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I nostri padri continentali

Creato il 02 agosto 2010 da Julesdufresne

I nostri padri continentali

“L’agire del soggetto è un agire negativo, che nega l’immediatezza dell’Idea e che nondimeno, negandola, contemporaneamente la ri-produce come realtà effettuale, come Spirito reale: ciò significa che il soggetto, portatore di infinita negatività nella propria libertà formale moderna, agisce politicamente ma non ‘costruisce’ la politica, il cui orizzonte di possibilità è l’Idea. E’ questa la mediazione concreta, ovvero il movimento che va dall’Idea all’agire negativo del soggetto e che ritorna, arricchito di determinazioni concrete, allo Spirito. [A Hegel è] chiaro che dallo stato di natura non si esce col contratto, con la mediazione semplice, ma con l’automediazione concreta della sostanza etica, del popolo che rinuncia alla propria immediata identità sprofondando nell’alienazione del lavoro e nei conflitti fra le diverse soggettività, solo attraverso i quali si rende possibile la realizzazione concreta dell’universale.”
Carlo Galli, Genealogia della politica (il Mulino, 1996)

“«Non muoverti!», tuttavia, non è un comando così semplice. Esso porta alla domanda «Cosa vuoi dire? Vuoi che faccia qualcos’altro?» o «Non posso certo star fermo come una statua!».
Una frase come «Non disturbarmi» è più ambigua di un «Fuori di qui, immediatamente!». «Fermi tutti dove siete e non toccate niente!» non è un’ingiunzione facile ad obbedirsi se è rivolta da un dirottatore ai piloti di un aereo in volo a 30.000 piedi di quota. «Non disturbarmi» non è così semplice, quando è detta da un padre stanco al suo figlio piccolo. La risposta – invariabilmente – è «Devo andarmene via o vuoi solo che stia zitto», o «Posso parlare da solo?», o «Fa’ niente se ascolto qualche disco?». In simili situazioni, dire semplicemente «non disturbarmi» è ambiguo, mentre «vai a giocare in giardino» è semplice.”
Thomas Schelling, La diplomazia della violenza (il Mulino, 1969)

Ora, messi di fronte all’alternativa tra quale dei due libri leggere, e pur controllando per la differenza di oggetto, di registro e di forma – controllo che certa filologia mi negherebbe all’istante – , quale saggio scegliereste? Sull’astratta, infallibile assenza di colloquialità dello studioso di dottrine politiche ci sarebbe da dire molto: Galli nega una piena valenza nella contemporaneità del pensiero di Carl Schmitt, e di sicuro il giurista tedesco si fermò alla crisi del moderno includendola nel suo sistema senza scavalcarla, ma la scrittura di Schmitt è a un tempo universale e classica quanto il suo pensiero, fabbrica di senso e insieme veicolo estetico; quella di Galli, al confronto, è accademia.
Al cospetto della familiare potenza evocativa dell’immagine di uno studioso di economia e strategia americano (non lasciatevi ingannare dal nome) che, un numero invertito tra anni e decenni prima, caccia dalla stanza il figlio per poi riflettere su comportamento e relazione nella situazione in cui era stato coinvolto, dissezionarli e, magari, richiamare il circospetto pargolo al capezzale, impolverato e graffiato, metterlo a disagio osservandone con il sopracciglio alzato i pori più invisibili (e chissà se non fosse stato egli stesso, quel bambino che giocava nell’erba, allontanato dallo studio del genitore quarant’anni prima), il lungo ed erudito libro di Galli cede come una grossa pera matura.

Sembra che gli scrittori di saggistica italiani abbiano ancora molto da imparare dai pragmaticisti del continente-isola di Vinland.



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