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I nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) per la psicoterapia in area socio-sanitaria. Pratica ed efficacia della terapia individuale e di gruppo.

Creato il 28 marzo 2015 da Raffaelebarone

di Raffaele Barone Vice-Presidente COIRAG

Relazione introduttiva alle giornate  Nazionali COIRAG di Fiesole del 27/03/2015

Il Ministero della Salute ha emanato i nuovi LEA per l’area socio-sanitaria e la Definizione dei percorsi di cura per : Disturbi Schizofrenici, Disturbi dell’Umore, Disturbi Bipolari, Disturbi Gravi di Personalità approvate dalla Conferenza Stato-Regioni. Le Regioni e i Servizi socio-sanitari a livello locale dovranno definire le modalità operative per garantire l’attuazione dei LEA psicoterapia che l’utente ha diritto di esigere.
In questo lavoro riporto tutto quanto è previsto come LEA psicoterapia per le varie aree socio-sanitarie e le indicazioni di psicoterapia previste dai percorsi di cura per la grave patologia mentale.
Leggendo bene queste indicazioni e raccomandazioni emerge come viene superato, almeno nei presupposti dei documenti, il modello bio-medico a favore di un approccio bio-psico-sociale più rispondente per una evoluzione positiva di tali disturbi. Purtroppo i documenti sui percorsi di cura, quando si citano modalità di psicoterapia, privilegiano la psicoterapia cognitiva-comportamentale. Questo dato deve fare riflettere il mondo della psicoterapia psicodinamica e le modalità di fare ricerca. La ricerca nel tempo medio lungo dimostra che la psicoterapia individuale e di gruppo è più efficace della cognitiva-comportamentale. Occorre riaffermare a livello regionale e locale questo dato per evitare che si continui a praticare terapie e ricerche focalizzati sui sintomi, come avviene con i farmaci, e non percorsi con le persone e le famiglie orientate al recovery e al cambiamento.
Vengono riportati ricerche in ambito psicoterapeutico che dimostrano quanto la psicoterapia e le pratiche comunitarie orientati alla recovery siano più utili agli utenti, alle famiglie e alla comunità locale. La pratica clinica, per la grave patologia mentale, fondata sull’uso ordinario di psicofarmaci e per lungo tempo viene messa in discussione da ricerche che valorizzano il dialogo e la relazione orientata ai bisogni degli utenti come intervento privilegiato.
Infine ci si sofferma sulla necessità di costruzione di nuovi setting comunitari e nuove collaborazioni con “altre” professionalità per rispondere alla richiesta di “aiuto psicologico” che arriva dal crescente disagio sociale e soprattutto dal mondo adolescenziale.

Per l’Area socio – sanitaria i nuovi Lea prevedono una descrizione puntuale delle attività nell’assistenza domiciliare, territoriale (consultori familiari, servizi per le dipendenze, servizi per la salute mentale adulti e neuropsichiatria infantile, servizi per disabili), semiresidenziale e residenziale.
Il Servizio sanitario nazionale garantisce l’accesso unitario ai servizi sanitari e sociali, la presa in carico della persona e la valutazione multidimensionale dei bisogni, sotto il profilo clinico, funzionale e sociale. Le regioni organizzano tali attività garantendo uniformità sul proprio territorio nelle modalità, nelle procedure e negli strumenti di valutazione multidimensionale, anche in riferimento alle diverse fasi del progetto di assistenza.
Il Progetto di assistenza individuale (PAI) definisce i bisogni terapeutico-riabilitativi e assistenziali della persona ed è redatto dall’unità di valutazione multidimensionale, con il coinvolgimento di tutte le componenti dell’offerta assistenziale sanitaria, sociosanitaria e sociale, del paziente e della sua famiglia.
Assistenza sociosanitaria ai minori, alle donne, alle coppie, alle famiglie.
Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle donne, ai minori, alle coppie e alle famiglie, le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative necessarie ed appropriate.
In riferimento all’intervento psicologico e psicoterapeutico prevede:
o consulenza ed assistenza psicologica per problemi individuali e di coppia;
o consulenza e assistenza a favore degli adolescenti, anche in collaborazione con le istituzioni scolastiche;
o prevenzione, valutazione, assistenza e supporto psicologico ai minori in situazione di disagio, in stato di abbandono o vittime di maltrattamenti e abusi;
o psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);
o supporto psicologico e sociale a nuclei familiari in condizioni di disagio;
o valutazione e supporto psicologico a coppie e minori per l’affidamento familiare e l’adozione, anche nella fase successiva all’inserimento del minore nel nucleo familiare;
Assistenza sociosanitaria ai minori con disturbi in ambito neuropsichiatrico.
In riferimento all’intervento psicologico e psicoterapeutico prevede:
o individuazione precoce e proattiva del disturbo;
o colloqui psicologico-clinici;
o interventi psicoeducativi e di supporto alle autonomie e alle attività della vita quotidiana;
o psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);
o gruppi di sostegno per i familiari;
Assistenza sociosanitaria alle persone con disturbi mentale
Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone con disturbi mentali, la presa in carico multidisciplinare e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato, differenziato per intensità, complessità e durata, che include le prestazioni, anche domiciliari, mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, psicologiche e psicoterapeutiche, riabilitative necessarie e appropriate.
Specificamente con riferimento ad interventi psicologici e psicoterapeutici prevede:

o individuazione precoce e proattiva del disturbo;
o colloqui psicologico-clinici;
o psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);
o colloqui di orientamento e sostegno alla famiglia;
o interventi terapeutico-riabilitativi e socio-educativi volti a favorire il recupero dell’autonomia personale, sociale e lavorativa;
o gruppi di sostegno per i pazienti e per i loro familiari;
o interventi psicoeducativi rivolti alla persona e alla famiglia;

Assistenza sociosanitaria alle persone con disabilità.
Specificamente con riferimento ad interventi psicologici e psicoterapeutici prevede:

o colloqui psicologico-clinici;
o psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);
o colloqui di orientamento, training e sostegno alla famiglia nella gestione dei sintomi e nell’uso degli ausili e delle protesi;
o interventi psico-educativi, socio-educativi e di supporto alle autonomie e alle attività della vita quotidiana;
o gruppi di sostegno;
Assistenza sociosanitaria alle persone con dipendenze patologiche.
Nell’ambito dell’assistenza territoriale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone con dipendenze patologiche, inclusa la dipendenza da gioco d’azzardo, o con comportamenti di abuso patologico di sostanze, ivi incluse le persone detenute o internate, la presa in carico multidisciplinare e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato che include le prestazioni mediche specialistiche, diagnostiche e terapeutiche, psicologiche e psicoterapeutiche, e riabilitative necessarie e appropriate negli ambiti di attività psicologici e psicoterapeutici:
o colloqui psicologico-clinici;
o colloqui di orientamento e sostegno alla famiglia;
o interventi di riduzione del danno;
o psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo);
o interventi socio-riabilitativi, psico-educativi e socio-educativi finalizzati al recupero dell’autonomia personale, sociale e lavorativa;
o promozione di gruppi di sostegno per soggetti affetti da dipendenza patologica;
o promozione di gruppi di sostegno per i familiari di soggetti affetti da dipendenza patologica.

