Molto spesso siamo portati a pensare al nostro competitor solo come ad un nemico, una forza da combattere per raggiungere il nostro obiettivo. In alcuni settori della società questo meccanismo si accentua. In altri, invece, sarebbe meglio cominciare a vedere il nostro competitor come a una risorsa per migliorarci
Fra le tante conversazioni che nascono su Facebook, emergono di frequente veri e propri paradossi.
Magari non ce ne rendiamo conto, ma è un paradosso ritenere il competitor una risorsa oppure simpatizzare col nemico (troller, azienda, cliente altrui, ecc.) per vincere una competizione.
Perché in fondo, fin da molti millenni di anni fa, il competitor era chi voleva per se stesso esattamente quello che vogliamo noi.
Quindi, il nemico. Nemico antropologicamente spiegato come chi vuole rubarci qualcosa. Qualcosa che magari non abbiamo ancora, ma che stiamo finalmente per conquistare. E diventa nemico arrivando prima di noi a mettere il proprio vessillo sul terreno in gioco. Materiale o mentale. Prodotto o persone.
Millenni dopo, il competitor non è poi così diverso. Sono cambiate le armi, sono cambiati i ruoli – per le donne, soprattutto – sono cambiate le dinamiche.
Non e’ che l’altra faccia di noi, in qualsiasi campo ci troviamo. Magari è più spiritoso e gagliardo, ma è pur sempre smaliziato e pronto a fregarti.
E poi vi vengono a dire che può essere una tua risorsa? Un paradosso, appunto!
E’ nostro rivale e come tale farà di tutto per vincere. Aziendalmente, per portare a casa clienti e soddisfarli per non perderli. A livello personale, per trovare un accordo e una sintonia tale da creare nuove relazioni.
Mentre scrivo penso alla pubblicità, quella che oggi guardiamo in TV. Siete, tuttavia, completamente liberi di portare questa riflessione in qualsiasi campo di vostra competenza.
Profumi. Macchine.
Credo veramente che siano fra i settori più statici nelle pubblicità contemporanee. I protagonisti sono sempre modelle e modelli di successo, vestiti divinamente e il clou della scena è lo stupore al loro apparire, l’invidia di chi guarda, dal divano, la loro bellezza.
Tuttavia, il pubblicitario è furbo: non vuole farci scappare. Ha trovato una via per rendere quell’invidia sostenibile, risolvibile: l’utente è sollevato perché, in fondo, basta comprarlo quel profumo.
E’ la vittoria dell’apparenza, ma va bene così: siamo grandi abbastanza per sapere che il mondo del marketing e dell’advertising si regge su questi giochetti.
Però poi succede che virino le tendenze, che cambino le mode, e se vogliamo stare al passo col mercato dobbiamo per forza cambiare.
E si cambia sempre iniziando a guardarsi intorno. Studiare le mosse e capire come si comportano i nostri rivali, i competitor che abbiamo.
Loro – lo sappiamo perfettamente – nello stesso modo stanno guardando e studiando noi.
Un’implicita lotta tra rivali per chi arriva primo all’idea creativa, alla soluzione adatta per il cliente, alla ricetta per il successo.
La spinta a eccellere sul nostro competitor è quella che ci porta a dare il massimo di noi, perché sappiamo che c’è solo un primo posto sulla scena, e vogliamo sia nostro.
Personalmente – proprio perché siamo grandi abbastanza per capire come funziona il mercato – non credo che ci sia nulla di male nel considerare i propri competitor una grande risorsa, fonte di energia e forza nuova, di vigore, di nuove possibilità.
Non copiando – attenzione, però! -. Né giocando sporco.
Come fosse un gioco che ha come traguardo l’innovazione e come pedine la creatività.
Questo è il gioco, pulito, che mi piacerebbe vedere nel mondo pubblicitario di oggi.
Studiamo il nostro competitor.
E’ la nostra risorsa migliore, perché ne possiamo infrangere le regole di marketing, utilizzare strategia nuove, inesplorate, emozionali e percorrere una strada alternativa.
Questo è ciò che io chiamo Creatività e Innovazione.