Magazine Architettura e Design
"Vi ringrazio per essere qui oggi a condividere con noi questo momento.
Gli spunti e le riflessioni che il progetto e il cantiere ci hanno fornito sono stati molti; qui mi limito a citare solamente alcune considerazioni, partite dall’ambito strettamente tecnico interne alla pratica del Restauro e approdate a consapevolezze più ampie e importanti. Il Restauro di un monumento non equivale ad un’operazione di makeup (di cosmesi, per dirla in italiano) ma ad un’indagine sulla natura storica del manufatto architettonico e sui motivi e le ragioni che gli hanno dato forma e ragion d’essere.La tecniche costruttive di epoca pre-moderna, basate su murature piene e portanti e, comunque, su volumi e partiture architettoniche pesanti, erano pensate all’origine per regalare una lunga durata nel tempo al manufatto (la cui età si misurava in generazioni umane). Inoltre il costo della manodopera in edilizia, era di gran lunga inferiore a quello dei materiali edili; manutenere e risanare era più economico che costruire ex-novo, praticamente l'opposto di ciò che succede ai giorni nostri. Anche per questo motivo molti dei centri storici marchigiani hanno acquisito l’aspetto “murato” (ovvero con murature faccia vista) poiché la difficoltà di effettuare la manutenzione degli intonaci originari, per tempi e risorse richiesti, ha comportato il graduale abbandono del cosiddetto “strato di sacrificio” (che in realtà aveva anche funzioni protettive). Al contrario la produzione architettonica, oggi, vede l’impiego di leggere pelli tecnologiche, sottili strati con differenti prestazioni in grado di permettere all’edificio di rispondere alle esigenze di utilizzo e di provvedere alla protezione termica e atmosferica con un utilizzo limitato di materiale.
Le città sud europee sono state, nel passato, costruite con volumi pieni e con masse importanti come lo stesso Le Crobusier registrò bene nei famosi taccuini durante i suoi viaggi lungo molte sponde del Mare Nostrum. Il tentativo di realizzare architetture connotate come "italiane" porta molti degli architetti del ventennio verso importanti movimenti delle masse murarie e con frequenti accentuazioni delle fughe verticali (come fatto dal Bazzani, progettista di questo palazzo) declinando l'idea di modernità in modo ben differente da quella di Giuseppe Pagano, padre del razionalismo italiano nel '900, anche lui in cerca delle caratteristiche invariati dell’architettura italiana.Il Palazzo del Mutilato appartiene ad una modernità "metafisica" (quasi fossero scenari dei quadri di De Chirico), oggi apparentemente anacronistica ma anche, come vedremo, ancora cercata: voleva con forza essere moderno pur guardando, per stile e partitura architettonica, alla classicità. Una qualità che ha dato a molti degli edifici di quel periodo una notevole longevità. Anche in termini di riconoscibilità e qualificazione estetica, sopratutto rispetto al costruito urbano successivo, molti esempi di quegli anni mantengono tutt’oggi una ves architettonica indiscutibile (basta pensare al fatto che alcuni di questi fanno da sfondo a molte clip pubblicitarie televisive, con una evidente attribuzione di valore simbolico sopratutto dovuto all'epos che sanno trasmettere).
La volontà di modernità si esprime chiaramente nel Palazzo del Mutilato di Macerata attraverso l’utilizzo del rivestimento in cotto che il giornale del cantiere originale chiamava con il nome di “Cotto novo”. L’autarchia, all'epoca, imponeva grandi sacrifici e “arguzie” per centellinare le scarse risorse nazionali e, spesso, si è giunti ad escogitare tecniche e modalità di lavoro che riuscivano a fare di vizio virtù. Come ricorda Andrea Branzi, uno dei maggior storici del design italiano, il Made in Italy nasce realmente da quel tragico e “scomodo” momento: siamo sempre stati bravi a cavarcela nelle situazioni difficili.Il Cotto Novo era, in pratica, il primo esempio di elementi laterizi per l’edilizia realizzati per estrusione, attraverso una trafilatrice. Una tecnica che permetteva importanti volumi produttivi a fronte di costi limitati con l’inconveniente di avere spesso prodotti non eccellenti per qualità… Non voglio elencare le soluzioni tecniche adottate in cantiere ma voglio soffermarmi proprio su questo aspetto poiché esso è stato alla base della maggior difficoltà incontrata durante i lavori, iniziati il 15 ottobre del 2012. Tale tipologia di cotto, infatti, era pensata per essere posata velocemente, senza l’utilizzo di stuccatura orizzontale nell’apparecchiatura muraria. La velocità, del resto, ha contraddistinto l’intero cantiere costruttivo del Palazzo, edificato in pochi mesi. La non perfetta ingelività degli elementi di cotto originali, tutt’ora volutamente rimasti visibili nell’ultima fascia in fondo alla facciata est, ha dato origine a fenomeni di esfoliazione superficiale del cotto che, uniti a episodi di distacco di elementi più consistenti (dovuti ad uno strato di sottofondo non proprio compatto e uniforme) ha causato il degrado della facciata che, negli ultimi anni, ha richiesto la presenza di impalcature per la messa in sicurezza dell’area pedonale prospiciente. Tali elementi, per forma e dimensione, non sono più reperibili sul mercato e si è dovuto provvedere a realizzarne dei nuovi ad hoc per il Palazzo del Mutilato, rispettando il più possibile l’aspetto e le dimensioni del cotto originale ma, allo stesso tempo, migliorandone le caratteristiche di resistenza e durabilità. Ricordiamo che negli anni passati furono tentate diverse operazioni manutentive per risolvere il problema, senza mai esser riusciti ad ottenere una soluzione definitiva e, anzi, peggiorando la situazione.