DEFINIZIONE DEI PERCORSI DI CURA DA ATTIVARE NEI
DIPARTIMENTI DI SALUTE MENTALE PER I DISTURBI
SCHIZOFRENICI, I DISTURBI DELL’UMORE E I DISTURBI GRAVI DI
PERSONALITÀ
Le Raccomandazioni per la Definizione dei percorsi di cura per la grave patologia mentale approvate dalla Conferenza Stato-Regioni, prevede 3 fasi di malattia da contemplare in percorsi di cura specifici per almeno 4 grosse tipologie diagnostiche: Disturbi Schizofrenici, Disturbi dell’Umore, Disturbi Bipolari, Disturbi Gravi di personalità.
Le tre fasi sono:
Fase a) Presa in carico precoce
Fase b) Gestione della fase acuta
Fase c) Trattamento continuativo a lungo termine:
Nell’ambito dell’assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, il Servizio sanitario nazionale garantisce alle persone con gravi patologia mentali, la presa in carico precoce, di tipo multidisciplinare, e lo svolgimento di un programma terapeutico individualizzato (PTI), per la successiva gestione della fase acuta e della fase del recupero a lungo termine (recovery).
I dati disponibili sulle attività dei DSM e dei servizi per i disturbi neuropsichici dell’infanzia e dell’adolescenza sembrano indicare una scarsa progettualità nei percorsi di assistenza. Tale situazione, riconducibile a una insufficiente differenziazione della domanda genera il pericolo di un utilizzo delle risorse non appropriato alla complessità dei bisogni presentati dagli utenti. In molti casi, gli utenti con disturbi gravi ricevono percorsi di assistenza simili agli utenti con disturbi comuni e viceversa (Piano Nazionale di Azioni per la Salute Mentale (PANSM). La presa in carico: percorso di trattamento integrato per gli utenti che presentano bisogni complessi necessitano di una valutazione multidimensionale e intervento di diversi profili professionali. Il percorso clinico di “presa in carico” prevede la definizione di un Piano di Trattamento Individuale per il singolo utente e – a seconda dei bisogni individuati – richiede l’identificazione del “case manager” e la ricerca e il recupero del rapporto con gli utenti “persi di vista”, oltre a una maggiore attenzione alle famiglie nell’ambito dei programmi di cura e lo sviluppo di programmi di prevenzione in collaborazione con gli Enti locali e con la scuola. Sono considerati efficaci i tre ambiti del lavoro, paritariamente: la relazione con il paziente, l’applicazione corretta di tecniche validate, il coinvolgimento dei familiari e del contesto di vita del paziente, in una visione articolata e unitaria della cura. La comunicazione appare come importante nella funzionalità del servizio; l’équipe di lavoro è vista come un fattore rilevante per perseguire la qualità del servizio, e l’intera équipe si fa carico dei nuovi ingressi. L’utenza del CSM assume una forte rilevanza e i problemi caratterizzanti i pazienti del CSM sono ben differenziati. Ciò premesso, il presente documento si propone di approfondire alcuni obiettivi prioritari, indicati nel PANSM, dedicati all’individuazione di percorsi di cura relativamente ad alcuni raggruppamenti psicopatologici gravi: i disturbi schizofrenici, i disturbi dell’umore e i disturbi gravi di personalità. Ciò in ragione della complessità dei quadri clinici e delle compromissioni del funzionamento personale e sociale, con elevati livelli di disagio e di sofferenza individuale e familiare, il cui trattamento impegna circa due terzi delle risorse di budget dei servizi sanitari e sociosanitari. Si consideri, infatti, che, in base ai dati dell’epidemiologia dei servizi, gli utenti in carico per tali patologie superano il 50% della prevalenza trattata e rappresentano la quasi totalità dei ricoveri ospedalieri in SPDC.
I percorsi di cura, di seguito presentati, si configurano come percorsi ottimali e forniscono standard
di riferimento per gli interventi clinici e riabilitativi, basati sulle evidenze e sulle raccomandazioni
delle Linee Guida accreditate dalla comunità scientifica. Tutti e quattro i percorsi sono costruiti per
fasi di malattia (l’esordio, l’episodio acuto, la fase dei trattamenti continuativi e a lungo termine a
livello territoriale), tenendo anche conto della gravità del paziente, in quanto il percorso di cura è
basato su sequenze di processi clinici differenziati a seconda dei livelli di gravità dell’espressione
psicopatologica e della compromissione funzionale del paziente (stepped care).
Punti qualificanti comuni ai quattro percorsi sono:
•attenzione prioritaria assegnata agli interventi nelle situazioni di esordio la cui efficacia è
strettamente correlata all’adozione di specifici protocolli di collaborazione con i servizi di
neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza, i servizi per le dipendenze patologiche, con i
medici di medicina generale;
•estrema attenzione al lavoro con le famiglie;
•adozione di criteri per facilitare l’accessibilità ai servizi e garantire equità;
•adozione di criteri per garantire la continuità di cure;
•adozione di pratiche mirate al raggiungimento del maggior livello di autonomia personale e
sociale.

I PERCORSI DI CURA PER I PAZIENTI CON DISTURBI SCHIZOFRENICI
Queste sono le raccomandazioni riferite in particolare al trattamento riabilitativo e psicoterapeutico:
1. Facilitare l’accessibilità al dipartimento di salute mentale (DSM) dei pazienti giovani con
disturbi psichici e stati mentali a rischio promuovendo progetti/protocolli specifici di
collaborazione tra DSM, Servizi di Neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza (NPIA),
medici di medicina generale e altri soggetti della rete sanitaria e socio-sanitaria, al fine di
favorire una valutazione ed un trattamento precoci. Particolare attenzione deve essere
assegnata alla continuità della cura tra servizi di salute mentale dell’area infanzia –
adolescenza e servizi dell’età adulta.
2. La presa in carico del paziente con disturbo mentale grave all’esordio e dei suoi familiari
avviene attraverso una serie continuativa ed intensiva di contatti a livello territoriale.
3. Durante i primi contatti con il DSM il paziente con disturbo mentale grave all’esordio riceve
una completa valutazione multi professionale dei suoi problemi clinici e psicosociali; è
indicato che venga valutata anche la famiglia sotto il profilo dei bisogni e del carico
familiare.
4. Formulata la diagnosi di disturbo schizofrenico ed effettuata la valutazione del
funzionamento personale e sociale, il Centro di salute mentale attiva per il paziente ed i suoi
familiari interventi di natura multi professionale con il coinvolgimento nel trattamento non
solo dello psichiatra, ma anche di altre figure professionali (psicologo, assistente sociale,
terapista della riabilitazione, infermiere ed educatore). Tale attività viene effettuata non solo
nella sede del CSM ma anche nel contesto di vita del paziente.
5. Ai pazienti all’esordio sono erogati routinariamente interventi psicoeducativi e
psicoterapici; in presenza di compromissioni del funzionamento personale e sociale di
livello moderato/grave, vengono erogati interventi riabilitativi e di supporto al lavoro e allo
studio, basati sulle evidenze.
La gestione della fase acuta può avvenire in setting differenti, in base alla configurazione e
organizzazione dei dipartimenti di salute mentale.
In termini di intensità degli interventi territoriali rivolti a pazienti e familiari, nel corso dell’anno circa due terzi dei pazienti riceve più di 5 interventi, mentre solo un decimo dei familiari riceve più di 3 interventi nel periodo. Anche in questo caso, come per i pazienti all’esordio, è l’area del rapporto con i familiari che evidenzia criticità. Sul versante degli interventi psicosociali, un decimo dei pazienti è in trattamento psicoterapico, mentre è da rilevare che gli interventi di tipo psicoeducativo, nonostante il supporto delle evidenze, appaiano erogati sporadicamente
Mantenimento e promozione del recupero psicosociale
Nella fase di mantenimento e promozione del recupero psicosociale i pazienti con disturbo
schizofrenico ricevono all’interno del DSM un trattamento continuativo, in genere di natura
multi professionale, con il coinvolgimento di più figure professionali oltre lo psichiatra,
specie se, accanto ai problemi clinici, sono presenti compromissioni di funzioni e abilità,
problemi relazionali, carenza di supporto e di attività strutturate nella vita quotidiana). In
questi casi viene attivato un piano di trattamento individuale (PTI), in cui siano specificati i
problemi clinici e psicosociali presenti, i trattamenti previsti e le figure professionali
coinvolte (con definizione della figura del case manager).
Ai pazienti, ed in particolare a quelli con frequenti ricadute, e alle loro famiglie sono erogati
interventi di carattere psicoeducativo; quando appropriato, è offerto un trattamento psicoterapico.
Sono offerti gruppi di self-help e di supporto tra pari, che mirino all’inclusione sociale e alla
Recovery.
Si considerano interventi rivolti ai familiari i colloqui con i familiari, la psicoterapia familiare, i gruppi di familiari, gli interventi di carattere psicoeducativo rivolti alla famiglia.
Ai pazienti all’esordio sono erogati routinariamente interventi psicoeducativi e psicoterapici; in presenza di compromissioni del funzionamento personale e sociale di livello moderato/grave, vengono erogati interventi riabilitativi e di supporto al lavoro e allo studio, basati sulle evidenze.
Gli interventi psicoeducativi presuppongono l’utilizzo di una tecnica specifica e la relativa formazione degli operatori. Hanno generalmente lo scopo di informare secondo programmi definiti i familiari sulla natura, il decorso e il trattamento del disturbo psichiatrico dell’utente. Attraverso un metodo strutturato, mirano a migliorare la capacità di comunicazione all’interno della famiglia e ad aumentare le capacità del nucleo familiare nell’affrontare le situazioni problematiche e lo stress che ne può derivare.
Sono state incluse nella analisi tutte le forme di psicoterapia, in quanto i data base amministrativi non permettono di rilevare separatamente le diverse tipologie di psicoterapia. E’ da rilevare che per alcune patologie come la schizofrenia le prove di evidenza sono maggiori per alcuni tipi di psicoterapia (come la psicoterapia cognitiva comportamentale) rispetto ad altre (ad esempio quella ad indirizzo psicodinamico) .
I PERCORSI DI CURA PER I PAZIENTI CON DISTURBO BIPOLARE
Ai pazienti con problemi relazionali è offerto, quando appropriato, un trattamento psicoterapico e, in particolare, se hanno frequenti ricadute, sono offerte routinariamente sessioni di carattere psicoeducativo, estese anche a eventuali familiari conviventi.
Gli operatori del servizio di salute mentale hanno contatti regolari con i familiari dei pazienti; pongono attenzione alle loro opinioni e valutano periodicamente i loro bisogni all’interno del piano di cura.
Ai pazienti, ed in particolare a quelli con frequenti ricadute, e alle loro famiglie sono erogati interventi di carattere psicoeducativo; quando appropriato, è offerto un trattamento psicoterapico.
Gli interventi psicoeducativi presuppongono l’utilizzo di una tecnica specifica e la relativa formazione degli operatori. Hanno generalmente lo scopo di informare secondo programmi definiti i familiari sulla natura, il decorso e il trattamento del disturbo psichiatrico dell’utente. Attraverso un
metodo strutturato, mirano a migliorare la capacità di comunicazione all’interno della famiglia e ad aumentare le capacità del nucleo familiare nell’affrontare le situazioni problematiche e lo stress che ne può derivare
Interventi specifici sulle compromissioni del funzionamento personale e sociale.
In presenza di compromissioni del funzionamento personale e sociale vengono messi in atto adeguati interventi di carattere riabilitativo e socio assistenziale a livello territoriale, basati sulle evidenze.
Questo tipo di intervento è rilevato dal Sistema Informativo Nazionale per la Salute Mentale come INTERVENTO RISPETTO ALLE ABILITA’ DI BASE, INTERPERSONALI E SOCIALI (INDIVIDUALE E DI GRUPPO)

