- Gli ex lavoratori dei Cantieri Navali di Trapani denunciano la truffa dell’azienda da anni
- La Procura di Trapani ha aperto un’indagine per bancarotta fraudolenta della società Cnt
- Tra i soggetti iscritti nel registro degli indagati figura l’imprenditore Giuseppe D’Angelo
PETROLIERA OCCUPATA | LICENZIATI A NATALE | SGOMBERATI A PASQUA | LA GIUSTIZIA | LE FOTO
La storia degli ex lavoratori dei Cantieri Navali di Trapani (Cnt) l’abbiamo seguita dall’inizio, quando a fine novembre del 2011, abbandonati in alto mare dai sindacati, avevano deciso di opporsi alla distruzione della loro azienda con un gesto che allora definimmo “piratesco”: occuparono la Marittimo M., l’ultima grande nave costruita prima della chiusura del cantiere. Quella ribellione quasi poetica portava con sé rivendicazioni precise e pragmatiche. Non ci si ribellava solamente per salvare il posto di lavoro, si denunciava un’operazione di macelleria sociale vergognosa e sospetta. Le commesse per il Cantiere non erano mai mancate, era mancata piuttosto una gestione sana e lungimirante da parte dell’azienda che probabilmente perseguiva obiettivi diversi. Un nome su tutti è sempre stato indicato dagli operai come principale responsabile: Giuseppe D’Angelo, amministratore delegato dell’azienda.
Un’Ansa di poche ore fa dà ragione ai Pirati di Trapani, dietro al fallimento del cantiere navale e della società holding Satin, che ha provocato il licenziamento dei 58 operai, potrebbe esserci la bancarotta fraudolenta. L’ipotesi di reato è stata formulata dalla Procura di Trapani, che indaga sul caso. Tra i soggetti iscritti nel registro degli indagati figura proprio l’imprenditore Giuseppe D’Angelo, presidente della Satin e amministratore delegato del Cnt. Alle due società la sezione fallimentare del Tribunale ha apposto i sigilli nell’aprile scorso. L’indagine, che coinvolge D’Angelo e altri soggetti ai vertici delle società, viene definita dagli inquirenti “articolata e complessa” e potrebbe dar vita a nuovi filoni d’inchiesta.
La bancarotta fraudolenta sarebbe stata messa in atto dall’azienda madre, Satin, con una serie di operazioni tendenti a provocare un fallimento pilotato del Cnt; una di queste operazioni sarebbe consistita nell’elaborazione di un piano industriale, finalizzato al mantenimento del controllo del bacino di carenaggio senza più la zavorra del Cnt e dei relativi debiti della società. Il piano è però naufragato perché le banche non hanno più concesso credito alla Satin.
“Avevamo ragione anche su questo! “, dice Antonino, ex lavoratore della Cnt. “Ma a questo punto non dovrebbero essere indagati anche i sindacati per favoreggiamento? Vi ricordate come ci hanno osteggiato nella lotta? E come, senza esitare un attimo, hanno approvato e firmato quell’accordo che avrebbe permesso alla Satin di attuare la bancarotta fraudolenta?” Buona parte dei lavoratori licenziati dai cantieri hanno formato una cooperativa, il cui progetto è quello di porsi come valida alternativa alla disastrosa precedente gestione dell’area demaniale: “Vogliamo essere i padroni del nostro lavoro, senza mire imprenditoriali, con l’unico scopo di assicurare un futuro a noi e ad altri”. Lo gridavano durante le loro manifestazioni, lo ripetono oggi: “la dignità non si sgombera”.
di Marco Nurra | @marconurra