Il percorso del cantiere, non certo breve né facile, è stato supportato dal grande sostegno fornito dall’ANMIG, in primis dal suo Presidente Provinciale Ivo Pianesi e dalla signora Gilda Coacci (membro del Consiglio), senza la lungimiranza dei quali di certo avremo avuto ancora maggiori difficoltà nell’affrontare le prove che l’opera stessa ha comportato. Voglio anche ricordare Graziano Cardarelli e a suo figlio Andrea per il continuo supporto fornito sin dall’inizio del cantiere, come segretari dell'ANMIG della sezione provinciale di Macerata. Personalmente debbo ringraziare mio padre, autore di molti rilevanti restauri a Macerata negli scorsi anni, per aver arricchito questo lavoro con il valore aggiunto della sua esperienza in questa disciplina. Un riconoscimento, doveroso, all’impegno della ditta Gobbi; una piccola impresa che ha saputo operare con grande perizia tecnica nel proprio lavoro. Sandro, Michael e le loro maestranze sono sempre stati disponibili a cercare, insieme alla Direzione dei Lavori e alla Committenza, le risposte più adeguate ai tanti problemi che ci siamo trovati ad affrontare. Non sempre, oggi, è possibile lavorare con maestranze altrettanto attente e disponibili.Infine ringrazio Lucia, mia sposa da 5 giorni, per la pazienza avuta nel rinunciare al viaggio programmato per permettermi di partecipare a questa cerimonia.
Va oggi riconosciuto all’ANMIG, che detiene la maggior parte della proprietà del Palazzo, e all’Università degli Studi di Macerata, il coraggio e il merito di avere voluto credere nel valore dell’architettura come res pubblica. Al di là della valorizzazione dell’edificio come immobile e bene edilizio, inoltre, si è posta in essere un’operazione di riqualificazione per l’intero spazio di Piazza Oberdan (uno spazio importante del nostro centro storico), dominato dagli imponenti prospetti di questo Palazzo. Ricordiamo che da operazioni puntali, spesso, si ottengono importanti risultati in termini di riqualificazione urbana (basta pensare all’esempio di Barcellona con le Olimpiadi del ’90). Così mi ha fatto piacere rilevare come, poche settimane fa, anche il prospiciente Palazzo Costa sia stato oggetto di piccoli interventi di manutenzione. La mia convinzione è che si sia agito nella consapevolezza di avere a che fare con un brano del patrimonio e della memoria condivisa appartenente alla città tutta. Non è frequente oggi avere testimonianza vissuta del valore civico e identitario attribuito all'architettura, tantomeno è frequente imbattersi in soggetti che fanno della propria evidenza architettonica un motivo di orgoglio in modo così evidente, al di là degli esempi che la cronaca architettonica ci fornisce oggi, mossi, in modo primario, da motivi di marketing e di immagine.
La nostra riconoscenza, infine, non può non andare a chi, con impegno, dedizione e notevole sacrificio (anche estremo), ha costruito questo edificio, arrivato sino a noi e, ora, patrimonio cittadino. Ritengo un onore aver lavorato per questo Restauro poiché ci ha permesso di mettere le nostre competenze al servizio di un monumento che, di certo, è da annoverare sotto il nome di “architettura” e pertanto, appartenente sia alla nostra memoria storica sia parte integrante della nostra identità civica, oggi rinnovata con orgoglio.
Grazie a tutti."
SeNSoRe, il blog di Carlo De Mattia
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