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I nati del 2012: speriamo che vogliano essere italiani

Creato il 01 gennaio 2012 da Albertocapece

I nati del 2012: speriamo che vogliano essere italianiAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ripongo molte aspettative in Takwa, tunisina e Sofia vietnamita, le prime nate sul nostro suolo ma che non potranno essere italiane prima di 18 anni.
Si ho fiducia nel loro arrivo di bambine in un paese troppo vecchio, così vecchio da pensare di potersi permettere di non considerare cittadine a pieno titolo due creature innocenti nate qui, che respireranno la nostra aria un po’ troppo inquinata, berranno la nostra acqua non si sa per quanto pubblica, pagheranno le nostre tasse, alte, guarderanno la nostra cattiva tv e forse dopo tutto questo saranno loro a non voler far parte di questo popolo arrendevole quanto accidioso, diffidente quanto codardo coi forti.

Si sarebbe bello che ci accogliessero nel loro futuro, nella loro speranza, nella loro integrità di bambine, nella loro giovinezza, nella loro curiosità del mondo, nella loro vita. Che noi abbiamo coscientemente limitata, perché è una vita esposta, senza “passaporto”, senza riconoscimento di cittadinanza, che perciò non appartiene interamente perché non è legittimato il prima e nemmeno il dopo per ben 18 anni.
Le abbiamo condannate prima di nascere a una vita più nuda, privata di formalizzazione, spogliata del diritto a sentirsi radicata. Perché guardiamo anche a loro così piccole da stare in un guscio di noce, come figure indistinte delle avanguardie di tante invasioni presenti e future, incontrollabili dalla smania burocratica, simboli del disordine minaccioso dell’ipermodernità, che devono stare in una oscena sospensione di diritti ma in una conferma incivile di doveri, sottoposte a un regime di sorveglianza come predestinate alla trasgressione più che alla servitù.

Ma ho molte speranze in loro. Che la loro forza bambina risvegli l’umano in noi, ci aiuti a allontanare il contagio amministrativo e burocratico che ha così infami precedenti e un così puntiglioso esercizio fatto di esclusioni, controlli, barriere alle frontiere, permessi, autorizzazioni, segregazioni. Incivile quanto le velleità di integrazione: regole condivise, oneri ripartiti, anzi un po’ di più perché pare che diventare italiani richieda una remissione di tradizione e identità e molti sacrifici, l’ossessione di farli diventare come noi, tra sopraffazione e paternalismo, tra crudeltà e ingegneria filantropica, tra crudeltà e indifferenza.

Si ho molta fiducia in Tawka e Sofia e in tanti altri. Che ci facciano beneficamente vergognare di avere scelto la separazione e l’esclusione accettando per la seconda volta delle leggi razziali ignobili, che ci facciano sentire come un oltraggio alla democrazia il privilegio dell’impunità per pochi e la predestinazione alla colpa per altri, molti. Che ci facciano riconoscere tra noi, loro e noi, come uguali di fronte alla legge, di fronte ai doveri, ma ancora più uguali nelle differenze di fronte ai diritti.


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