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I pomeriggi con Eva

Creato il 27 dicembre 2011 da Prisca

I pomeriggi con EvaIl primo ricordo che ho di Eva è quello di una quindicenne seduta al tavolino del bar di fronte alla mia scuola, accanto ad un ragazzino pieno di brufoli e con due grossi occhiali –non brutto, in verità, ma tanto secchione.
Eva era proprio carina nella sua divisa verde e blu, quella della scuola privata davanti al mio liceo, da cui era dovuta fuggire dopo aver rubato quintali di cancelleria dai ripostigli del segretario. Perché lo avesse fatto? Era una monellata, certo, ma se le fosse andata bene sarebbe stato l’affare del secolo. Cancelleria in quantità in cambio di compiti per casa personalizzati.
Sì, perché Eva non si limitava mica a copiare le versioni. Si faceva proprio scrivere i temi dai suoi amici secchioni. Sono sicura che lo avrebbero fatto senza farsi pregare anche se lei non avesse offerto in cambio quaderni fighissimi, perché Eva era così brillante, simpatica, bella, che qualsiasi coetaneo l’avrebbe seguita in capo al mondo.
Io non avevo amici che mi piacessero, allora, ed entrare in confidenza con lei mi aprì un nuovo mondo. Eva aveva mille interessi: giocava a tennis, era la presidentessa del club filatelico giovanile, faceva danza, lavorava come volontaria in un dopo-scuola per bambini extracomunitari.
Ma quello che mi piaceva di lei non era come riuscisse bene in tutto questo (per la verità non era brava praticamente in nulla, la sua specialità era “vivere in questa giungla ch’è il mondo, amica mia!”) ma come fosse capace di saltare da un’attività all’altra nel giro di un mesetto. Perché Eva si annoiava a fare sempre “le stesse pallosissime cose”, come chiamava lei quelle che fino a qualche giorno prima definiva “le passioni della mia vita”.
Quando cominciammo a frequentare la seconda Liceo, eravamo ormai molto intime. Eva non era propriamente quella che definiresti una persona fedele, ma sapeva riempire le mie giornate di entusiasmo e divertimento. Dopo pranzo, prendevo il mio Scarabeo e filavo da lei. All’epoca aveva un pony e usavamo passare qualche ora al maneggio tutti i pomeriggi.
Poi, una mattina, dopo la scuola, Eva annunciò che sarebbe partita. “Dove vai?” Mi disse che avrebbe frequentato il secondo quadrimestre in una scuola dell’East Coast.
Mi presero una forte ammirazione e una delusione grandissima. Sapevo che, prima o poi, Eva avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andata da qualche parte, mollandomi con un mare di pomeriggi da riempire chissà come. E quel giorno era arrivato.

Seppi poi, dalle sue lettere, che passava il tempo ad allenarsi con le cheerleaders, cosa che le era valsa l’opportunità di occupare, alla mensa della scuola, il tavolo accanto a quello della squadra di nuoto. Aveva anche conosciuto uno di questi ragazzi biondi, tale Martin, con cui era uscita un paio di volte prima che la loro passione si spegnesse tristemente al tavolo di un fastfood.
Continuai a frequentare il maneggio, e ottenni che i miei genitori mi regalassero un cavallo tutto mio.


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