pazza e un ED-209 infernale) e si raggiunge il biondino in persona che, da bravo leader, si fa difendere da quattro guardie del corpo che rappresenteranno le prime fasi dello scontro. La battaglia con Kael'thas era lunghissima e tostissima: bisognava prima affrontare i suoi sgherri, uno alla volta e ciascuno dotato di abilità particolari, e poi bisognava combattere il suo arsenale incantato. Poi Kaelly riportava in vita le sue guardie del corpo, che andavano combattute tutte insieme contemporaneamente prima di poter alzare le mani su di lui e le sue fenicette.
E siccome a quel punto non era già abbastanza, verso la fine dello scontro Kael'thas diventava un Super Saiyan, faceva esplodere l'intero soffitto esponendo il terreno di scontro all'aria aperta, e alterava pure le leggi della fisica, azzerando la gravità. Un combattimento lungo e complicato, insomma, che a un certo punto obbligava alcuni giocatori a raccogliere ed equipaggiare delle armi leggendarie create appositamente per questo scontro e utilizzabili soltanto in questo frangente per contrastare i poteri di Kael'thas e dei suoi servi. Ai tempi, moltissime gilde sbatterono la testa contro il muro di Kael'thas, che insieme a Lady Vashj rappresentò l'ultimo baluardo a difesa degli attunement: per entrare nel monte Hyjal bisognava prima uccidere loro e riuscirci significava essere dei giocatori tutti d'un pezzo. E Kael'thas, in particolare, esigeva da parte dei giocatori una conoscenza perfetta delle loro classi, riflessi pronti e uno studio approfondito della strategia e di ogni possibile emergenza. Era anche una battaglia in cui i singoli giocatori avevano una o più occasioni di emergere all'interno di un gruppo da venticinque giocatori dove era facile perdersi di vista, magari impiegando le suddette armi leggendarie per liberare dal controllo mentale (sì, c'era pure quello!) i propri compagni o magari "tankando" a distanza la maga di Kael'thas nel caso dei Warlock. Per farla breve, l'encounter di Kael'thas era stato progettato meravigliosamente ed era ricco di spunti originali e situazioni al limite che tenevano i giocatori sulle spine dall'inizio alla fine. Peccato solo che fosse introdotto da uno dei monologhi più lunghi, odiosi e inutili nella storia dei monologhi lunghi, odiosi e inutili: il giorno in cui Blizzard intervenne facendo in modo che lo si potesse saltare è ancora oggi ricordato da molti raider come uno dei più emozionanti nella storia del gioco.