Di qualche foto, di un réportage da Gaziantep: che col consenso dell’autore rubo dal blog “Peregrinare turco” (un blog di viaggio - di quest’estate – non più aggiornato: ):
Gaziantep è Arabia: lo si respira dal finestrino abbassato del taxi in corsa verso il centro città. Sono le 22 passate e la notte è frizzante, la vita pulsante: ovunque botteghe di barbieri aperte con clienti che si fanno diligentemente radere il viso, negozi di alimentari, ristoranti Kebap, caffé e pasticcerie, l’orgoglio cittadino. La baklava al pistacchio, ritenuta dai locali la migliore al mondo, e non a torto, sembra essere presa in più seria considerazione della Guerra d’Indipendenza turca e della gloriosa resistenza di Antep ai francesi assedianti nel 1921. La Siria è dietro l’angolo, nascosta da un territorio ondulato e coperto da ulivi e piante di pistacchio, e i galletti ne volevano espandere i possedimenti in quel di Turchia.
La città è un tappeto sparso sui colli, infiocinata da minareti. L’attraverso presto al mattino, incredibilmente non svegliato all’alba dal canto dei muezzin. Sulla kale, la fortezza che domina il centro, sventola rossa contro l’azzurro del cielo la bandiera turca. Raggiungo la mia meta, il museo archeologico, ma non c’è il pezzo forte, i mosaici di epoca romana di Zeugma, trasferiti in un nuovo museo che aprirà il 9 giugno. Troppo tardi. Inutile perdere tempo. Ho solo due ore per scoprire la città e le sue moschee dalle corti rilassanti, ombreggiate da alberelli con acqua corrente per le abluzioni e portico tappezzato di tappeti dove c’è chi dorme lungo svaccato. Intorno spuntano botteghe di artigiani, ramai e calzolai, carbonai che riempiono ceste, caravanserragli e un bazar troppo lindo e sbarluccicante per essere veramente usato dalla gente del luogo. Alcuni edifici sono in restauro, e le impalcature sono da brivido: paletti di legno inchiodati a croce. Verso mezzogiorno ritiriamo le due automobili di lusso.
Ci dividiamo in due gruppi da quattro e marciamo su Sanliurfa, sempre più a est, paralleli alla frontiera siriana e su una statale che attraversa chilometri di campi e decine di stazioni di servizio deserte, una per ogni abitante probabilmente. Un ponte, un fiume largo, improvviso. Una città sulla rupe che scende sulla riva orientale, Birecik. Ci fermiano poco dopo: abbiamo attraversato l’Eufrate.