Due fratelli della Roma bene, uno primario in pediatria, l'altro avvocato di grido si frequentano con affettuosa tolleranza verso le diverse visioni della vita, fino a quando i rispettivi figli sedicenni, Benedetta e Michele, non compiono un tremendo atto di violenza della cui gravità non sembrano rendersi conto...
Se è vero che un film si giudica dai primi minuti, il prologo de I nostri ragazzi è quanto mai emblematico per tutto il film: siamo in un quartiere periferico di Roma, per un banale sgarro al semaforo un automobilista con il figlioletto a bordo si infuria e insegue chi gli ha tagliato la strada per la resa dei conti. L'automobilista colpevole ha uno spiccato accento campano che non fa presagire nulla di buono infatti quando viene aggredito a colpi di crick non esita a sparare all'aggressore. Dopo di che urlerà la sua disperazione dichiarando di essere un poliziotto.
Una scena di ordinaria follia giocata però sul cliché del campano camorrista da cui ci si aspetta lo sparo ribaltata poi dal colpo di scena che rivela l'assassino come esponente delle forze dell'ordine.
Questo meccanismo stilistico percorre tutta la pellicola: i due fratelli rappresentano, nei gesti, nelle abitazioni, persino nelle mogli che si sono scelti, il classico cliché del progressista e del cinico in carriera disposto a tutto per i soldi, il colpo di scena finale sta nel rovesciamento dei ruoli. Più che un film sulla devianza giovanile, liquidata con un po' di alcol e l'assuefazione allo smartphone e alle web serie violente, sembra il solito film sulle due anime politiche degli italiani, lanciato da Ferie d'Agosto di Virzì e poi sfruttato allo sfinimento per concludere che in fondo destra e sinistra sono la stessa cosa quando in gioco ci sono gli interessi personali. Pellicola superficiale e qualunquista, superflua nonostante la buona prova degli attori.