È possibile che, già 3.500 anni fa, i nuragici avessero un grado di civiltà così avanzato da conoscere i fenomeni celesti? Augusto Mulas, agrotecnico di Ozieri con la passione per l’archeologia, non ha dubbi: sì. Lo dimostra, dice, il complesso nuragico di Torralba, in cui i nuraghi ricalcano perfettamente la disposizione della costellazione delle Pleiadi...
Il nuraghe Santu Antine? Come la stella Alcione, la più bella delle Pleiadi. Secondo la tesi di Augusto Mulas, autore di «Isola sacra», le torri di Torralba replicherebbero la costellazione. La sua tesi, di quelle destinate a far discutere, Mulas la illustra con abbondanza di esempi nel suo «L’isola sacra. Ipotesi sull’utilizzo cultuale dei nuraghi» (edizioni Codanghes, pp. 254, 20 euro) in cui per la prima volta l’ipotesi che i nuraghi potessero, fin dall’origine, essere concepiti come luoghi di culto arriva da un archeologo: lo stesso Mulas, appunto, che alle spalle ha studi classici con indirizzo archeologico e la partecipazione a numerose campagne di scavo. Il libro è stato al centro venerdì di un incontro al Caffè Savoia, allestito da Agorà Nuragica. «Già ai primi del’900 – ricorda Augusto Mulas – archeologi come Taramelli parlavano dei nuraghi come di fortificazioni». Davanti alla loro possenza – prosegue – è comprensibile che anche gli archeologi arrivati dopo, tra cui Giovanni Lilliu, propendessero per quest’ipotesi. «Tuttavia – dice lo studioso – sono venuti alla luce nuovi materiali e fonti che avrebbero dovuto portare a conclusioni diverse». E in effetti, non molto tempo fa si è iniziato a sostenere che le torri di pietra avessero assolto anche a funzione di culto, ma solo dal decimo al nono secolo Avanti Cristo. Quasi un compromesso tra chi ha sempre parlato di quest’ultima funzione come esclusiva e chi invece insistive sul ruolo di fortezze. «Eppure l’uso cultuale dei nuraghi è ben antecedente il IX e il X secolo» è la prima scoperta di Mulas. Lo dimostrerebbero, ad esempio, i materiali antecedenti quel periodo rinvenuti negli scavi di fondazione del nuraghe Arrubiu di Orroli, come un vaso «a uso cultuale o al massimo funerario». Lo stesso dato emerge anche esaminando altri vasi rinvenuti nel Palmavera e nel Speranza di Alghero, o in Su Sonadori di Villasor: in ciascuno di essi sono stati ritrovati resti di cibo, di mitili, ossa di animali, spesso anche spade dal carattere indubbiamente votivo. Se a ciò si aggiungono scoperte simili fatte anche in diversi pozzi sacri, come quello di Santa Cristina, ce n’è abbastanza perché la casualità venga a crollare. E se questo non dovesse bastare, a far capire che i nuragici avevano precisi punti di riferimento sono pure alcuni comprensori territoriali: in particolare la piana di San Saturno, a Benetutti, e la valle dei nuraghi di Torralba. «Il dato più importante – dice Mulas – è che il nuraghe di Santu Antine, il più bello del sistema, corrisponde ad Alcione, la stella più bella dell’ammasso delle Pleiadi. Fu costruito in una pianura alluvionale: perché faticare tanto a spostare tutta quella terra se non per rispettare la posizione astrale?». Ma perché proprio le Pleiadi? E poi perché quell’antico popolo, che sembra essere stato così in armonia con l’universo, realizzò quel complesso? Le risposte sono incerte, ma, dice l’archeo-astronomo Mauro Zedda, sono certi gli studi di Augusto Mulas, confortati dal rigore scientifico, a cui si aggiunge il pregio di aver aperto nuovi scenari della ricerca. Di Sabrina Zedda
Fonte: http://lanuovasardegna.gelocal.it