I PERCORSI DI CURA PER I PAZIENTI CON DISTURBI DEPRESSIVI
Nei pazienti sia con depressione lieve che moderata o grave è indicato anche un trattamento psicoterapico. Per quanto riguarda la psicoterapia ci sono maggiori evidenze a sostegno della
psicoterapia cognitivo-comportamentale e interpersonale.
La psicoterapia è indicata per i pazienti con depressione ricorrente che presentino ricadute nonostante il trattamento antidepressivo o abbiano sintomi residuali nonostante il trattamento.
In tutti i pazienti, quale che sia il livello di gravità, deve essere valutato costantemente il rischio
suicidario.
Per i pazienti con depressione moderata e grave ricorrente è indicato un trattamento farmacologico e psicoterapeutico combinato. Per trattamento combinato si intende la presenza contemporanea per almeno tre mesi del trattamento psicoterapico e farmacologico.Sono state incluse nella analisi tutte le forme di psicoterapia, in quanto i data base amministrativi non permettono di rilevare separatamente le diverse tipologie di psicoterapia.
L’accessibilità al dipartimento di salute mentale (DSM) dei pazienti giovani con disturbi psichici e stati mentali a rischio va assicurata, promuovendo progetti/protocolli specifici di collaborazione tra DSM , Servizi di Neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza (NPIA), pediatri di libera scelta e
altri soggetti della rete sanitaria e socio-sanitaria, al fine di favorire una valutazione ed un trattamento precoci. Particolare attenzione deve essere assegnata alla continuità della cura tra servizi di salute mentale dell’area infanzia – adolescenza e servizi dell’età adulta.

I PERCORSI DI CURA PER LE PERSONE CON DISTURBI GRAVI DI PERSONALITA’
Le linee Guida Internazionali sono concordi nell’affermare che la cura del Disturbo di
Personalità Borderline, certamente il Disturbo di Personalità sul quale ci sono le maggiori
conoscenze cliniche e il maggior numero di informazioni sull’efficacia dei trattamenti,è fondata
sull’approccio psicoterapeutico e che i trattamenti farmacologici, a meno di specifiche comorbilità,
non sono elettivi.
Sebbene vi siano evidenze sull’efficacia di alcune psicoterapie, queste rimangono opzioni
terapeutiche elettive di limitata applicabilità nell’ambito dei Servizi Pubblici per ragioni legate
all’offerta, ma soprattutto alla domanda di cura, che non origina sempre da una spontanea e
avvertita esigenza di cambiamento terapeutico. Ciò fa sì che i Servizi debbano spesso lavorare con
l’obiettivo di sviluppare la motivazione verso gli interventi elettivi.
Gli studi sui follow up dei Disturbi di Personalità, ed in particolare del Disturbo Borderline di
Personalità, hanno dimostrato che la prognosi generale è fondamentalmente favorevole. Sono molte
le fonti di letteratura che indicano che l’evoluzione prospettica dei Disturbi di Personalità del
cluster B, sia fondamentalmente positiva.
Il trattamento elettivo dei Disturbi di Personalità Gravi è di tipo psicoterapeutico. Nel
proporre una terapia standardizzata occorre considerare la disponibilità effettiva delle
persone con DGP ad intraprendere percorsi altamente strutturati. Per le persone con DGP che
non presentano le caratteristiche specifiche di elezione per un trattamento standardizzato,
vanno offerti trattamenti psicoterapeutici orientati allo sviluppo della motivazione e alla
costruzione dell’alleanza terapeutica.
Quando viene fornito un trattamento psicoterapeutico a persone con DGP occorre: a) usare il piano di cura per chiarire il ruolo dei diversi servizi, dei professionisti che forniscono il trattamento psicologico e degli altri professionisti coinvolti nel programma di cura; b) monitorare l’effetto del trattamento tramite alcuni di indicatori di esito inclusi il funzionamento personale, l’uso di droghe ed alcol, gesti autolesionistici, e l’evoluzione dei sintomi specifici. La frequenza delle sedute terapeutiche deve essere stabilita sulla base dei bisogni della persona, del contesto di vita. Comunque il riferimento nella fase di trattamento intensivo è di almeno una seduta per settimana per una durata non inferiore ai 6 mesi. I trattamenti di gruppo si sono rivelati efficaci nella riduzione dell’impulsività e nel raggiungimento di altri obiettivi terapeutici evolutivi.
Attraverso la collaborazione con i Servizi Sociali degli Enti Locali devono essere avviati
programmi di inclusione sociale, di inserimento lavorativo e di mantenimento del lavoro.
A seconda delle condizioni cliniche, del grado delle compromissioni di funzioni e abilità, dei
problemi relazionali in ambito familiare e sociale, del livello di supporto che è possibile ricevere dall’ambiente, e dell’aderenza al programma terapeutico-riabilitativo, la persona con DGP può essere inserita in strutture residenziali caratterizzate da diversa intensità deltrattamento riabilitativo e del livello assistenziale. I trattamenti riabilitativi residenziali in strutture a media o bassa intensità di cura devono essere attentamente monitorati perché a rischio di inappropriatezza e di complicanze iatrogene.
L’accessibilità al dipartimento di salute mentale (DSM) dei pazienti giovani con disturbi psichici e stati mentali a rischio deve essere facilitata promuovendo progetti/protocolli specifici di collaborazione tra DSM, servizi di neuropsichiatria per l’infanzia e l’adolescenza (NPIA), medici di medicina generale e altri soggetti della rete sanitaria e socio-sanitaria, al fine di favorire una valutazione ed un trattamento precoce.
Il trattamento elettivo dei Disturbi di Personalità Gravi è di tipo psicoterapeutico. Nel proporre una terapia standardizzata occorre considerare la disponibilità effettiva dei pazienti ad intraprendere percorsi altamente strutturati. Per le persone con DGP che non presentano le caratteristiche specifiche di elezione per un trattamento standardizzato, vanno offerti trattamenti psicoterapeutici
orientati allo sviluppo della motivazione e alla costruzione dell’alleanza terapeutica.
Quando viene fornito un trattamento psicoterapeutico a persone con DGP occorre: a) usare il piano di cura per chiarire il ruolo dei diversi servizi, dei professionisti che forniscono il trattamento psicologico e degli altri professionisti coinvolti nel programma di cura; b) monitorare l’effetto del trattamento tramite alcuni di indicatori di esito inclusi il funzionamento personale, l’uso di droghe
ed alcol, gesti autolesionistici, e l’evoluzione dei sintomi specifici. La frequenza delle sedute terapeutiche deve essere stabilita sulla base dei bisogni della persona, del contesto di vita. Comunque il riferimento nella fase di trattamento intensivo è di almeno una seduta per settimana per una durata non inferiore ai 6 mesi.
Si considerano ad alta intensità (trattamento complesso) i pazienti che abbiano
ricevuto almeno 40 prestazioni tra le seguenti tipologie:
– Colloqui psicologici
– Seduta di psicoterapia individuale
– Seduta di psicoterapia di coppia
– Seduta di psicoterapia familiare
– Seduta di psicoterapia di gruppo
– Intervento informativo e psicoeducativo rivolto alla famiglia individuale
– Intervento informativo e psicoeducativo rivolto alla famiglia di gruppo
– Intervento informativo e psicoeducativo rivolto ai pazienti individuale
– intervento informativo e psicoeducativo rivolto ai pazienti di gruppo.

