Dopo “Il cielo in una stanza” ecco “I pesci in una stanza”
Le fotografie surreali di Sandy Skoglund
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In realtà questo articolo doveva parlare della radio. Volevo presentare la nuova rubrica che entrerà a far parte di secondosempre dai prossimi post e lasciar perdere (solo per un attimo) questa storia delle [connessioni].
Poi però alla fine i pesci si sono impossessati del blog, e così eccomi qua a scrivere di acque profonde, navi alla deriva e laghi congelati.
Questo articolo dunque navigherà a vista fra:
- Anatre, laghetti, e uno dei capolavori indiscussi della letteratura americana.
- Acque profonde, immersioni, e una forma particolare di cinema ispirato dalla cosiddetta meditazione trascendentale.
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Navi alla deriva.
- Una fotografa che usa i pesci per raccontare la vita quotidiana.
- Soprattutto, questo post ti farà delle domande. Domande strane. Tipo quella che segue.
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# Dove vanno le anatre quando il laghetto gela?
La domanda se la fece per la prima volta uno dei più grandi scrittori americani del Novecento. Uno di quelli strani però. Una specie di misantropo.
Hai presente quando il successo ti travolge e tu non sai proprio che fare?
Ecco. A J. D. Salinger è accaduto esattamente questo. Nel 1951 venne pubblicato il suo primo romanzo “The Catcher in the Rye” (il titolo è più o meno intraducibile, così nella versione italiana è diventato Il giovane Holden) e fu subito un successo.
Clamoroso.
Inaspettato.
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Salinger fu travolto dalla notorietà dopo aver dato alle stampe questo romanzo di formazione divenuto ormai un classico della letteratura postmoderna.
[apro parentesi]
A dire il vero non ho mai compreso il significato dell’aggettivo postmoderno usato spesso dai critici letterari nelle loro recensioni. Anzi, secondo me non significa proprio un cazzo e gli stessi recensori lo usano solo perchè “fa figo”.
Del resto, caro sempreLettore/Lettrice, questo blog è solo per persone fighe (o fiche), e dunque sei autorizzato/a ad usare tale aggettivo come meglio credi – anche alla cazzo di cane, volendo – tipo “questa cena è postmoderna”. Che suona bene.
Fico, no?
[chiudo parentesi]
Travolto dal successo – dicevamo - J.D. sparì dalla circolazione, lasciando dietro di sè pochissime cose, fra cui:
- Una vecchia foto che lo ritrae ancora giovane (vedi sotto).
- Un ultimo racconto pubblicato sul New Yorker nel lontano 1965.
- Un’ultima intervista apparsa fra le pagine del New York Times nel 1974.
- Una serie di aneddoti che in tutto questo tempo hanno contribuito ad aumentare la sua aurea leggendaria di scrittore schivo e paranoico.
Mi piace segnalare questo articolo apparso recentemente su Rivista Studio dedicato proprio al “mistero” Salinger.
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Una delle poche fotografie conosciute di J.D.Salinger
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J.D. ci ha lasciato il 27 gennaio del 2010, all’età di 91 anni.
Dicono che non abbia mai smesso di scrivere nel corso della sua lunga e volontaria latitanza.
Dicono che nel suo testamento abbia inserito una clausola che impedisce di pubblicare i suoi lavori inediti, a meno che non siano trascorsi 50 anni dalla morte (in realtà è notizia recente che tre racconti inediti sono apparsi misteriosamente sul web a pochi giorni dalla sua morte).
Ma perche si è ritirato dalla vita pubblica dopo aver raggiunto il successo? E perchè ha imposto che i suoi scritti inediti siano pubblicati solo nel 2060?
Domande senza risposta, forse.
Domande come quella che si pone il protagonista del romanzo, Holden Cautfield, quando passa di fronte al laghetto di Central Park e non trova più le anatre.
Te lo spiego meglio con questo breve estratto dal libro.
