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Le esperienze ottocentesche di Charles Darwin presso le isole Galapagos hanno rivoluzionato la storia, permettendo l'introduzione di una nuova affascinante teoria evoluzionistica: la selezione naturale. Di ciò si è a lungo parlato, ma non altrettanto si è fatto per ciò che riguarda il minuscolo arcipelago nel cuore dell'oceano Pacifico che ha ospitato l'equipaggio del Beagle dal 15 settembre 1835. Perché proprio in questo punto geografico e non altrove Darwin è arrivato a dare una spiegazione esaustiva alle sue supposizioni? La risposta risiede nel fatto che le isole Galapagos rappresentano il “laboratorio” ideale per risolvere ogni enigma evoluzionistico. Possono, infatti, essere ricondotte a un microcosmo naturalistico, nel quale piccole popolazioni si avvicendano offrendo interessanti ragguagli in merito alla loro sopravvivenza e, quindi, alla loro evoluzione. Non è un caso, dunque, che i due scienziati Peter e Rosemary Grant, in occasione della vincita del Premio Balzan, abbiano deciso di visitare proprio l'arcipelago del Pacifico per studiare da vicino in che modo la variabilità genetica risulti essere una prerogativa sostanziale nella sopravvivenza di una specie. Con questo termine si intende l'eterogeneità genetica che deriva da due processi chiave della biologia: la mutazione genetica e la ricombinazione genetica. Le mutazioni riguardano modificazioni del DNA o dell'RNA, i cosiddetti acidi nucleici e portano alla formazione di nuovi alleli, ossia varianti di uno specifico gene. Nel secondo caso ci si riferisce a un processo che induce al mischiamento degli alleli, dando luogo a nuove combinazioni alleliche visibili nelle generazioni future. Da tempo si sa che una buona diversità genetica è un parametro indispensabile al prosieguo di una specie e alla sua sopravvivenza, dunque i Grant hanno voluto approfondire l'argomento indagando proprio nel “laboratorio naturale” per eccellenza: il paradiso darwiniano delle Galapagos.
Su queste isole dimorano molte specie di uccelli, ogni isola, in particolare, è rappresentata da una specie diversa di tordo beffeggiatore. Significa che in questo contesto ambientale i processi di endogamia sono all'ordine del giorno. Ma l'endogamia – ossia la riproduzione sessuale fra individui geneticamente simili – è inversamente proporzionale alla qualità genetica di una specie. Quando una popolazione è scarsa, i suoi rappresentanti si accoppiano fra loro, “omogeneizzando” il DNA che diviene più suscettibile alle malattie e alle infezioni. Al contrario una specie resiste di più a morbi e pestilenze se il suo corredo genetico mostra un'alta variabilità. «La diversità genetica è alla base di tutte le altre forme di diversità biologica», rivelano gli esperti del'ISPRA, «consente la persistenza delle popolazione, grazie ai processi di selezione naturale e adattamento alle continue variazioni ambientali. La perdita di variabilità genetica aumenta le probabilità di estinzione di popolazioni e di specie, contribuendo a disintegrare la complessità degli ecosistemi». I risultati ottenuti dai Grant sono stati diffusi in un simposio tenutosi recentemente presso la Princeton University, in USA. Nei dettagli gli studiosi si sono occupati di verificare le caratteristiche genetiche di quattro specie allopatriche: una specie viene così detta nel momento in cui una barriera geografica (catena montuosa, fiume, lago) si interpone alla diffusione della stessa, riducendo sensibilmente la sua “qualità” cromosomica. Sono stati utilizzati dei marcatori genetici definiti “microsatelliti”, per mettere in luce che la popolazione, in assoluto, più a rischio delle Galapagos è rappresentata dal tordo beffeggiatore dell'isola Floreana: la specie è attualmente costituita da due sole popolazioni, una quarantina di individui sull'isolotto Champion e un centinaio fra Baia Gardner e Floreana.
A questo punto si è intervenuti sull'isola di Floreana per creare una terza popolazione e in questo modo “rinverdire” il corredo genetico delle due già presenti: i contatti fra le varie popolazioni consentiranno un mischiamento dei vari corredi genetici, assicurando una variabilità più spiccata e dunque maggiori chance di sopravvivenza; in pratica s'è ripristinata la situazione già in voga 120 anni fa, tracollata in seguito ai processi di antropizzazione. Il compito è stato assolto con la collaborazione del Parco Nazionale delle Galapagos e la Stazione di ricerca Charles Darwin, e la supervisione di Lukas Keller dell'Università di Zurigo. Lo studio offre spunti di riflessione anche per ciò che riguarda la diversità genetica di molte altre specie, comprese quelle botaniche, tenuto conto del fatto che anche in tutti gli altri organismi, l'eterogeneità di un genoma è direttamente proporzionale a una maggiore resistenza ai malanni. Lo provano vari eventi storici, come quello risalente all'Irlanda dell'Ottocento, in cui la maggior parte delle piante di patate morirono provocando una grave carestia alimentare. In seguito si scoprì il perché: le patate presentavano una variabilità genetica molto ridotta, tale per cui, all'attacco di un organismo fungino particolarmente resistente, quasi tutte soccombettero alla sua azione.
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