Pratica ed efficacia della terapia individuale e di gruppo
Problematiche relative alle psicoterapie validate empiricamente
Creare una lista di trattamenti psico-sociali empiricamente validati è stata una esigenza impellente, sollecitate in parte dalla preoccupazione di vedere linee guida di pratica clinica riconoscere alla terapia farmacologica una superiorità sulla psicoterapia non suffragata da alcuna evidenza. Come ha osservato Golfried (2000), da un punto di vista storico la tensione dei ricercatori si è concentrata esclusivamente sui trattamenti brevi in relazione non tanto ai dati sistematici sulla durata effettivamente necessaria al trattamento della maggior parte degli studi, quanto piuttosto per considerazioni di ordine pragmatico, quali il fatto che nella messa a confronto di psicoterapie e interventi farmacologici doveva essere preso in considerazione, come variabile confondente, il trascorrere del tempo. Studi naturalistici sulla psicoterapia, che evidenziano una costante relazione dose effetto, come per esempio il fatto che trattamenti a lungo termine, e in particolare quelli da uno a due anni e oltre, sono più efficaci di trattamenti di breve tempo.
La manualizzazione del trattamento appiattisce la ricerca su un assunto che in realtà è pertinente solo per un numero limitato di trattamenti, vale a dire che la terapia è qualcosa che viene fatto ad un paziente, un processo nel quale il terapeuta applica degli interventi, piuttosto che un processo transazionale in cui il paziente terapeuta collaborano.
La ricerca in psicoterapia documenta come il trattamento a cui vanno le simpatie di chi compie l’indagine tende risultare più efficace.
La questione di “che cosa è terapeuticamente efficace per chi” è una questione di ordine empirico che può essere affrontata solo utilizzando metodi empirici.
Qualunque fosse il loro background teorico, i clinici hanno riferito riconoscere maggiormente a interventi psicodinamici nel trattamento di pazienti con patologia comorbida, il che forse non è sorprendente se si considera che si tratta della strategia d’intervento maggiormente orientata ai problemi della personalità.
I dati provenienti dagli RCT (studi randomizzati controllati) negli ultimi 10 anni su una serie di trattamenti per la depressione, il panico, il GAD, la bulimia nervosa il disturbo l’ossessivo-compulsivo, definiti ormai da quasi tutti come empiricamente validati, indicano che tali terapie portano realmente a una netta riduzione degli stati d’animo dolorosi e dei comportamenti patologici che condizionano in modo effettivo la life satisfation e il funzionamento adattivo del paziente. È stato dimostrato che i trattamenti studiati con la metanalisi sono altrettanto o più efficaci dei farmaci, che peraltro hanno il vantaggio di essere sostenuti per finanziamenti milionari dell’industria farmaceutica per la verifica sperimentale e il marketing.
La verità è che gran parte, se non la maggior parte, delle maggiori innovazioni cliniche nella storia della nostra disciplina sono giunti dalla pratica clinica. Un modo di selezionare sistematicamente le strategie di trattamento consiste nell’utilizzare la pratica clinica come un laboratorio naturale. La pratica clinica dovrebbe servire da laboratorio naturale sia per in generale sia per verificare le nostre ipotesi. Trattamenti brevi, molti dei quali con un orientamento cognitivo comportamentale, si sono dimostrati notevolmente efficaci, nel ridurre immediatamente la sintomatologia della maggior parte dei disturbi, soprattutto quelli che comportano sintomi generalizzati come la depressione maggiore o il disturbo d’ansia generalizzato. Altrettanto emerge che i pazienti richiedano ulteriori trattamenti.
Quello che sappiamo è che, nella comunità psicoterapeutica, i trattamenti tendono a durare più a lungo di quelli condotti in laboratorio, indipendentemente dall’orientamento teorico del terapeuta, e che nei campioni naturalistici, secondo quanto riferiscono sia il paziente sia il terapeuta, i trattamenti più estesi nel tempo tendono ad ottenere i migliori risultati.
Secondo Holmes le basi della psicoterapia cognitiva sono meno solide di quanto in genere si creda. L’impatto di una terapia cognitiva comportamentale sul decorso a lungo termine di una patologia psichiatrica non è stato adeguatamente dimostrata. In un “real life trial” di braccio della ricerca dedicato alla terapia cognitivo comportamentale è dovuto essere interrotto a causa delle scarsa compliance di un gruppo di pazienti che, invece ha accettato e tratto beneficio da una terapia di coppia.
Naturalmente i clinici ad orientamento psicodinamico sono in una posizione di svantaggio e non solo perché hanno iniziato in ritardo che occupassi di ricerca. L’impegno dei clinici di orientamento psicoanalitico in programmi di ricerca è ancora soltanto un obiettivo desiderabile.
Oggi gli psicoanalisti sono più impegnati che mai, anche se non del tutto, a raccogliere sistematicamente dati che possono mettere in discussione e contraddire, oppure confermare, le loro idee.
Una recente metanalisi di W. McDermut ha stabilito che la terapia di gruppo è efficace nel trattamento della depressione. Le terapie di gruppo inserite in questa metanalisi, però, implicavano l’insegnamento di molte strategie diverse a secondo dei diversi studi presi in considerazione (tecniche di autocontrollo, capacità di problem solving, tecniche di rilassamento, discussioni di pensieri negativi).
Colmare la distanza tra la pratica clinica e le prove empiriche induce a un cambiamento radicale nella precisione con cui sono considerate le prove relative ai servizi di psicologia e psicoterapia clinica.
Forse è sufficiente dire che delle linee guida , per quanto sofisticate, possano mai sostituire la capacità e l’esperienza dei clinici. E’ molto più probabile che delle linee guida abbiano successo se la loro attuazione pratica inizia a livello locale.
Senza una comprensione psicologica dei disturbi sarebbe impossibile comprendere i percorsi mentali che portano in modo evidente a sviluppare questi ultimi: la povertà, la disoccupazione, l’incesto, il fatto di non avere una casa, la disperazione provocata da genitori senza cuori o a abusanti, i metodi quasi infiniti che gli essere umani possono provare per infliggere dolore, tutte queste ignominie influenzano le aspettative che le persone sviluppano rispetto agli altri, la fiducia che possono essere in grado di provare, la rabbia per il trattamento subito, i modi complessi che noi tutti ci troviamo per imparare a vivere nel contesto sociale che le fortune e le sfortune della nostra nascita ci hanno riservato. Abbandonare la psicoterapie significherebbe non voler più ascoltare queste angosce. Esse, infatti, testimoniano la prevalenza e l’impatto a lungo termine del maltrattamento infantile. La psicoterapia nell’occuparsi dei sentimenti, delle credenze, dei pensieri e desideri nati dalla disperazione. Le gravi difficoltà sociali accrescono il rischio di sviluppare disturbi mentali. Che questo sia un processo psicologico anziché puramente fisico lo si capisce anche da potere predittivo della povertà relativa, non assoluta. Quanto più la ricchezza diminuisce, tanto più aumenta la sofferenza indipendentemente dal benessere materiale effettivo dell’individuo. E’ lo svantaggio percepito che diventa tossico dal punto di vista psicologico. Nessuno sosterrebbe seriamente che il modo eticamente più appropriato di affrontare il gigantesco problema connesso allo svantaggio sociale è la soppressione farmacologica della sofferenza dovuto all’emarginazione. Ma la terra natia della psicoterapia, il mondo mentale di credenze, desideri e le emozioni che per alcuni anni è stata centrale per la psichiatria è una creatura fragile.
Il naturale desiderio umano di creare un racconto, una storia della propria esperienza, ha ceduto il passo, vittima di pressioni economiche e politiche, a profonda mancanza di rispetto per tutto ciò che è mentale, esito più del riduzionismo di una certa psichiatria biologica che non della disillusione rispetto all’efficacia della psicoterapia.
La psicoterapia è essenziale per la cura della salute mentale della persona nella sua interezza. Abbandonare le terapie psicologiche, la verità dell’importanza della mente, ci espone al rischio di cambiamenti sociali culturali apocalittici che sono inevitabili se non diamo il giusto peso all’esperienza personale e iniziamo a deridere i sentimenti, i pensieri e i desideri degli altri esseri umani nostri simili.
Le prove di efficacia devono essere lette, valutate e collocate nel contesto di ciò che è possibile e desiderabile, e di ciò che si accorda con le opportunità esistenti. Bisognerebbe ricordare che, almeno nel sistema del saluta della salute mentale, ma probabilmente anche in molte altri aree dei metodi di trattamento clinici, si può spiegare solo una piccola porzione della varianza dell’outcome relativa alla natura del problema dl paziente.
Quando somministrati da soli la psicoterapia e farmaci hanno un’efficacia equivalente, qualche volta, la psicoterapia si dimostra superiore alla terapia.
L’approccio psicodinamico corre il rischio di essere emarginato non perché non sia clinicamente efficace, ma per il numero ridotto di ricerche che ne dimostrano l’efficacia al cospetto di alternative empiricamente validate.
Si rende necessario un mutamento di epistemologia da parte dei terapeuti a orientamento psicoanalitico basato su dei segmenti componenti:
1) Adottare metodi di raccolta dei dati che trascendano quello puramente aneddotico, e che sono ampiamente disponibile nelle scienze sociali e biologiche.
2) Trasformare i costrutti psicoanalitici rendendoli più specifici, cosa che può facilitare la raccolta cumulativa dei dati e l’identificazione dei meccanismi psicologici che spiegano il cambiamento nelle terapie di tipo psicodinamico.
3) Prendere sempre in considerazione spiegazioni alternative delle osservazioni comportamentali del cambiamento.
4) Comprendere in modo più complesso, dal punto di vista psicoanalitico, le influenze sociali e contestuali sul comportamento patologico e la sua risposta al trattamento.
5) Porre fine allo “splendido isolamento” della psicoanalisi e intraprendere collaborazioni attive con altre discipline cliniche e scientifiche.
6) Usare le conoscenze di base della psicoanalisi per mettere a punto approcci di trattamento innovativi per le condizioni che attualmente esistono al cambiamento.
7) Integrare all’interno dell’approccio psicodinamico alcune degli interventi psicoterapeutici di successo derivati da altre discipline.
8) Identificare gruppi clinici per i quali il metodo psicoanalitico è particolarmente efficace.
9) Adottare un atteggiamento scientifico che celebri il valore della replica delle osservazioni anziché quello della loro unicità. (PDM)

