D.G. Rossetti, "Proserpina", 1874.
Amore e Morte, un tema caro ai pittori preraffaelliti
La magia e la fiaba,
la sublimazione e il mito, con un misto di decadenza e di estenuato erotismo:
questo in breve è il Preraffaellismo. Un cerchia di intellettuali
e di artisti in senso lato, prima ancora che di pittori; un cenacolo di esteti
raffinatissimi e di mistici dell’amore, una confraternita dello spirito. La
data e il luogo ufficiali della nascita di questo movimento sono Londra 1848,
un anno chiave per le rivoluzioni in Europa e per la nascita dei movimenti
operai - basti pensare al Manifesto di Marx, pubblicato proprio in quella data. Di
tutti questi sconvolgimenti, però, quasi nulla trapela nella pittura dei nostri.
Le immagini che vediamo sono anzi così distaccate nel tempo e nello spazio da
creare una sorta di muro o di riparo nei confronti della realtà. Ci si rifugia
in Dante, in Byron e nei poeti romantici, nella Bibbia e nell’antica
mitologia; la realtà coi suoi sviluppi e le sue implicazioni è lasciata ai margini della pittura, come una crepa pericolosa sull'affresco della Bellezza. C’è una continua ricerca del Simbolo, dell’Allegoria dietro le
tante figure dipinte; i colori e le forme rimandano continuamente a 'qualcosa d'altro'; sono allusivi, sibillini. E' presente una sorta di 'erotismo malato', contenuto nelle pose languide e un po' kitsch dei personaggi femminili, trattenuto negli afflati religiosi e nel bisogno un po' sornione di un ritorno all’innocenza e alla purezza della forma.
E sarà proprio l’espressività ‘metafisica’ e 'ingenua' degli antichi pittori - quelli cioè che precedettero cronologicamente Raffaello - ad ispirare il nome della confraternita. In realtà, come
vedremo, la tecnica mantiene comunque un ruolo molto importante per tutti questi pittori, la cui
cura dei dettagli a volte è quasi maniacale.
Notate il braccio destro di Maria? L'esecuzione
è imperfetta, volutamente imperfetta.
La spontaneità era importante per
questi pittori, che criticavano Raffaello
come il maestro dell'artificio. D'altra parte,
però, la ricercatezza formale è persino
eccessiva: un'incoerenza evidente tra intenzioni ed azioni
Dante Gabriel
Rossetti, "Ecce ancilla Domini", 1850. Ecco, già in questo dipinto sono visibili
quasi tutti gli elementi di cui abbiamo parlato finora. La figura
dell’angelo, tratteggiata in pochi tratti e lasciata incompleta all'altezza del viso - un'allusione alla tanto conclamata 'ingenuità' stilistica del gruppo -, ha il contegno inespressivo di una statua. Ma la figura più
interessante è senza dubbio quella della Vergine: un’adolescente presentata su di un
letto - non c’era traccia di alcun letto nella pittura precedente; ogni accenno all’intimità
di Maria era stato volutamente evitato. La sua veste non è affatto composta, come secondo la tradizione, ma
le sue pieghe rivelano invece un'inquietudine tutta interiore. I colori tipici della sua veste, poi, dovrebbero essere il rosso e l’azzurro: questi colori sono invece ‘spostati’ ai due bordi del letto, privilegiando per contro l'uso del bianco in quanto simbolo di integrità e di purezza. Ma la
cosa più straordinaria sono i capelli: di un castano tendente al rossiccio,
molto simile al colore delle labbra, sono sparsi sopra il bianco della veste in tanti ciuffi spettinati e ribelli. Inutile dire che un colore del genere
sarebbe stato improponibile, prima di Rossetti: il rosso è simbolo
della passione e non soltanto della carità! Una figura decisamente atipica, persino sensuale,
dunque, con tutto il gusto dell’ambiguità che è così tipico del Simbolismo
europeo.
Un'immagine tipicamente romantica
del giovane pittore: qui è ritratto con le fattezze
del genio, al confine tra intelligenza e follia
Ma chi era l’autore? Gabriel
Charles Dante Rossetti è senza dubbio l’esponente principale dei
Preraffaelliti. Nato a Londra nel 1828, era figlio di genitori italiani. Il padre
era un carbonaro, emigrato esule in Inghilterra, professore di italiano presso
il King’s College. La madre era figlia a sua volta di un emigrato italiano, per
un certo periodo segretario di Vittorio Alfieri. Il padre, coi suoi scritti di
esegesi dantesca - anche se in chiave diciamo così 'politico-massonica' -,
doveva avere influito moltissimo sull’immaginazione del proprio figlio il quale, oltre
al nome del Sommo Poeta, ereditò una passione fortissima per la Divina Commedia
e soprattutto per la Vita Nova, col racconto dell’amore per Beatrice. Basta
leggere alcuni dei titoli dei suoi dipinti più famosi per rendersene conto: “Beatrice
nega a Dante il saluto”, “Il primo anniversario della morte di Beatrice”, “Il
sogno di Dante”, “Dantis amor”; e l’elenco potrebbe continuare. Rossetti
vedeva nella vita di Dante un’allegoria della propria. Fu così che l’amore per
Elizabeth Siddal si tradusse in una brumosa tragedia dallo sfondo passionale ed
esoterico.
D.G. Rossetti, "Beata Beatrix", 1864. Eccola qui
la povera Elizabeth Siddal, trasfigurata dal suo ex
amante in una "donna del cielo". Il simbolismo
di fondo è evidente: nella colomba rossa è presente
lo Spirito Santo e al tempostesso l'Amore inteso
come passione; nel papavero c'è un'allusione ancora
una volta alla stessa passione, ma soprattutto al laudano
che si otteneva da quel fiore. Sullo sfondo una meridiana
simbolo del tempo, il personaggio di Dante e
lo stesso pittore, come un'ombra fra le ombre,
che la guarda da lontano
La povera donna, per anni modella del pittore, esasperata dai suoi
continui rimandi della data del matrimonio, e probabilmente influenzata dalle idee del compagno, decise di togliersi la vita assumendo una dose
eccessiva di laudano, sostanza di cui in ogni caso la donna faceva un uso piuttosto abituale. Rossetti
non si riprese mai più dal proprio senso di colpa. Per cercare di alleggerirlo,
la dipinse in numerosi ritratti che la vedevano come la ‘nuova Beatrice’, la
donna-guida che era morta anzitempo per indicare al suo amato la retta via del
paradiso. Era proprio questo ciò di cui il pittore aveva bisogno per esprimere
al meglio la sua arte: il rimpianto e il distacco. Elizabeth non fu mai così
bella come in questi tardivi ritratti. Rossetti aveva sepolto anche il suo
unico manoscritto di poesie insieme alla donna. Qualche anno dopo, pentitosene,
riesumò il suo cadavere per recuperare quegli scritti. Veramente non male come gesto d'amore...