San Basilio e i monaci orientali 2° parte di 3
di Rossana Martorelli
La Sardegna diventa bizantina ma fa parte della provincia d’Africa. Giustiniano ha tre linee di programma:
1)i confini erano estesi e bisognava proteggerli con l’impianto di una serie di fortezze. Una prima linea lungo il confine in Bulgaria, Ungheria, Romania, altre fortezze in Turchia (per difendersi dalla temibile Persia), lungo la Siria e in Africa settentrionale. In Sardegna dapprima si fortificano le città, che all’epoca erano portuali, e in seguito si protessero le vie principali, da Cagliari a Porto Torres e da Cagliari a Olbia passando per l’interno, quindi attraverso la Marmilla, la Trexenta e costeggiando il Gennargentu. La Sardegna era il granaio dal quale provenivano le derrate alimentari per l’esercito e nei prodotti agricoli possiamo inserire anche l’attività vinicola. Nelle zone collinari si praticava l’allevamento e si sentì la necessità di proteggere questa area strategica. Spesso si recuperarono le vecchie ville romane, che vennero assegnate a funzionari militari dell’impero bizantino. Oltre agli ufficiali e alle famiglie, nelle nuove fortezze si sistemò la guarnigione militare e tutti coloro, come coloni e agricoltori, che dovevano contribuire alle vettovaglie. Queste ville quindi avevano una duplice funzione: controllo militare della via e mantenimento delle attività agricole. Se i nemici fossero riusciti a forzare la prima linea difensiva bisognava sbarrare la strada con un’altra linea fortificata. Nasceva così una linea parallela di altre fortezze e postazioni di guardia.
2)Il secondo obiettivo era l’unificazione religiosa. Decise dunque di eliminare l’arianesimo e mettere tutto l’impero bizantino sotto l’autorità della Chiesa di Roma. Solo nel 1054 ci sarà la scissione fra bizantini e ortodossi. Il territorio fu completamente cristianizzato, anche se qualche sacca di paganesimo rimase comunque, soprattutto nei territori interni. In questo periodo si assisteva alla vicenda di Gregorio Magno, uno dei papi più importanti della storia. Nella sua opera di evangelizzazione cercò di raggiungere anche i luoghi più lontani, aiutandosi con messi che arrivarono fino all’Irlanda. In Sardegna si nota una fitta corrispondenza con il vescovo di Cagliari Gianuario, continuamente rimproverato da Gregorio perché non si preoccupava delle campagne. Pare che le sacche di paganesimo fossero numerose e che le zone interne non avessero una guida, facendo riferimento soprattutto ai Barbaricini che, come si legge negli scritti, adoravano pezzi di legno (totem) e pietre (menhir). È in questo periodo in cui si iniziò la costruzione di chiesette in campagna. Apparentemente isolate, fungevano da raccordo per i vicini paesi e per le ville dei militari. A volte all’interno delle ville abbiamo ambienti adibiti a luoghi di culto.
3)L’ultimo aspetto fu quello di scrivere un corpus di leggi, il Corpus iuris civilis, ancora oggi alla base del diritto che studiamo noi, e applicarlo a tutto l’impero.
La Sardegna rientra nei due primi filoni: la militarizzazione delle postazioni con gestione anche economica del territorio, e la cristianizzazione con l’edificazione di diverse chiese campestri. Fra le chiese costruite nel periodo bizantino in Sardegna si ricordano San Saturnino e San Giovanni a Tharros. L’arrivo degli arabi fu un grosso problema per l’impero bizantino. Questo popolo partì dalla penisola araba agli inizi del VI secolo indirizzandosi verso il Mediterraneo, considerato il baricentro economico del mondo antico. Conquistò Gerusalemme, Damasco, altre terre nel medio oriente, puntando su Costantinopoli, ma le imponenti fortificazioni della città erano invalicabili. Si indirizzarono allora verso l’Africa settentrionale, arrivando a conquistare Cartagine nel 697 d.C., capitale della provincia d’Africa della quale faceva parte anche la Sardegna. Sebbene alla fine del VII secolo tutta l’Africa settentrionale sia caduta sotto gli arabi, la Sardegna riuscì a difendersi e a mantenere l’indipendenza, diversamente da Cartagine, che fu distrutta e mai più ricostruita (i suoi resti oggi sono visitabili vicino a Tunisi).