Studi e problematiche relative alle terapie psicofarmacologiche
L’aspettativa di vita di soffre di disturbi mentali ed assume psicofarmaci antipsicotici per lunghi periodi di tempo, o a tempo illimitato, è in media da 16 a 25 anni più breve di quella dei propri pari. La mortalità è in aumento per la crescita progressiva delle complicanze cardio-metaboliche in corso di trattamento farmacologico (obesità,diabete,ipertensione, cardiopatie acute e croniche).
In uno studio di decorso a 15 anni, il 40 % dei pazienti schizofrenici che non assumeva antipsicotici andava incontro a guarigione, contro il 5 % dei pazienti in trattamento farmacologico.
Gli esiti della schizofrenia sono molto più favorevoli nei paesi in via di sviluppo, come l’India e la Nigeria, in cui solo il 16% dei pazienti prosegue in modo continuativo il trattamento con antipsicotici-rispetto agli Stati Uniti e altri paesi ricchi- in cui la somministrazione continuativa di neurolettici è la pratica terapeutica abituale (OMS).
Un ampio studio sui farmaci neurolettici atipici utilizzati a basso dosaggio dimostra la loro efficacia in quanto non elimina i deliri e/o le allucinazioni ma perché attenua la ipersensibilità emotiva.
Altre ricerche dimostrano che i farmaci antipsicotici inducano mutamenti morfologici a livello cerebrale che sono associati a un peggioramento dei sintomi della schizofrenia.
Molti dati, esperienze e ricerche dimostrano che nel lungo tempo la schizofrenia ha esiti positivi per oltre il 75% e questo dato aumenta se vengono messi in atto adeguati programmi e servizi orientati alla recovery. Sul piano quotidiano, porre una fiducia eccessiva nelle teorie biologiche e nel ruolo decisivo del farmaco coincide, molte volte, con un atteggiamento di sfiducia nei confronti delle capacità interiori del paziente (nei confronti di quella “parte sana” che è sempre presente e andrebbe sempre coltivata e valorizzata).
In uno studio clinico nazionale negli Stati Uniti, di ampie dimensioni, sulla depressione , il tasso di guarigione più alto, a 18 mesi, è stato quello dei soggetti trattati con la psicoterapia (30%), mentre quello più basso è stato quello relativo ai soggetti trattati con gli antidepressivi(19%) (NIMH).
In uno studio della durata di 5 anni su 9508 pazienti depressi, i soggetti con trattamento antidepressivo presentavano una sintomatologia depressiva, in media, per 19 settimane l’anno, contro le 11 settimane di coloro che non assumevano alcun farmaco (Università di Calgary).
I farmaci antidepressivi più utilizzati nella pratica clinica SSRI funzionano su un paziente su tre mentre presentano disturbi della sfera sessuale su tutti i pazienti.
Le benzodiazepine per la cura dell’ansia funzionano bene nelle prime 4 -6 settimane. Dopo ritorna l’ansia se non è avvenuto alcun cambiamento nella vita del paziente. Più passa il tempo di assunzione delle benzodiazepine più sarà difficile sospenderle a causa della dipendenza che provocano.
Gli studi epidemiologici dimostrano che gli esiti a lungo termine per i pazienti bipolari sono, oggi, drammaticamente peggiori rispetto a quelli dell’era precedente agli psicofarmaci, e che questo peggioramento degli esiti è molto probabile che sia ascrivibile agli effetti nocivi degli antidepressivi e antipsicotici( Eli Lilly; Havard Medical School).
Per i disturbi bipolari viene indicato come terapia farmacologica a lungo tempo uno stabilizzatore dell’umore.
Gli psicofarmaci vanno utilizzati con prudenza a bassi dosaggi, per periodi limitati. Possono essere molto utili nella fase acuta. La nostra esperienza clinica trentennale, di tipo pratica e critica ha dimostrato che più abbiamo diminuito i dosaggi degli psicofarmaci, anche nella fase acuta, meno aggressività abbiamo registrato nella reazione dei pazienti. Il farmaco va sempre più sostituito con la “relazione” attenta ai bisogni del paziente.
Infine l’uso di psicofarmaci nei bambini e adolescenti può rappresentare un predittore significativo di evoluzione sfavorevole piuttosto che favorevole.
Evidenze empiriche ed efficacia della psicoterapia di gruppo nella grave patologia mentale
Le evidenze empiriche, le linee guida e le esperienze cliniche per la cura della grave patologia psichiatrica insistono tutti sull’importanza dell’intervento precoce.
Nell’ambito degli interventi sugli esordi sintomatologici (di bambini, adolescenti e adulti), un approccio valutativo e terapeutico che coinvolga tutto il nucleo familiare e la rete di relazione, preferenzialmente a domicilio, aperto al dialogo, alla lettura di sistema e orientato ai bisogni, lasciando in secondo piano il trattamento farmacologico, è rappresentato dal modello finlandese del “Dialogo Aperto” di Seikkula e Olson (3-5). Questo approccio è attualmente in corso di adozione in molti Paesi occidentali, sia per l’elevata efficacia nel contenimento e nella risoluzione dei sintomi del paziente, che si presenta ai servizi con una grave crisi psichiatrica, sia per il mantenimento dell’efficacia terapeutica a lungo termine. Sino ad ora in Finlandia, sono stati effettuati 3 importanti studi di valutazione, finalizzati a dimostrare l’efficacia nella pratica clinica di questo trattamento; questi studi hanno valutato gli effetti del “Dialogo Aperto” in pazienti al primo episodio, sia in termini di guarigione psicopatologica, sia sociale. Sono emersi risultati sorprendentemente positivi e stabili al follow-up di 5 anni: ben l’84% dei pazienti è tornato attivamente alla propria vita sociale e lavorativa. Questi risultati sono stati confermati anche da un altro studio che ha dimostrato una significativa diminuzione dell’incidenza annua della schizofrenia nella regione finlandese dopo l’implementazione del metodo del “Dialogo Aperto” (da 33 nuovi pazienti l’anno su 100.000 abitanti nel 1985 a 2 nuovi pazienti l’anno su 100.000 abitanti nei primi anni del 2000). Allo stesso tempo è anche diminuita la proporzione dei casi di schizofrenia all’interno dello spettro dei disturbi psicotici, suggerendo che poche delle crisi iniziali si sono poi evolute in schizofrenia franca. Si può ipotizzare che l’approccio del “Dialogo Aperto” contribuisca non solo a prevenire i nuovi casi di schizofrenia, ma anche a dirigere i disturbi psicotici in una direzione meno contraddistinta dalla cronicità. Questo modello ha inoltre prodotto un cambiamento positivo all’interno di quella comunità che si riflette nella generale tendenza della popolazione a un rapido avvio del trattamento. Sembrerebbe quindi che il “Dialogo Aperto” abbia un’efficacia anche come sistema di prevenzione, poiché come effetto secondario a lungo termine favorisce l’identificazione e l’intervento precoce sui sintomi, che viene sostenuto autonomamente dagli interessati.
Il team è composto da almeno tre componenti del servizio e il dialogo aperto avviene in gruppo coinvolgendo i familiari e le rete sociale, e nella maggior parte dei casi a domicilio. I sette principi generali sono: aiuto immediato,prospettiva di rete sociale, flessibilità e mobilità, responsabilità, continuità psicologica, tolleranza dell’incertezza e dialogismo.
In Italia, il Ministero della Salute, ha finanziato un progetto multi-regionale (Piemonte, Lazio, Marche e Sicilia) per sperimentare il metodo “Dialogo Aperto” in collaborazione con il team finlandese. I dati di ricerca sono stati fondamentali per ottenere il finanziamento da parte del Ministero.
I Gruppi Terapeutici per la grave patologia mentale
