Per decenni, a giudicare dal gettito decisamente inferiore alle stime, il popolo riuscì ad eludere i balzelli con scambi clandestini, ma, via via che l’organizzazione pubblica si andava stabilizzando, le possibilità di evasione diminuivano. Con la diffusione delle idee socialiste e del sindacalismo, il popolo prese coscienza della propria condizione di sfruttamento e, nel 1898, si ebbero i primi moti di rivolta a Milano e in molte altre città della penisola, da nord a sud. In Sardegna, nei primi anni del secolo, gli episodi di protesta e rivolta si concentrarono in particolare nei distretti minerari e sfociarono nello sciopero di Montevecchio del 1903 e nei tragici fatti di Buggerru del settembre 1904. L’eco di questi due eventi scosse la coscienza popolare della capitale dell’isola che, nonostante il tentativo di razionalizzare la riscossione dei dazi portato avanti dal sindaco Ottone Bacaredda, si trovava nella situazione ideale per palesare tutte le contraddizioni e incongruenze del regime tributario sui consumi. Così, nel 1906 crebbero le manifestazioni di protesta spontanee, da parte di svariate categorie di lavoratori e lavoratrici. La sinistra politica e i sindacati non riuscirono a portare la protesta sotto la loro egida e il 5 maggio alcune operaie della Manifattura dei tabacchi si diressero in delegazione al comune per chiedere al sindaco interventi immediati contro il carovita. Bacaredda, vedendo la scarsa delegazione, sottovalutò l’entità della rivolta (secondo certe fonti, irrise apertamente le operaie). Dopo un comizio spontaneo al Bastione di Saint Remy, divampò la rivolta e la folla decise di distruggere il casotto daziario di Giorgino, situato alla periferia occidentale della città, ma si dovette scontrare con l’esercito. Sulla terra rimasero due giovanissimi operai; tra i feriti, una cinquantina, molti adolescenti, appartenenti a quella particolare tipologia di scugnizzi cagliaritani denominati Piccioccus de crobi, dal nome della cesta che utilizzavano per il loro lavoro di facchinaggio alla stazione e nei mercati della città. Bacaredda si dimise e il ministro cagliaritano del governo Sonnino, Francesco Cocco-Ortu, invocò l’invio dell’esercito per sedare la rivolta.
La notizia della rivolta di Cagliari si diffuse rapidamente e, già nei giorni successivi, si ebbero tumulti nei centri limitrofi, come Quartu e Quartucciu. In breve divampò in tutta l’isola, con scontri violenti e morti a Gonnesa, Nebida, Villasalto, Siniscola e Bonorva. In alcuni casi, le autorità locali vennero messe in fuga e la popolazione si organizzò autonomamente. La repressione non si fece attendere e l’agonizzante governo Sonnino inviò navi militari con due compagnie di Bersaglieri ciclisti per raggiungere nel più breve tempo possibile tutti i centri della rivolta. L’ordine venne riportato ovunque e, con l’entrata in carica del III governo Giolitti, vennero attuate misure per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori del meridione, con aumenti salariali, riduzione degli orari, limitazioni del lavoro minorile e una più equa imposizione fiscale.