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I numeri di Rio+20: tanto rumore per nulla?

Creato il 01 agosto 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
I numeri di Rio+20: tanto rumore per nulla?

L’atteso vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile si è concluso poco più di un mese fa (13-22 giugno 2012). Il primo “summit della Terra”, anch’esso svoltosi a Rio de Janeiro nel 1992, terminò con una “Dichiarazione sull’Ambiente e lo Sviluppo” e con una grande prospettiva: attivare, entro il XXI secolo, iniziative di sviluppo sostenibile a livello nazionale, territoriale, regionale attraverso un programma denominato “Agenda XXI” che consentisse il passaggio dalla dimensione globale a quella locale (“Pensiamo globalmente, agiamo localmente”). “Agenda XXI” ha riscosso notevole successo aprendo la strada a collaborazioni fra pubblico e privato e mettendo in relazione tutti gli stakeholders in un processo di partecipazione condivisa finalizzata all’ideazione e realizzazione di progetti sostenibili per la comunità. I risultati più evidenti sono contenuti nei “Piani di Azione Locale” che le Comunità hanno redatto ed attuato adottando modelli d’integrazione sociale, economica ed ambientale.

A distanza di vent’anni dal Summit del 1992, la Conferenza delle Nazioni Unite di quest’anno si è aperta con un obiettivo accattivante: costruire il “futuro che vogliamo”. Un futuro che dovrà essere ispirato da nuove idee ed azioni promanate dalla Conferenza, che dovranno orientarsi intorno a tre linee d’indirizzo:

  1. Creare le condizioni per garantire lavoro e crescita economica associata alla protezione dell’ambiente e all’inclusione sociale, atteso il periodo di crisi registrato dall’economia con l’attuale stagnazione dello sviluppo, la riduzione dell’occupazione e l’amplificazione del divario fra ricchi e poveri;
  2. Costruire un futuro volto a ridurre il problema della fame, della denutrizione dei bambini e della mancata rappresentanza delle fasce più deboli della società;
  3. Promuovere un uso più efficiente delle risorse naturali – visto il rischio del loro completo depauperamento già paventato dalla mancanza di cibo e dall’insufficiente disponibilità di combustibili – nonché una politica che preservi le risorse idriche, tuteli la qualità dell’aria ed utilizzi in maniera responsabile il territorio.

 
Queste le aspettative a cui tutti abbiamo guardato con interesse. Ora è interessante verificare se i lavori della Conferenza abbiano prodotto o meno risultati concreti, soddisfacendo le attese, e quali siano stati i “numeri” di Rio+20.

I numeri

Il paese e la città scelti per il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile hanno immediatamente suscitato consensi, sia per la continuità con il passato (precedente Conferenza delle Nazioni Unite), sia per il riconoscimento nei confronti di una regione, il Brasile, che dello sviluppo sostenibile ha raccolto la sfida. Sfida importante, considerato che il Brasile è uno dei Paesi con un’economia in crescita ed in cui la partnership pubblico-privata è l’asse portante per gli investimenti nell’industria, nell’agricoltura, nell’energia, nelle infrastrutture. Una visione integrata di sviluppo, quindi, nella quale i diversi settori si confrontano e si completano per dare prospettive concrete alle giovani generazioni ed abbattere le barriere che ostacolano la sconfitta radicale dei grandi problemi del mondo: fame, povertà, scarsità delle risorse, degrado ambientale. Nessun Paese è sembrato migliore, quindi, per discutere e progettare il futuro; per realizzare un nuovo modello di sviluppo basato sull’inclusione sociale, sull’economia verde e sulla tutela ambientale. Propositi molto ambiziosi da discutere nel corso dei dieci giorni della Conferenza che sono stati d’intensa attività: sono stati coinvolti 191 Stati membri delle Nazioni Unite, compresi 79 capi di Stato e di Governo, si è registrata la presenza di circa 44.000 persone negli incontri ufficiali, con 500 eventi collaterali nella sede della Conferenza (RioCentro), mentre gli eventi non ufficiali organizzati sono stati 3.000. Una così grande partecipazione ha permesso al Presidente della Conferenza, Dilma Rousseff (Brasile), di affermare che la manifestazione è stata una “espressione globale di democrazia”.

