I NOSTRI primi 150anni di ARTE

Creato il 14 marzo 2011 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Parliamo di arte con il professor Flavio Caroli utilizzando lo spazio televisivo di Chetempochefa per ripercorrere la storia della “squadra” dei pittori che in 150 anni l’Italia può vantare e dunque come il nostro paese si è posto competitivamente sul mercato della produzione artistica e cosa ha fatto l’arte italiana rispetto alle altre nazioni.

Partiamo subito da: “Il bacio” l’opera, realizzata nel 1859, appartiene alla maturità di Francesco Hayez, ed è uno dei dipinti più noti della pittura dell’800 italiano. Quadro del Risorgimento per eccellenza, esposto a Brera in occasione della visita di Napoleono III e Vittorio Emanuele II. La scena è tradotta in termini di un coinvolgimento emotivo dello spettatore tipicamente teatrale e con una seminascosta allusione politica agli ideali del Risorgimento. Il ragazzo coperto dal mantello, col berretto calato sugli occhi, il viso in ombra e un pugnale nella cintura, suggerisce l’idea di un cospiratore o un rivoluzionario. Il piede sullo scalino, come se dovesse scappare. Per contrasto al dinamismo della figura maschile, la ragazza è completamente abbandonata, il corpo arcuato all’indietro e la mano che sembra più aggrapparsi che abbracciare. Lo snodo delle anche della giovane riporta alla mente  componenti di effusione sentimentale, sensualità, colorismo vivace e accattivante che si ritrovano in gran parte dei soggetti erotici presentati da questo artista.

Facciamo un salto e scavalchiamo l’impressionismo per arrivare direttamente al simbolismo di  Giovanni Segantini con l’opera: “Ritorno dal bosco”, questa composizione è una delle varianti del paesaggio invernale di Savognino, in cui le delicatissime gamme cromatiche, tendenti agli azzurri, ai grigi, agli spenti verdi-bulastri, stese con forti ed efficaci contrasti, conferiscono all’insieme una carica di significato simbolico. A questo proposito basti osservare la scena in primo piano con il grosso e contorto ceppo trasportato sulla slitta.

Nel ventesimo secolo in Germania si afferma l’espressionismo e in Francia il cubismo,  da cui partono le idee del pensiero moderno, l’Italia schiera al centrocampo il Futurismo con l’energia della modernità, le forme in movimento, il dinamismo e la vita di Umberto Boccioni con il suo “La città che sale. Capolavoro futurista il cui titolo originale è Il Lavoro, rappresenta un cantiere dove stanno costruendo vasche per l’acqua destinate ad una centrale termoelettrica di Milano. Una scena confusa e sfuocata grazie alle pennellate ancora filamentose e al contrasto di luce e colore: tuttavia è possibile distinguere sullo sfondo impalcature di costruzioni e ciminiere fumanti. L’artista vuol comunicarci l’idea del movimento e della fatica umana e animale attraverso la simultaneità, che consente la presenza contemporanea del cavallo sia sullo sfondo che in primo piano, dove è ostacolato dal gesto dell’operaio che cerca con tutte le sue forze di fermarlo, aggrappandosi alle briglie. Il cavallo è per Boccioni ciò che la macchina significa per Marinetti: il simbolo del progresso, della crescita urbana ed economica propri dello spirito moderno.

Carlo Carrà con il  “Cavaliere rosso” dipinge la massima espressione della dimensione  energetica, dove la  poetica si ispira alla vita moderna dominata dai miti della velocità e del progresso. Il linguaggio di ciascun futurista, si fonda su un intento comune che è quello di formulare uno spazio dinamico,  gli oggetti in movimento  si moltiplicano e si trasformano. La modificazione, determinata dal moto, coinvolge simultaneamente le cose e lo spazio, determinando la loro compenetrazione. Il dinamismo ispira la scomposizione delle forme e dei colori. I futuristi frammentano la rappresentazione per ricomporla in una vorticosa sintesi, ponendo lo spettatore non più davanti ma al centro del quadro.

Poi arriva Amedeo Modigliani che viene  adottato dai francesi ai quali mancava l’erotismo rarissimo dei tagli precisi, l’ eleganza formale di un senso di femminilità rarefatta, allungando i colli, come nessuno aveva osato propone, in pittura, una nuova dimensione che sembra fare la sintesi della modernità di Picasso e Matisse.

All’orizzonte italiano si delinea  il genio di  Giorgio De Chirico con uno dei quadri più emblematici dell’arte : “Le muse inquietanti”.  Colori  caldi ma fermi e privi di vibrazioni atmosferiche, la luce è bassa, le ombre lunghe e definite nettamente; la prospettiva accentuata dalle linee convergenti in profondità, su una specie di palco ligneo rialzato, crea un vasto spazio allucinante, mentre sullo sfondo il castello estense ci richiama al grande passato della città, le ciminiere, al suo presente. La città è deserta, le ciminiere non fumano, tutto è statico e sospeso. In questo luogo sognato, solo apparentemente reale, dove tutto è immobilizzato, non possono abitare uomini, esseri viventi ma solo manichini, che hanno solamente l’aspetto dell’uomo, non l’essenza . Le muse sono inquietanti come lo sono certi sogni, certi incubi, dove tutto sembra reale ma non lo è perchè è dato dal nostro inconscio. I motivi tratti dalla realtà quotidiana sono riuniti senza un motivo giustificabile sul piano razionale. E’ questa la forza di De Chirico.

E a questo punto gli italiani fanno scendere in campo un grande nome: Lucio Fontana che mette in comunicazione lo spazio fisico con lo spazio reale nella pittura astratta, negando qualsiasi immagine dello spazio rappresentato dalla pittura e dalla scultura tradizionale. Fondatore del movimento spazialista. Come pittore riesce ad andare oltre la pittura, oltre la tela, sonda l’area al di fuori del quadro che è pure esso una parte di spazio. Infrangendo la tela con buchi e tagli, egli supera la distinzione tradizionale tra pittura e scultura. Lo spazio cessa di essere oggetto di rappresentazione secondo le regole convenzionali della prospettiva. La superficie stessa della tela, interrompendosi in rilievi e rientranze, entra in rapporto diretto con lo spazio e la luce reali. Come gesti apertamente provocatori vanno intese certe sue tele monocrome che, quali i buchi ed i tagli, scandalizzarono il pubblico anche per l’apparente facilità con cui sembra possibile rifarle.

Alla fine di questo breve ma intenso e coloratissimo viaggio artistico attraversi i quadri dell’unità d’Italia, possiamo dire che rispetto alla  produzione dell’arte pittorica, la nostra patria può vantare una netta vittoria almeno per quanto riguarda gli ultimi 50 anni, per il resto diciamo un bel pareggio.

Per il futuro speriamo vinca sempre e comunque la forza della bellezza creativa dell’uomo.


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