La Psicoterapia di Gruppo per la Grave Patologia Mentale presenta nella letteratura scientifica internazionale tre diverse tipologie di gruppo, che hanno dimostrato la loro efficacia nel tempo (le terapie di gruppo socio-cognitive, la psicoterapia psicodinamico-analitica di gruppo e la Psicoterapia Comunitaria), ma anche due tipologie di gruppo poco o per nulla studiate dal punto di vista empirico, ma comunque ancora considerate come “progenitrici” di tutti gli altri modelli di gruppi terapeutici e psicoterapeutici specificamente indicati per la grave patologia mentale (il gruppo socioterapico ed il gruppo di psicoterapia supportiva).
Il gruppo di psicoterapia supportiva
I gruppi supportivi, sono stati i primi gruppi indicati con finalità espressamente psicoterapiche (e per tanti anni anche gli unici), specificamente utilizzati per il trattamento psicosociale della grave patologia mentale (Roth, Fonaghy, Parry, et al 1996). Questi gruppi, sono sempre stati considerati espressamente psicoterapeutici, a differenza dei precedenti gruppi socioterapici, benchè la loro metodologia dell’intervento psicologico non soddisfi alcun criterio di inclusione all’interno dei classici approcci psicoanalitico-psicodinamico, cognitivo-comportamentale o sistemico-familiare, ma si rifaccia esplicitamente alla tecnica dei gruppi comunitari, proprio come i gruppi socioterapeutici.
Generare un’alleanza terapeutica positiva, adeguatamente supervisionata, assistita ed elaborata (come oggetto di lavoro), rappresenta il prerequisito indispensabile (e comunque comune a tutti gli approcci psicoterapeutici) affinché ciascun intervento gruppale abbia una qualche possibilità di successo. Precisiamo che nell’ambito dei gruppi supportivi si sostiene lo sviluppo, da parte di ogni singolo partecipante, di una positiva alleanza terapeutica sia con le équipe clinico-sociali che lo hanno in carico, sia con gli altri pazienti con i quali condivide contesti abitativi e/o di cura, sia con i familiari con i quali deve imparare a fare fronte alla propria sintomatologia.
Ad oggi non è mai stata realizzata una revisione sistematica sui questi gruppi, né tanto meno una metanalisi, pur essendo stati utilizzati in passato, come trattamento di controllo, per molti studi randomizzati e controllati (RCT) sull’efficacia di altri approcci psicoterapeutici di gruppo (NICE, 2003).
Da siffatti studi sembra che il gruppo supportivo si fondi su un approccio facilitativo alla relazione interpersonale (e quindi non indirizzata all’insight, né all’apprendimento di competenze o alla modificazione di comportamenti), una conduzione non direttiva, ma comunque focalizzata sulla relazione dell’hic et nunc volta alla mentalizzazione della fiducia reciproca; e una tematizzazione delle sedute basata sulla determinazione del contenuto da parte dell’utente/partecipante.
In particolare, la conduzione più efficace è quella che tende alla promozione del fattore terapeutico coesione del gruppo e ad altri fattori terapeutici di tipo esistenziale per i partecipanti. Fasolo (2002) propone infatti di lavorare in questi gruppi con gli intenzionamenti e le temporalizzazioni tipiche del progetto di guarigione possibile. Mantenendo una presenza terapeutica mirata alla consapevolezza delle limitatezza della vita, del confronto con la morte, del rischio del cambiamento e della responsabilità nelle sue diverse accezioni (coesione, altruismo, solidarietà).
La teoria della tecnica che sta dietro questi gruppi si rifà ad una presa in carico psicosociale del paziente che prevede colloqui individuali supplementari condotti dal terapeuta di gruppo (anche se non esclusivamente), l’integrazione di tale terapia con un lavoro sulla famiglia (svolto da altri clinici) e l’inclusione dei pazienti in un programma terapeutico “più ampio” che miri alla costruzione di un progetto di cura personalizzato (Kanas, 1996; Stone, 1996).
La psicoterapia psicodinamico-analitica di gruppo
Gli interventi di gruppo che rientrano nell’area psicodinamica, e a maggior ragione quelli esplicitamente definiti terapia psicodinamica gruppale (GPDT), sono ancora tra quelli meno studiati in questa area di ricerca.
Sembra importante quindi rivolgersi ancora ad una delle prime e più approfondite ricerche, condotta da Sigman&Hassan (2006), su 308 sedute di gruppo psicodinamico, lungo un arco di tempo di sette anni con pazienti ospedalizzati, ha mostrato l’efficacia della terapia a lungo termine, a cadenza settimanale. Sebbene non fosse presente un gruppo di controllo, si è dimostrato che il gruppo è stato un efficace contenitore di sentimenti di depressione e ansia e attivatore di insight e di supporto.
L’uso della terapia psicodinamica nel trattamento della schizofrenia è però rimasta ancora oggetto di controversie scientifiche. Mentre alcuni ne hanno sempre valorizzato l’efficacia clinica (Karon,1989), altri ne hanno scoraggiato l’uso, ritenendoli inefficaci, se non addirittura nocivi (Mueser&Berenbaum, 1990). Un importante filone di ricerca in questo ambito è stato portato avanti da Kanas (1986, 1996, 1999, 2000, 2003), le cui metanalisi (1986, 1996), hanno da tempo dimostrato che la terapia di gruppo con pazienti schizofrenici è efficace se associata al trattamento farmacologico ed ha effetti più positivi rispetto al gruppo di controllo (pazienti che non partecipavano al gruppo) o alla terapia individuale. Incoraggiato da questi risultati, Kanas ha elaborato un modello di terapia di gruppo che rappresenta un’evoluzione in senso psicodinamico dei gruppi supportivi, integrando tecniche educative, psicodinamiche e interpersonali, di cui le evidenze empiriche dimostrano gli effettivi benefici (1996, 2000).
Nell’ambito di tale impostazione, la psicoterapia psicoanalitica per la grave patologia mentale, in accordo anche con la posizione di Gabbard (2004), si caratterizza per:
1. sedute regolari condotte da uno psicoterapeuta di formazione analitica che opera in costante supervisione analitica, indirizzata soprattutto alla costruzione ed al mantenimento di un’alleanza terapeutica positiva ed all’elaborazione delle dinamiche transferali;
2. l’uso flessibile di tecniche direttive (come l’incoraggiamento ad affrontare i problemi e la collaborazione alla risoluzione degli stessi oltre che la funzione di Io ausiliario svolta dal terapeuta stesso) e supportive (come la costruzione di un contenitore organizzativo del trattamento che dia sicurezza al paziente e l’assunzione di una posizione empatica, di accettazione e non giudicante);
3. l’elaborazione delle relazioni da transfert attraverso una tecnica espressiva orientata all’exploratoryinsight, ma con una tecnica che, rispetto alla psicoanalisi, esponga in maniera inferiore il paziente alle interpretazioni sulle esperienze traumatiche infantili ed al lavoro di comprensione delle primordiali esperienze relazionali con “l’Altro significativo”.
La Psicoterapia Comunitaria
La maggior parte dei dispositivi terapeutici Community Based forniscono essenzialmente interventi terapeutici di sostegno e coordinamento comunitario, in maniera più o meno completa, intensiva o assertiva, fondati su una impostazione gruppale della cura, dei suoi utenti finali dei loro familiari e degli operatori coinvolti. Fino ad oggi la letteratura e la ricerca scientifica hanno individuato all’interno di tale gruppo due grosse tipologie di dispositivi terapeutici: i gruppi focalizzati sulla presa in carico territoriale dell’utente e i gruppi centrati sulle dinamiche familiari che sostengono il progetto terapeutico dell’utente.