La forte risposta di partecipazione si è rivelata, però, una risposta debole alle istanze poste dalla Conferenza: i partecipanti sono stati sollecitati ad assumere impegni volontari che, poi, si sono tradotti essenzialmente in “promesse finanziarie” per l’attivazione di iniziative a favore delle popolazioni più povere e non in azioni programmatiche vincolanti per il raggiungimento di obiettivi concreti. Alla chiusura della Conferenza sono state confermate 700 “promesse di finanziamento” da parte dei Governi, del settore privato, della società civile e di altri gruppi, per un totale di 513 miliardi di dollari. In particolare:

  1. Gli USA hanno annunciato una partnership con i Paesi Africani destinando 20 milioni di dollari per favorire progetti sulla “clean energy” in Africa;
  2. Il Brasile ha promesso 6 milioni di dollari all’UNEP (United Nations Environment Programme) per i Paesi in Via di Sviluppo (PVS) e 10 milioni di dollari da destinare alle misure di mitigazione/adattamento ai cambiamenti climatici per l’Africa, gli ultimi Paesi sviluppati, le piccole isole dei PVS;
  3. La Commissione Europea si è impegnata a svincolare 400 milioni di euro a sostegno di progetti per l’energia sostenibile;
  4. Il Giappone ha annunciato generici fondi per un programma triennale finalizzato a ridurre i rischi di disastri;
  5. Otto banche di sviluppo multilaterale hanno promesso di investire 175 miliardi di dollari nei prossimi dieci anni per la creazione di sistemi di trasporto sostenibile.

 

L’impegno dell’Italia

Anche l’Italia si è allineata alle promesse, garantendo l’attivazione di 6 milioni di dollari per progetti e iniziative per contrastare i cambiamenti climatici, e, uscendo dalla logica del “multilateralismo”, ha pianificato collaborazioni concrete con il Brasile: infatti, durante la Conferenza, ha firmato – con il Ministro brasiliano dell’Energia – un Accordo bilaterale per promuovere la diffusione dell’energia sostenibile nei Paesi in Via di Sviluppo. L’intesa prevede iniziative congiunte per valorizzare le competenze delle imprese italiane e brasiliane nel settore delle fonti innovative di energia.

La Conferenza si è aperta con una grande aspirazione, quella di proseguire e rafforzare il percorso avviato nel 1992 contando sull’urgenza e sulla necessità di invertire un modello di sviluppo che sta pregiudicando i rapporti fra i diversi livelli sociali e sta mettendo a rischio il futuro del nostro pianeta. Temi chiave come la “Green economy”, l’eradicazione della povertà e un nuovo quadro istituzionale per lo sviluppo sostenibile avrebbero dovuto guidare la grande trasformazione e consentire l’ingresso in una “nuova storia”. L’aspirazione, purtroppo, si è dispersa durante i lavori ed il suo dissolversi ha amplificato la distanza fra la definizione concreta delle buone pratiche di sviluppo sostenibile e la capacità delle negoziazioni multilaterali di indicarne la via.

Molti osservatori hanno sostenuto che Rio+20 è stata un’ulteriore opportunità mancata (“Se non ora, quando? Se non qui, dove?”); altri hanno evidenziato la difficoltà di assumere impegni stringenti, nella speranza che i problemi si attenuino o che possano essere risolti da altri, in altri contesti. Probabilmente la Conferenza si è soltanto svolta in un momento sbagliato: il ciclo delle elezioni americane sta entrando nella sua fase finale e l’eurozona è investita da una crisi economico-finanziaria e politica senza precedenti. Rio+20 è stata definita la “Conferenza delle promesse”, tradendo lo spirito della Conferenza stessa che avrebbe dovuto lanciare nuovi processi e modificare significativamente il quadro internazionale identificando opportuni mezzi d’implementazione delle misure di sostenibilità e stabilendo concreti obiettivi, nonché una “road map” per la green economy. E’ proprio sulla green economy che si è avvertita maggiore criticità, tanto che Paesi in Via di Sviluppo hanno chiesto di non imporre un singolo modello di sviluppo (qualunque sia il colore), ma di lasciare che ogni PVS adotti il proprio percorso di crescita: il risultato finale è che, essendo diversi gli approcci, le visioni, i modelli e gli strumenti, ciascun Paese può scegliere la strada più congeniale al proprio sviluppo. In conclusione quello che rimane di Rio+20 è un documento di 53 pagine, 283 paragrafi e 6 sezioni del quale, forse, ci dimenticheremo presto e nel quale si è disperso il futuro che vogliamo.


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