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Nel 2010, complice il Primavera Sound, rimasi folgorato dai Fall, che pure già conoscicchiavo fin dai Novanta, e mi appropriai di tutta la loro sterminata discografia in pochi mesi. Quest'anno é la volta dei New Order, gruppo da me sempre evitato e per fortuna del mio portafogli autore solo di pochi album, tutti peraltro reperibili a prezzi stracciati.
I New Order dominarono le classifiche in lungo e in largo per tutti gli anni 80 infilando una serie impressionante di singoli consecutivi al primo posto delle classifiche indie inglesi, tra cui "Blue Monday", il 12" più venduto della storia della musica contemporanea. Il dominio non era limitato al rock cosiddetto alternativo, new wave, indipendente o vattelapesca, ma si estendeva - ohibò! - all'ambito dei club, della musica elettronica, in una parola(ccia) dance. "Dance", per uno musicalmente snob come il sottoscritto che avrà messo piede (trascinato) in discoteca si e no 5 dimenticabilissime volte in vita sua, é sempre stata una parola da pronunciare il meno possibile, un'idea da evitare come la peste. (Salvo poi adorare gruppi come i Primal Scream, che della fusione tra musica indie rock e ambiente da club hanno fatto la loro bandiera. Lo so, son strano).
Bernard Sumner, Peter Hook e Stephen Morris, per i quattro gatti che non lo sapessero, prima di diventare i New Order (con l'aggiunta di Gillian Gilbert, compagna del batterista), erano i 3/4 di un altro gruppo che ha fatto la storia del post punk inglese: quei Joy Division che, oltre che per la musica dei loro soli due album di studio incisi tra il 1978 e il 1980, vengono ricordati soprattutto per il carisma e la tragica fine del loro leader, Ian Stewart. Ma i tre non erano semplici comprimari, essendo coautori di tutte le canzoni insieme a Stewart; la stoffa c'era già insomma. Così, smaltite rabbia e dolore per la perdita con un paio di singoli e un album di transizione ("Movement", ancora pesantemente - e comprensibilmente - legato alle sonorità Joy Division) i Nostri decisero di mettersi a frequentare i club di NYC e di aprirne uno tutto loro a Manchester: l'Hacienda. Da lì in poi le sonorità iniziarono a fondere sempre più new wave ed elettronica, i ritmi diventarono più ballabili e le tastiere tolsero progressivamente spazio alle chitarre. Il basso inconfondibile di Hook, quello invece resterà sempre in primo piano, vero marchio di fabbrica del gruppo.
Ispirati tra gli altri da gruppi come i Kraftwerk, sfornarono una sequenza di album splendidi e innovativi (da "Power Corruption and Lies" del 1983, il mio preferito, almeno fino a "Technique" del 1989, passando per "Low-Life" e "Brotherhood") e soprattutto una sfilza di singoli mozzafiato, mai inseriti negli album (ma raccolti nel doppio "Substance" del 1987) e sempre in cima alle classifiche, guadagnandosi il rispetto sia del mondo "indie" sia i soldoni di quello mainstream.
Gruppo interessante e peculiare anche nelle scelte di immagine. Con l'unica eccezione di "Low-Life", non apparvero mai sulle copertine, sempre affidate allo studio di Peter Saville, già responsabile delle cover dei Joy Division; raramente rilasciarono interviste tenendo una posizione decisamente low profile e, se vogliamo, sottilmente anticommerciale. Lo stesso Sumner, a cui toccò la parte del cantante dopo la dipartita di Stewart, non si può certo definire il frontman del gruppo; anzi con il suo timbro esile e timido pare scegliere la penombra piuttosto che la luce dei riflettori. Gruppo senza leader quindi, quasi a voler lasciare questa parte al vecchio amico Ian anche dopo la sua morte e il cambio di ragione sociale.
A partire dai Novanta, tra temporanei scioglimenti, dimenticabili progetti paralleli e album trascurabili (valido il solo "Get Ready", decisamente più chitarristico, non altrettanto "Republic" né l'ultimo "Waiting for the Sirens to Call"), dei New Order é rimasto poco se non la fama e il rispetto dei molti seguaci. Quello che era stato un mix innovativo è spesso divenuto musica banalotta e senza ispirazione, fatta eccezione per qualche sporadico guizzo ("Crystal", ad esempio). Come ogni gruppo di lungo corso che si rispetti non si sono fatti mancare nemmeno la triste fine fatta di liti a distanza sui giornali (tra Hook e Sumner in questo caso) e mezze reunion (senza Hooky, appunto) fatte per sfruttare il nome e tirare avanti la carretta. I tre superstiti sono in tour e già si sa che suoneranno al concerto di chiusura delle Olimpiadi di Londra 2012. Amen.
Comunque, sarà la maturità del quarantenne, una ritrovata apertura mentale, la riscoperta tardiva di quegli anni Ottanta tanto vituperati o magari un inizio di rincoglionimento senile (il dubbio mi resta, lo confesso), fatto sta che ora mi piazzo in cuffia "True Faith", "State of the Nation", "Subculture" o "Age of Consent" e nonostante i tastieroni mi piacciono, accidenti se mi piacciono.
E a ben pensarci, già in una delle canzoni più note dei Joy Division Ian cantava "Dance, dance, dance...". Chissà che in qualche modo non fosse già tutto scritto nel destino.
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