La Sardegna in questo periodo ha come referente Costantinopoli, ma vista la lontananza e il fatto che Mediterraneo era infestato dalle navi arabe, iniziò una fase di incremento economico locale. Per sopravvivere non si poteva più comprare dall’esterno e regioni come la Trexenta divennero importanti perché favorirono la produzione locale di agricoltura, allevamento e ceramica.
Mentre i Vandali e gli Ostrogoti lasciarono praticamente libera la possibilità di scelta religiosa, limitandosi ad esiliare gli infedeli, gli arabi distrussero chiese e conventi e, soprattutto in oriente, chi riuscì a fuggire portò in salvo tesori e immagini sacre. Il tragitto di questi religiosi in fuga passò per l’Africa settentrionale per arrivare nell’Italia meridionale, in Sicilia e in Sardegna. Fu così che arrivarono quei monaci orientali che prima avevano i monasteri nella penisola anatolica, in Siria e in Palestina. Tuttora in Sicilia sono conservate moltissime testimonianze. Fino all’XI secolo rimane problematico risalire agli avvenimenti e possiamo parlare di periodo buio in Sardegna. Fa parte dell’impero bizantino ma l’organizzazione risente della lontananza di Costantinopoli e inizia una disgregazione. Progressivamente si formano i 4 giudicati di Cagliari, Arborea, Torres e Gallura. Il giudicato di Cagliari è quello che cade per primo e verrà diviso fra i pisani, mentre nell’ultima fase arrivarono i catalani e gli aragonesi. C’è dunque un passaggio di culture perché si passa dai romani, ai vandali germanici, ai bizantini mediorientali, ai giudicati locali, ai pisani toscani e agli spagnoli.
Quando arrivarono i monaci orientali, il monachesimo era già conosciuto in Sardegna ma era di tipo occidentale. I primi arrivarono con Fulgenzio nel periodo dei vandali, uno dei 200 esuli, che introduce il monachesimo di tipo agostiniano. Il sistema si basa sulla preghiera, sul colloquio diretto con Dio, ma si lascia qualche spazio per il lavoro materiale e si lavora soprattutto nel campo culturale. Ci sono biblioteche e si copiano i codici.
Qualche decennio dopo, Gregorio Magno, con le sue lettere, influenzò molto il monachesimo, lasciando testimonianze di comunità monastiche che venivano fondate da privati cittadini nelle proprie case. Spesso si trattava di volontà testamentarie, ossia chi moriva offriva la propria casa affinché si fondasse una comunità maschile o femminile. Anche l’epoca di Gregorio Magno è attribuibile al monachesimo occidentale, in particolare di tipo cenobitico, dove le persone vivevano in comunità e non in solitudine. Il monachesimo greco è, già in partenza, ascetico. Nacque alla metà del III secolo e si sviluppò sotto Costantino, soprattutto nel deserto dell’Egitto. La spinta fu data dal fatto che Costantino che, quando fu eletto imperatore, introdusse la tolleranza religiosa, favorendo le cosiddette conversioni facili perché il cristianesimo diventò quasi una moda. Alcune persone non gradirono questa svolta perché vedevano cristiani non convinti e i più estremisti lasciarono le grandi città come Alessandria, uno dei poli culturali più importanti dell’antichità, per andare nel deserto. Non avendo di che vivere morivano facilmente e per sopravvivere costruivano delle piccole celle isolate, mentre non c’erano monasteri comunitari. Questo monachesimo ascetico è fatto di meditazione, contemplazione e preghiera, non era previsto il lavoro manuale. In seguito vennero fondate comunità simili a quelle occidentali ma l’aspetto ascetico rimase a lungo tempo.
