Scoprite con noi gli istanti che hanno generato la Nintendo Difference
Nel suo fin troppo citato "Il tennis come esperienza religiosa", lo straordinario David Foster Wallace non tenta solo di definire la grandezza di Roger Federer come atleta e poeta del movimento, bensì individua alcuni istanti particolarmente pregnanti, incredibili e/o antigravitazionali, quasi inspiegabili, regalati dal maestro ai propri fedeli: i cosiddetti "Federer Moments", delle debordanti vette di breve durata in cui confluiscono tutte le straordinarie virtù dello svizzero. Diversi chilometri sotto queste alture e con un preventivo battesimo d'umiltà, certi e convinti che non abbiano troppo a che fare né con Wallace né col maestro svizzero, potremmo traslare queste caratteristiche al mondo dei videogiochi: la sedicente Nintendo Difference, ammesso che esista, è fondata sia sull'originalità delle opere kyotensi sia sul loro decennale artigianato. Ci pare realistico tuttavia credere che, se dall'impressionante struttura non fossero affiorate quelle cime singole ed eccezionali - che, appunto, potremmo definire "Nintendo Moments" - la Nintendo Difference ora non sarebbe così celebrata com'è ora. Siamo sicuri che, mentre leggete queste parole, varie immagini si stiano impossessando della vostra mente: il Forest Temple di Ocarina of Time, il primo livello di Super Mario Bros., le Chozo Ruins di Metroid Prime, i Pikmin succulenti sgranocchiati dal nemico. E tante altre ancora: non esitate a dirci quali nei commenti. Oggi, per quanto ci riguarda, ne trattiamo una sola: la Torre più speciale dei platform 2d, quella di di Super Mario Bros. 3.
twittalo! Nel platform perfetto, classe '88, c'è uno stage strambo e unico: una Torre. Uno dei "Nintendo Moments"!
Giù per terra
Non siamo qui per osannare di nuovo le qualità generali del terzo platform di Mario, ma non possiamo esimerci da una breve - davvero - premessa per lasciar intendere, a chi non abbia vissuto quegli anni, di che gioco stiamo disquisendo: al momento dell'uscita, nel 1988 (in Giappone), Super Mario Bros. 3 sembrava un'opera atterrata dal futuro. Un abisso tecnologico la separava, e per lungo tempo l'avrebbe separata, da qualsiasi altro titolo su NES: una gargantuesca differenza che difficilmente trova paragoni in produzioni odierne.
Era così impressionante, bello e variegato da circoscrivere i predecessori alla preistoria (nonostante fossero al massimo tre anni più vecchi), e da costituire una minaccia per tutti gli eredi: se Super Mario World di fatto se la gioca alla pari - pur concepito e partorito su una console più potente - nessuno nel pieno possesso delle proprie capacità cognitive potrebbe paragonare i vari New Super Mario Bros. al terzo capitolo. E sono passati vent'anni, intere ere geologiche in questo elettronico mondo accelerato. C'è un singolo aspetto di Super Mario Bros. 3 però che merita di essere riscoperto, essendo stato sommerso dalla magnificenza - in questo campo - del diretto successore: stiamo parlando delle mappe dei mondi, un concetto che esso stesso ha introdotto nella saga. Prima di questo titolo l'ortodossia del genere consisteva nell'affiancare vari stage senza soluzione di continuità; dopo di lui, un collante - benché minimale - sarebbe divenuto quasi obbligatorio. In Super Mario Bros. 3 ci sono otto mappe per otto ambientazioni distinte: ognuna diversificata per conformazione, musica e cromatismi. Ma nessuna tanto diversa dalle altre quanto la quinta, che immediatamente dichiara la propria anomalia: un percorso apparentemente composto da tre soli stage (una miseria), i prevedibili imprevisti, l'immancabile fortezza e una stramba, babelica torre mai incontrata prima. Il tutto incorniciato dalle nubi. I tre livelli sono brillanti (come quasi tutti quelli del gioco, del resto), il 5-3 addirittura spreme l'alternanza dei versi - sinistra/destra e destra/sinistra - come pochi altri, e introduce perfino la celebre Goomba's Shoe. Tutto bello, ma senza Torre non ne staremmo parlando in questo momento. Super Mario Bros. 3 - Trailer della versione Wii ULa Torre
A segnare l'ingresso nella mariesca Babele è una sensazione di curiosità e incertezza: perché la sua icona sulla mappa è un unicum e quindi l'avvenire risulta ignoto ma, allo stesso tempo, si ha la sicurezza che non può costituire la conclusione del quinto mondo. Perché arriva - come detto prima - dopo pochi livelli, e perché ogni ambientazione è chiusa, in questo gioco, da un castello dominato da una nave Koopa. Si tratta di un avamposto nemico in linea con le fortezze, e ce lo dice la colonna sonora, visivamente marchiato dal caratteristico pavimento a scacchi e dall'ipnotica "texture" di rettangoli intrecciati sullo sfondo; le stentoree colonne ritmano l'incidere del protagonista. Ad ostacolare il cammino sfere rotanti e Twomp. Un'atipicità - in quanto fortezza - si palesa tuttavia dopo pochi metri: il percorso si interrompe, e un tubo ci conduce verso l'alto.
È una torre a tutti gli effetti - non solo nell'aspetto quindi - e la stiamo scalando. Il secondo piano è paragonabile al primo, solo che va attraversato da destra a sinistra, e anch'esso si conclude con un tubo che però, stavolta, ci porta all'esterno della costruzione piramidale: i mattoni sono distruttibili (e animati), gli ostacoli quasi inesistenti (precipizi a parte), e la sezione principalmente scenica. Un altro tubo e si sale, tornando dentro. In pieno stile Nintendo, adesso che gli elementi sono stati presentati, vengono mischiati e complicati: ora sfere rotanti e Twomp sono complici, più vicini e minacciosi, nonché intervallati da letali punte acuminate. Da sinistra a destra, poi si sale e via di nuovo da destra e sinistra, e anche in questo caso è solo narrazione: nessun nemico, solo scalata da un tubo all'altro, ed eccoci di nuovo all'esterno, stavolta sulla sommità della torre. Ad affiancare la nostra Babele adesso lievita una nuvola sulla quale saltare - presieduta da una tartaruga - a sua volta sormontata da una serie di mattoni, uno dei quali genera una pianta che si inerpica verso un altro nembo più elevato; il cielo, solo il cielo, sullo sfondo mentre Mario si arrampica. Arrivati in vetta all'ultima nube, in rigoroso percorso verticale, ci si imbuca in un altro tubo che... sigla la fine dello stage. Niente sfondo nero, niente cubo da arrestare: una conclusione illusoria e del tutto atipica che porta l'idraulico nella seconda parte della mappa, dalla musica soave e ambientata tra i nembi. La torre si rivela una "semplice" connessione tra una sezione del mondo e l'altra. Ad attendere Mario ci sarebbero stati altri sei livelli e una seconda fortezza (oltre al castello finale), ma a rimanere nella storia del game design sarebbe stata la mappa bipartita, e soprattutto la connessione "giocata" tra terra e cielo: una leggendaria fusione tra micro e macrostruttura. Uno dei "Nintendo Moments".