<< Ehi, Horwitz, – dissi. – Ci passa mai vicino allo stagno di Central Park? Giù vicino a Central Park South? >>
<< Al cosa? >>
<< Allo stagno. Quel laghetto, cos’è, che c’è laggiù. Dove ci sono le anatre, sa? >>
<< Sì, e allora? >>
<< Be’, sa le anatre che ci nuotano dentro? In primavera eccetera eccetera? Che per caso sa dove vanno d’inverno? >>
<< Dove vanno chi? >>
<< Le anatre. Lei lo sa, per caso? Voglio dire, vanno a prenderle con un camion o vattelappesca e le portano via, oppure volano via da sole, verso sud o vattelappesca? >>
[...]
Il vecchio Horwitz si girò tutto di un pezzo sul sedile e mi guardò. Aveva l’aria d’essere un tipo nervosetto. Non era affatto malvagio, però.
<< E come diavolo faccio a saperlo? >>, disse. << Come diavolo faccio a sapere una stupidaggine cosi? >>
[...]
Io smisi subito di chiacchierare con lui, se doveva essere così maledettamente suscettibile. Ma fu lui stesso a riattaccare. Si girò tutto un’altra volta e disse: << I pesci non vanno in nessun posto. Restano dove sono, i pesci. Proprio in quel dannato lago. >>
<< Ma i pesci… è un’altra cosa. I pesci sono un’altra cosa. Io sto parlando delle anatre. >>
L’importanza di farsi le domande giuste.
Ah, dimenticavo. Il primo racconto pubblicato da J.D.Salinger aveva proprio a che fare con i pesci. Il racconto s’intitolava Un giorno ideale per i pescibanana e apparse sulle pagine del New Yorker.
Anche l’esclamazione più usata da Holden Cautfield nel corso del libro – vattelappesca – ha a che fare con i pesci.
Cercando in rete, tuttavia, non sono riuscito a trovare nessun articolo che mettesse in relazione la letteratura di J.D. Salinger con questa storia dei pesci.
In effetti ho qualche valvola fuori posto, lo so. Se qualcuno però volesse contribuire ad approfondire la questione (o anche solo aiutarmi nelle ricerche) io sono tutto orecchie.
Anzi. Tutto branchie.
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# Il mondo è bello perchè è pesce
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Pesci alla pescheria
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C’è questa artista. Si chiama Anne Catherine Becker Echivard e si è messa in testa di raccontare scene di vita quotidiana sostituendo le persone con i pesci.
Teste di pesce comprate al mercato, per l’esattezza.
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Pesci in macelleria
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L’artista ci racconta che fin da bambina amava confondere il mondo umano con quello animale. Racconta ad esempio che prima di passare ai pesci era solita vestire i topi come se fossero dei bambini.
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Pesci che scioperano
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Cosa significa tutto ciò? Non lo so. Forse è terribilmente postmoderno. Quindi fico. Certo è che l’effetto finale di queste sue “installazioni” fotografiche è davvero straniante. Pesci che scioperano fuori dalle fabbriche. Pesci che gestiscono una macelleria. Pesci che discutono animatamente. Pesci come esseri umani.
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Pesci lavoratori
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Pesci criminali
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Come si dice: il mondo è bello perchè è vario.
Anzi, perchè è pesce.
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# Le idee sono come i pesci – L’origine della creatività
Dal capolavoro di Salinger abbiamo capito che le anatre vanno via quando il laghetto gela (anche se non si da dove vanno), mentre i pesci restano. Ma tra quelli che restano come fare a pescare i pesci più grandi, più colorati e dalle forme più strane?
Hai due strade:
- O ti metti in testa di usare pinne, fucile e occhiali e vai a farti una bella immersione (come cantava Edoardo Vianello nel 1962).
- Oppure te ne resti a casa, ti sdrai sul lettone, e ti leggi “In Acque Profonde“.
Il libro uscito nel 2006 (il titolo originale in inglese è Catching the Big Fish – letteralmente Cacciando il Grande Pesce) e pubblicato in Italia nel 2009 da Mondadori vede come autore uno dei più grandi registi contemporanei viventi, uno di quelli che hanno già scritto la storia del cinema, la cui poetica continua ad affascinare generazioni e generazioni di cineasti (e una valanga di spettatori/ammiratori).