Fra le testimonianze del monachesimo orientale in Sardegna è un’epigrafe in greco che risale all’età bizantina eseguita su un sarcofago romano più antico. Viene menzionata una “greca monastria”, interpretato come “monasteri greci”, ossia bizantini orientali. Abbiamo anche delle fonti scritte che ci parlano di comunità di monaci orientali a Cagliari, forse temporaneamente.
Un sito importante per il monachesimo orientale è in Egitto, si chiama “Abu Mina” e corrisponde a San Mena, dove attorno al primo monastero si è creata una città, che ha come fulcro una chiesa, il monastero e nelle immediate vicinanze una fonte alla quale i fedeli si recavano per risanarsi in quanto si attribuivano alla sua acqua proprietà mediche. Una delle testimonianze archeologiche è costituita da un’ampollina che raffigura San Mena vestito da militare. Morto in oriente, la leggenda vuole che alcuni soldati che dovevano andare a combattere vicino ad Alessandria portarono sopra un cammello il sarcofago con le reliquie del santo, ma lungo il tragitto l’animale si fermò in un punto ben preciso dove in seguito costruirono la chiesa. Infatti, san Mena è sempre rappresentato mentre prega fra due cammelli. Questa tipologia di ampolline è stata ritrovata anche in Sardegna, probabilmente portate da pellegrini. La circolazione di idee attraverso i viaggi è stata certamente una delle maggiori cause della diffusione del monachesimo orientale anche in Sardegna. Ai monaci orientali viene collegata una serie di luoghi per il tipo di intitolazione; ad esempio Elia era orientale e così viene chiamato il promontorio di Cagliari che da sul mare. In cima c’era un tempio fenicio dedicato ad Astarte ma già nell’Ottocento Giovanni Spano ricordava l’esistenza di un piccolo cenobio abitato da monaci orientali eremiti.
A Siligo c’è Santa Maria di Mesomundu, una chiesetta posta lungo la SS 131, inserita in un complesso termale romano. Di questo luogo abbiamo una notizia importante: quando il giudice di Torres nel 1063 chiese al monastero benedettino di Montecassino l’invio di alcuni monaci per portare in Sardegna la disciplina monastica. I monaci erano già in Sardegna da diversi secoli, ma non quelli benedettini, arrivati più tardi. Il primo luogo che ospitò questi benedettini fu proprio Siligo, che venne tolto ad una comunità orientale. Questa situazione avvenne anche in molti altri luoghi a causa della scissione che avvenne in quel periodo fra la chiesa orientale e quella occidentale. La chiesa di Roma si impegnò proprio nell’eliminare le comunità orientali e concedere le terre ai monaci occidentali, i benedettini. Forse anche la domus de janas di Sant’Andrea Priu, dove nell’ultimo ambiente ci sono una serie di decorazioni di ispirazione orientale, subì la stessa sorte.
Un’iscrizione ritrovata a Cagliari riporta le lettere Monachou ed è riferita certamente ad un monaco greco. Alcune comunità orientali riescono comunque a sopravvivere e ne abbiamo notizia fino al periodo giudicale finale.
San Basilio è un luogo importante per il monachesimo orientale. Importante luogo economico e strategico militare, con fertili terreni coltivabili, fu un importante granaio dell’isola. Costituiva una delle seconde linee di fortificazione dopo quelle costiere. Si è pensato che in questo luogo ci fosse una comunità di monaci orientali soprattutto per via del nome. Quando i monaci arrivarono, difficilmente si stabiliscono nelle aree urbane, mentre preferirono dei luoghi isolati dove dedicarsi prevalentemente alla contemplazione e alla preghiera nel silenzio. Inoltre, una delle attività principali di questi monaci diventerà l’agricoltura e quindi si stabilirono generalmente in campagna.
domani la 3° e ultima parte
Fonte: Atti del convegno di San Basilio nella rassegna "Viaggi e Letture" a cura di Pierluigi Montalbano