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I numeri immaginari nel romanzo di Musil

Da Functor

I turbamenti del giovane Törless (Die Verwirrungen des Zöglings Törleß) è il romanzo d’esordio scritto dall’austriaco Robert Musil (1880-1942) nel 1906. Esso trae ispirazione dall’esperienza vissuta dall’autore all’interno di un collegio militare.

Il protagonista del romanzo è il giovane austriaco Törless, figlio del consigliere di corte Törless, che si reca a studiare presso un collegio militare prestigioso. Lì vive diverse esperienza con i propri amici Beineberg e Reiting, insieme ai quali è complice di atti di bullismo nei confronti di Basini. Tale comportamento dei tre giovani contro Basini è conseguente a un furto da egli commesso e che gli sarebbe costato l’espulsione diretta dal collegio. Basini accetta il ricatto dei giovani e si presta alle torture che gli vengono costantemente inflitte. Quando il giovane Törless si rifiuterà di essere complice delle torture, Beineberg e Reiting accuseranno Basini alla classe. Ma Törless, prima di fuggire dal collegio, decide di avvertire il giovane Basini, che preferirà autodenunciarsi al direttore, accettando l’espulsione.

Il leit motiv di tutto il romanzo, in parte autobiografico, sono proprio le inquietudini, i turbamenti di Törless che si trova a vivere queste esperienze, anche di natura omosessuale, all’interno del collegio.

Egli cerca sempre di risolvere tutti i dubbi che gli si presentano e i suoi scontri con il mondo irrazionale, facendo uso dell’intelletto. A tal proposito è possibile notare un’intrusione proposta da Musil inerente ai numeri immaginari.     