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David Lynch con una gallina (che non sarà un pesce ma sempre animale è)
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Il mio amore per David Lynch risale ormai a parecchi anni fa, quando vidi per la prima volta Strade Perdute in uno sperduto cinema di periferia dove c’eravamo io e un’altra sperduta decina di sfigatoni, alcuni con la tipica aria da intellettuale navigato, altri con l’aria del “non so proprio cosa cazzo ci faccio qui”.
Ecco. Io ero a metà fra queste due categorie. Sbilanciato sulla seconda.
All’epoca sapevo chi era Lynch. O meglio, sapevo solo che negli Anni Ottanta aveva girato l’osannato telefilm Twin Peaks (che però non avevo mai visto perchè affetto da una naturale antipatia per ogni genere di telefilm o sceneggiato a puntate). Stop. Non sapevo altro. Così Strade Perdute fu il primo film di David che vidi al cinema e fu anche – letteralmente – una folgorazione.
Totale. Completa. Inaspettata.
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# Nelle “acque profonde” di un genio del cinema
Lynch è il regista dell’onirico, del surreale, dello strano e del meraviglioso, della narrazione non lineare.
Lynch non ti spiega mai un suo film, neanche sotto tortura. E fa bene.
Comprendere le sue pellicole vuol dire comprendere il meccanismo che regola i sogni. Dunque è impossibile, forse. Ecco perchè quando guardi un film di David Lynch devi abbandonare ogni tentativo di dare un significato alla storia e concentrarti invece sull’immersione e sul coinvolgimento.
Ti sarà tutto più chiaro leggendo In acque profonde.
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La copertina di “In acque profonde”
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A metà fra autobiografia, storia del cinema e saggio spirituale sulla meditazione trascendentale, in questo piccolo e imperdibile gioiello di 200 pagine David Lynch si mette a nudo e ti svela il processo creativo che sta alla base di ogni suo film. Soprattutto ti racconta come “pescare” le idee migliori facendo ricorso proprio alla meditazione trascendentale.
Perchè per Lynch le idee sono come i pesci.
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Lettura dunque vivamente consigliata a tutti i fan di Lynch ma anche (direi soprattutto) a chi fa della creatività il suo pane quotidiano, vuoi per lavoro, vuoi per hobby.
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# Dove vanno a morire le navi?
Se era giusto chiedersi dove vanno a finire le anatre di Central Park quando il laghetto gela, è altrettanto giusto chiedersi dove vanno a finire le navi quando smettono di solcare le acque.
In altre parole: esiste un cimitero delle navi? E se esiste, dove vanno a morire barche, vascelli, sommergibili e petroliere?
Ce lo racconta il sito io9.com con un toccante e malinconico reportage fotografico dedicato proprio alle navi abbandonate.
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Alcune volte le barche fantasma vanno a morire nel loro cimitero, altre volte si perdono in luoghi lontani e poco conosciuti, altre ancora vengono abbandonate nello stesso punto dove si sono arenate.
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E poi, certe volte, te le ritrovi in mezzo al deserto.
Vai a capire come ci sono finite.
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Arrivano e se ne restano lì. Per sempre. Arrivano e non vanno più via, le navi fantasma. Come diceva Horwitz rispondendo al giovane Holden: I pesci non vanno in nessun posto. Restano dove sono.
Il senso ultimo di questo articolo: pesci e navi non vanno via.
Restano dove sono.
# E tu?
A essere sincero questa storia delle navi abbandonate mi ha commosso. Chissà se Salinger se l’era mai chiesto. Chissà se aveva mai pensato di scriverci un racconto.
Nei primi post del blog abbiamo viaggiato fra pietre, cannibali e teschi. In questo articolo abbiamo invece nuotato in mezzo a pesci, navi alla deriva e acque profonde, connettendo tra loro [letteratura] [cinema] e [fotografia].
E tu che rapporto hai con i pesci? Avresti qualche altra “storia da pesce” da consigliare? Oppure anche per te è tutto un vattelappesca?
Fammi sapere. Sono tutto branchie.
Tag:Central Park, Cinema, Creatività, David Lynch, Fotografia, Il Giovane Holden, In Acque Profonde, J. D. Salinger, Letteratura, Libri, Mondadori, Pesci, Postmoderno, Twin Peaks