I gruppi focalizzati sulla presa in carico territoriale dell’utente
In questi gruppi terapeutici è sempre presente la figura fondamentale di un operatore clinico specializzato, identificato come case manager.
Il ruolo del case manager si presta tra l’altro a continue innovazioni come nel caso della nuova figura di intermediatore (broker) che ad esempio il servizi sanitario inglese sta sperimentando per fornire un servizio di sostegno e consulenza clinico-sociale ma anche economico-legale ai pazienti cui viene assegnato un budget di cura per la realizzazione del proprio progetto terapeutico personalizzato (Leadbeater, Bartlett, Gallagher, 2008).
Una recente review (Marshall et al. 2002) ed una metanalisi (NICE, 2004) condotte su un totale di 13 studi randomizzati (6 nel Regno Unito, 6 negli Stati Uniti e 1 in Australia), non hanno riscontrato prove d’efficacia sufficienti, ma hanno comunque definito che il carico assistenziale assegnato a ciascun operatore case manager, che lavori in programmi CM con tale mansione ed a tempo pieno, deve essere inferiore ai 15 pazienti.
Queste ricerca hanno comunque definito che il case manager, è una figura molto più efficace se opera all’interno di uno team clinico territoriale multidisciplinare con il quale condivide la referenza e la titolarità di un servizio community based, che prenda in carico in maniera intensiva il paziente (Thompson et al, 1990).
I Team Clinici Territoriali sono intesi come gruppi di lavoro, multidisciplinari ed integrati nei servizi socio-sanitari territoriali, che condividono la responsabilità degli utenti attraverso servizi articolabili lungo le 24 ore della giornata, 7 giorni la settimana, in una molteplicità di contesti (nelle residenze sanitarie, negli spazi abitativi, nei quartieri di appartenenza, nei luoghi di lavoro), fornendo sostegno e consulenza clinica, ove necessario, anche alle reti sociali di riferimento dei pazienti (familiari, amici, datori di lavoro, operatori sociali, ecc.) (Stein et al., 1990)
La loro metodologia operativa è stata sviluppata a partire da una ormai storica consensus conference internazionale sull’assertive outreach (McGrew et al, 1994; McGrew, Bond, 1995), che ha proposto un modello di organizzazione dei servizi mirato al conseguimento dei seguenti obiettivi per diversi pazienti:
1. mantenerli in contatto con i servizi socio-sanitari territoriali;
2. prevenire e ridurre eventuali ricadute ed il loro conseguente ricorso ai ricoveri ospedalieri;
3. migliorarne la qualità della vita ed il funzionamento sociale e professionale.
Gli studi controllati sui programmi di assertive outreach hanno infatti già da tempo dimostrato, da un lato la loro efficacia nel ridurre la durata dei ricoveri, nel migliorare la qualità della vita dei pazienti (Burns, Santos, 1995), nel potenziare il livello di soddisfazione per i servizi socio-sanitari ricevuti in relazione alla loro condizione abitativa e lavorativa (Test, 1992); e dall’altro che il rapporto pazienti/personale di 10:1 corrisponde al carico lavorativo che lo staff clinico-sociale può reggere per organizzare al meglio il servizio (Taube et al., 1990).
I gruppi centrati sulle dinamiche familiari che sostengono il progetto terapeutico dell’utente
L’evoluzione dall’assertive outreach ai più moderni team clinici territoriali multidisciplinari, consiste essenzialmente nella maggiore attenzione dedicata al sostegno domiciliare, che viene oggi inteso come una tipologia di trattamento che mira alla creazione di un contesto abitativo personalizzato, in grado di garantire un elevato miglioramento della qualità della vita e dell’inclusione socio-professionale dei pazienti (Murphy et al.,).
L’attenzione al contesto domiciliare ha anche portato allo sviluppo di una serie approcci familiari che mirano a trattare i pazienti sostenendo le dinamiche familiari che animano i loro contesti di vita quotidiana. Uno di questi è oggi definito “Gruppo di Dialogo Aperto” (Seikkula et al., 2006), mentre un altro approccio sorto un po’ più di tempo prima dall’incrocio della tradizione dei gruppi socio-terapeutici con quella dei gruppi analitici, si presenta oggi come Gruppo di Psicoanalisi MultiFamiliare (GarçiaBadaracco, 1989; 2000).
Queste pratiche ci riportano ad una nostra riflessione teorica e pratica clinica di psicoterapia di comunità con una attenzione particolare alla comunità locale.
La comunità locale intesa come il contesto relazionale ed il campo mentale su cui intervenire con pratiche, di sviluppo sociale, di partecipazione politica e di benessere relazionale, attraverso le quali garantire la qualità della salute mentale di tutti i suoi membri e delle reti sociali che li attraversano. Tali pratiche possono quindi essere considerate e progettate come interventi di psicoterapia di comunità.
Il livello di salute di queste gruppalità dipende, per la maggior parte, dal buon funzionamento degli scambi e dei legami lungo le reti sociali dei contesti di appartenenza, e quindi in buona misura dagli interventi di cura della salute mentale della comunità locale.
Un buon sostegno comunitario alle famiglie in difficoltà è il primo passo per attivare in esse un processo di empowerment che le predisponga ad affrontare il proprio disagio e a prendersi cura dei propri membri più sofferenti.
Una psicoterapia di comunità efficace ha come metodologia quella psicodinamica ed in particolare gruppoanalitica, per la sua fondazione epistemologica di tipo antropologico e per la sua prassi clinica sviluppatasi in setting individuali, gruppali, familiari, istituzionali e comunitari, ma soprattutto per il suo essere epistemologicamente fondata sul potere terapeutico dei pari e quindi orientata alla partecipazione sociale .
Garantire i LEA psicoterapia nei servizi dell’area socio-sanitaria e nella comunità locale significa pensare anche a forme di convenzioni e o di collaborazioni con enti e/o professionisti in possesso dei requisiti di legge e di competenze professionali per esercitare tali prestazioni. Una psicoterapia convenzionata con i servizi pubblici di salute mentale non può che essere, per la sua massima parte, espressa in forma comunitaria. E ciò nel rispetto del principio della massima efficacia per il maggior numero di casi. Il secondo corollario è che: i processi terapeutici comunitari si fondano sull’attivazione di spazi mentali di transito ed interconnessione tra le culture, i gruppi sociali di appartenenze e le diverse generazioni.
Molti colleghi psicoterapeuti, soprattutto giovani si misurano ogni giorno con la costruzione e la pratica di questi setting comunitari per rispondere al bisogno crescente di “aiuto psicologico” soprattutto nelle fasi adolescenziali. Penso al lavoro nelle scuole, nei centri sociali, nei quartieri, alla prevenzione, alla riabilitazione, alla ricerca del lavoro per i soggetti svantaggiati, al lavoro con le nuove tecnologie informatiche, alle nuove dipendenze.
