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Con “I pesci non chiudono gli occhi” lo scrittore Erri De Luca torna alle atmosfere di uno dei suoi migliori romanzi del passato “Tu, mio”; ma a differenza di quest’ultimo dove si raccontava in generale l’adolescenza e le vicissitudini ad essa legata nell’ultimo romanzo è un’età precisa – quella dei dieci anni – ad essere raccontata, anzi meglio dire ricordata. Esattamente a cinquant’anni di distanza l’affermato autore di oggi guarda al bambino di allora descrivendo l’ansia di crescere e prende così corpo la consapevolezza del cambiamento esistenziale avvenuto in quell’estate dentro di sé.All’età di dieci anni Erri De Luca – protagonista – è un ragazzino introverso, riflessivo: diverso dai tanti scugnizzi dei quartieri partenopei di derivazione. A differenza dei suoi coetanei non è costretto ad un lavoro e diversamente ha il privilegio raro di vivere la propria infanzia tra gli amati libri lasciati da suo padre (emigrato negli Stati Uniti) e la tenerezza di una madre sempre attenta alla crescita del figlio. Ed è nell’estate dei dieci anni ad Ischia in una possente lotta interiore che lo scrittore bambino vuole rompere quel guscio protettivo creatogli intorno dalla famiglia e che lo rende estraneo al mondo dei suoi coetanei. Una lotta che divora il ragazzo: da una parte il corpo che ancora mantiene fattezze infantili, dall’altra la mente veloce e arguta di un uomo che si affaccia all’età adulta. Provvederà l’incontro con una ragazza bella come mai ne aveva incontrate prima e diversa da quelle conosciute a scuola a condurlo nella realizzazione della crescita. La ragazza, molto probabilmente con qualche anno in più di Erri, è già grande nella testa, ragiona come una scrittrice affermata e si interessa agli animali e alle emozioni dell’essere umano. Dapprincipio è la scoperta emotiva della bellezza di una donna che rende tutto più semplice e accelera la crescita del ragazzo. Lo snodo principale di questo romanzo sta proprio in questo punto della narrazione. Mentre la ragazzina sembra avere occhi solo per Erri trascorrendo la maggior parte del tempo libero insieme al nostro, un gruppo di ragazzi più grandi, uniti da maschile cameratismo si accorge della bellezza intrigante della ragazza e vuole a tutti i costi farla proprio e comincia un assalto alla ragazza e al contempo atti intimidatori al ragazzo. Il gruppetto nella lotta per la conquista si accanisce sul singolo sfogandosi in un corpo a corpo animalesco sull’impassibilità del solo. E il solo lascia fare, non si oppone, sapendo che è proprio dai colpi subiti in questa lotta che riceverà la forza per crescere e uscire dall’età bambina per immergersi in quella adulta. Così il ragazzo si lascia tumefare il volto prende colpi in tutto il corpo che gli duole come non mai ma non accenna ad un minimo di denuncia, ad una recriminazione su quella lotta impari, tanto più che con le visite di lei l’effetto di guarigione accelera e con la guarigione sempre nascere un nuovo corpo. E’ un dolore dolcissimo quello che prova consapevole che il corpo si è rotto e da questa rottura dovrà necessariamente uscire l’ uomo. Da qui la scoperta primordiale dell’amore con il parallelismo tra l’amore di suo padre e sua madre vissuto come in un trattato romantico che si scontra con l’emozione provate nel stringere la mano della ragazzina: una mano liscia e morbida “meglio del cavo della conchiglia”. Baci che si protraggono per una notte intera, l’ultima prima della fine dell’estate e della separazione che lasciano dentro il ricordo indelebile e inarrivabile di un amore senza ombre. Baci che saranno la scoperta stessa dell’amore, quello vero senza nessun interesse e che saranno la bussola nella vita sentimentale dello scrittore. Baci che saranno il viatico per far comprendere l’amore al cresciuto bambino/uomo De Luca; dal momento che l’amore cambia il corpo e lo spirito ed è lotta contro quel tempo che sembra non voler mai essere sentimento. Dolcezza e malinconia, storia personale e storia sociale, vita presente e futuro: una freccia scoccata a ritroso nel tempo; tutto si alterna e innesca un racconto dallo stile asciutto e semplice tipico della narrativa di De Luca. P.S.: Nonostante l’alta considerazione che nutro nei confronti del critico del Corriere della Sera, Antonio D’Orrico, devo purtroppo ammettere che questa volta il suo giudizio su questo libro non mi ha convinto e anzi sono completamente in disaccordo. D’Orrico boccia con un misero 3 “I pesci non chiudono gli occhi” poiché a suo parere scritto malissimo. Forse è vero, l’italiano di De Luca, la sua terminologia non è quella classica ma quella della strada e del napoletano in particolare, per cui a molti la scrittura del partenopeo può sembrare un po’ fuori luogo, ma credo che sia proprio questa la cifra stilistica di De Luca che è diventata come un marchio di fabbrica. Se poi D’Orrico voleva indugiare sul contenuto, questo non è dato sapere.
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