«[…] Durante la lezione di matematica, a Törless venne all’improvviso un’idea. Già negli ultimi giorni aveva seguito con particolare interesse le lezioni, pensando: “Se tutto questo costituisce davvero la preparazione alla vita, come dicono, dovrà pur trovarvisi almeno un accenno di ciò che io vado cercando”.
E aveva pensato proprio alla matematica, ancora preso da quei pensieri sull’infinito. E infatti, nel bel mezzo della lezione, aveva avuto una sorta di illuminazione. Appena finita l’ora andò a sedersi accanto a Beinberg, che era l’unico con il quale potesse parlare di cose simili.
“Ehi, tu l’hai capita bene poco fa?”
“Che cosa?”
“La storia dei numeri immaginari”
“Sì. Non è poi così difficile. Bisogna solo ricordare che l’unità di calcolo è data dalla radice quadrata di meno uno.”
“Ma è proprio questo il punto. Quella radice non esiste. Qualsiasi numero, che sia negativo o positivo, elevato al quadrato dà un valore positivo. Per cui non può esserci un numero reale che sia la radice quadrata di qualcosa di negativo.”
“Giustissimo; ma perché non si dovrebbe tentare ugualmente di applicare l’operazione di estrazione della radice quadrata anche a un numero negativo? Naturalmente questo non potrà dare alcun valore reale, e infatti anche per questo il risultato è detto immaginario. E’ come se si dicesse: qui di solito si siede sempre un tale, perciò mettiamogli anche oggi una seggiola; e se anche fosse morto nel frattempo, facciamo come se venisse.”
“Ma come si può se si sa con certezza, con matematica certezza, che è impossibile?”
“Appunto, si fa come se fosse possibile. Un qualche risultato ne uscirà. In fondo, con i numeri irrazionali non è la stessa cosa? Una divisione che non finisce mai, una frazione il cui valore non risulterà mai e poi mai per quanto tu continui a calcolare. E che mi dici, poi, del fatto che due parallele si devono incontrare all’infinito? Io credo che a essere troppo scrupolosi la matematica finirebbe per non esistere più.”
“Questo è vero. Se uno se l’immagina così, è davvero bizzarra. Ma la cosa singolare è proprio che ciononostante con quei valori immaginari o comunque impossibili si possano fare calcoli perfettamente reali e raggiungere alla fine un risultato concreto!”
“Beh, per arrivare a questo i fattori immaginari devono elidersi a vicenda durante il calcolo.”
“Sì, sì, tutto quello che dici lo so anch’io. Ma pure non resta un che di curioso in tutta la faccenda? Come posso spiegarmi? Prova a pensarla così: in un calcolo del genere, tu hai all’inizio dei numeri solidissimi, in grado di quantificare metri, pesi o qualsiasi altro oggetto concreto, comunque numeri reali. Alla fine del calcolo, lo stesso. Ma l’inizio e la fine sono tenuti insieme da qualcosa che non c’è. Non è un po’ come un ponte che consti soltanto dei piloni iniziali e finali, e sul quale tuttavia si cammina sicuri come se fosse intero? Un calcolo del genere mi dà il capogiro; come se un pezzo del cammino andasse Dio sa dove. Ma la cosa davvero inquietante per me è la forza insita in questi calcoli, una forza capace di sorreggerti fino a farti arrivare felicemente dall’altra parte.”
Beineberg ghignò: “Parli già quasi come il prete: “…Tu vedi una mela- e sono le oscillazioni della luce, è l’occhio eccetera -, e allora allunghi la mano per rubarla- e sono i muscoli e i nervi che la fanno muovere. Ma tra l’una e l’altra azione vi è qualcosa che fa nascere l’una dall’altra- ed è l’anima immortale, che qui ha peccato… Già già, nessuna delle vostre azioni è spiegabile senza l’anima, la quale vi suona come foste tasti di un pianoforte…” ”. E imitò la cadenza con la quale il sacerdote era solito raccontare questa antica parabola. “Peraltro, tutta questa storia non mi interessa un gran che.”
“Io invece pensavo che dovesse interessarti, e molto. Perlomeno, io non ho potuto non pensare subito a te, perché questo- se è davvero così inspiegabile- sarebbe quasi una conferma di quello a cui credi tu.”
“Perché non dovrebb’essere inspiegabile? Ritengo possibilissimo che gli inventori della matematica si siano fatti lo sgambetto da soli. Infatti, ciò che sta al di là del nostro intelletto non potrebbe essersi voluto prendere gioco di quello stesso intelletto? Ma in queste cose io non mi ci metto, non portano a un bel nulla. […]»

 Törless rimane talmente affascinato dalla lezione del suo giovane docente di matematica, al punto da chiedergli di essere ricevuto per ottenere ulteriori delucidazioni. Durante il colloquio il docente, riferendosi ad un libro di Kant, dice a Törless:

 «E se lei potesse coglierne fino in fondo il senso s’imbatterebbe di continuo in simili concetti necessari al ragionamento, che determinano tutto pur non essendo, loro, senz’altro comprensibili. È qualcosa di molto simile a quello che succede in matematica».

 Törless va via insoddisfatto della risposta del professore, acquista e legge il testo del filosofo Kant, ma non comprende nulla. Da lì nasce il turbamento indotto da quelli che sono i misteri della matematica, in quanto il giovane cerca di trovare in essa un riscontro naturale. Infatti, in una successiva discussione con l’amico Beineberg afferma:

 «“ Ma non mi interessa niente, Beineberg! Tu non mi capisci. Non hai neppure idea di quello che mi interessa. Se mi tormenta la matematica e se mi…” ma qui rifletté in fretta e non disse nulla di Basini, “se mi tormenta la matematica è perché dietro ci cerco qualcosa che è molto diverso da quel che cerchi tu: niente di soprannaturale, proprio il naturale cerco, io… hai capito?”».

 Dal libro è stato anche tratto il film drammatico “Der Junge Törless” (1965), con la regia di Volker Schlöndoroff e interpretato da Mathieu Carrière, Marian Seidowsky, Bernd Tischer e Fred Dietz.

I Numeri Complessi in Musil


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