I nostri compagni di viaggio, o più tecnicamente i “colleghi”, di questi dispositivi terapeutici comunitari non potranno più essere quindi soltanto altri psicoterapeuti, e neanche soltanto psicologi e psichiatri, ma dovranno essere, sempre più, figure professionali “altre”, come appunti di arteterapeuti, ed insieme a loro i terapisti della riabilitazione, gli assistenti sociali e gli infermieri psichiatrici, e spesso poco definite istituzionalmente come ad esempio tutte le tipologie di operatori sociali (operatori di strada, mediatori linguistico-culturali, intermediatori sociali, animatori di comunità, counselor, operatori domiciliari e di quartiere, ecc.), ma anche gli educatori e gli insegnanti di sostegno nelle istituzioni scolastiche, i medici di base degli ambulatori e dei presidi sanitari pubblici, in generale tutti i professionisti delle relazioni d’aiuto e dei servizi socio-sanitari alla persona, senza dimenticare il mondo del volontariato sociale, dell’associazionismo culturale e della cosiddetta società civile, senza mai dimenticare i “colleghi semi-professionisti” rappresentati dagli utenti esperti che animano o dovranno animare i servizi semi-professionali tra pari.
La ricerca clinica, soprattutto all’interno dei Servizi Pubblici preposti alla cura della sofferenza mentale, rappresenta una sfida importante per il futuro non solo della cura dei pazienti, ma anche del ruolo della psicoterapia e dei suoi strumenti in un ambito tanto delicato quanto fondamentale per la crescita del benessere psichico dei pazienti, degli operatori del settore e dell’intero contesto sociale.
Tuttavia le difficoltà inerenti la scarsa strutturazione dei setting di cura, il turn-over di pazienti ed operatori, i cambiamenti istituzionali ed organizzativi, oltre alla carenza di risorse specifiche dedicate all’empowerment della best practice nel campo della Salute Mentale di Comunità, rendono ardua la possibilità di portare avanti studi longitudinali che consentirebbero di monitorare le ricadute di specifiche prassi terapeutiche o l’utilizzo di uno specifico strumento clinico (tra cui, ad esempio, quello della supervisione) sull’efficacia del lavoro psicoterapeutico con i pazienti e sul benessere organizzativo dei servizi curanti.
Tentare di integrare la prassi clinica con il lavoro di supervisione, con la ricerca, con le più recenti indicazioni nazionali ed internazionali sul tema della salute mentale, oltre che con le attuali esigenze (e carenze delle risorse) economiche, significa iniziare a lavorare in un’ottica di “efficiency”, con l’obiettivo di collegare l’efficacia clinica con un più attento ed efficiente utilizzo delle risorse economiche disponibili.
La salute mentale non può e non deve rappresentare un ambito “isolato” della sanità pubblica e della società in generale, ma deve essere adeguata ad un contesto sociale in continuo mutamento, che richiede necessariamente un’attenta e continua rimodulazione in itinere dei processi di cura. Per far questo la ricerca – quando applicata alla clinica e finalizzata al miglioramento delle prassi cliniche stesse – può rappresentare una risorsa imprescindibile.
Il movimento del recovery
Il movimento del recovery, è diventato una nuovissima direzione di ricerca, sostenuta e partecipata dagli stessi pazienti che mira a ritarare sulle suddette nuove acquisizioni empiriche, non soltanto le classiche ricerche sugli esiti, ma anche i dispositivi terapeutici ed i programmi di intervento clinici e sociali (Davidson, et al., 2009). Da tale movimento è emerso il concetto di recovery personale, che non coincide necessariamente con il ritorno ad uno stato precedente alla malattia, ma piuttosto con il costante tentativo di forgiare un nuovo modo di vivere sotto il proprio controllo, sulla base di un rinnovato senso di auto-efficacia. Recovery è quindi diventato il nome di un processo di guarigione dalla grave patologia mentale fondato sulla possibilità di superare il trauma della malattia, le conseguenze dei trattamenti e spesso dei mal-trattamenti, la perdita delle capacità e delle opportunità di accesso ad attività che hanno un significativo valore personale. L’auto-mutuo-aiuto e l’associazionismo partecipativo, sono diventate attività fondamentali non solo per confermare e/o recuperare reciprocamente l’autostima, ma anche per affermare il proprio diritto a partecipare alla costruzione degli stessi programmi di cura.
Dalla parte degli operatori ciò comporta una riflessione straordinaria sulla infusione, trasmissione e elaborazione della speranza di guarigione e/o di benessere come componente essenziale del processo terapeutico, e richiede un immane sforzo sistematico, sull’impostazione della cura basata sin dall’inizio sull’assunzione del rischio, piuttosto che sul suo evitamento metodologico. Il diritto del paziente di sbagliare è quindi parte integrante del processo ed implica uno spostamento del focus dal modello di una malattia da curare ai quello di una vita da vivere.
Fonte dei dati e bibliografia
-Documento Ministero della Salute “Nuovi LEA nell’Area Socio-Sanitaria” 2015
-Documento Accordo Stato-Regioni per la “Definizione dei percorsi di cura da attivare nei Dipartimenti di salute mentale per i disturbi schizofrenici,i disturbi dell’umore e i disturbi gravi di personalità” Novembre 2014
-Documento “ A Systematic Review of the Efficacy and Clinical Effectiveness of Group Analysis and Analytic/Dynamic Group Psychotherapy Produced by: Centre for Psychological Services research, School of Heat and Related Resarch, University of Sheffied, Uk

-Manuale Diagnostico Psicodinamico Raffaello Cortina Editore 2008 “Psicoterapie psicodinamiche evidence-based” Peter Fonagy e “Lo statuto empirico delle psicoterapie validate empiricamente” D. Westen e altri.
-Indagine su una epidemia. Lo straordinario aumento delle disabilità psichiatriche nell’epoca del boom degli psicofarmaci. Robert Whitaker Giovanni Fiorito Editore 2010
-Psicoterapia di comunità di Raffaele Barone, Simone Bruschetta e Vincenzo Bellia FrancoAngeli Editore 2010
-La ricerca sui gruppi comunitari in salute mentale. La valutazione clinica delle reti sociali e la psicoterapia di comunità orientata alla recovery per la grave patologia mentale di Simone Bruschetta, Raffaele Barone e Amalia Frasca. FrancoAngeli Editore 2014
-La psicoterapia individuale e quella di gruppo rispondono ancora ai bisogni di cura della società?
Manifesto per una psicoterapia ed una arte terapia di comunità a sostegno della partecipazione sociale. di Raffaele Barone, Vincenzo Bellia, Simone Bruschetta in press



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