La romana RaroVideo, il cui vasto catalogo spazia tranquillamente tra cinema d’autore, b-movie e lavori decisamente trash, continua il suo notevole lavoro di riscoperta su dvd di titoli dimenticati e di altri che, invece, hanno avuto circolazione più ai tempi delle vhs che ora, nell’era del digitale.
Infatti, recupera dall’invisibilità quel Chi lavora è perduto (1963) che, sottotitolato In capo al mondo, segnò il debutto dietro la macchina da presa per il Tinto Brass che oggi conosciamo soprattutto a causa della personale ossessione nei confronti del fondoschiena femminile, celebrato in particolar modo attraverso la fetta di filmografia compresa tra La chiave (1983) e Monamour (2005).
Un film che, all’epoca censurato ed uscito dal cassetto solo in occasione della presentazione presso la Mostra del cinema di Venezia, nel 1964, si svolge nel bagnato capoluogo del Veneto per porre in scena il compianto Sady Rebbot nei panni di Bonifacio, il quale, prossimo all’impiego, vaga per le calli e naviga nei canali del posto rievocando con ironia il suo passato e riflettendo con spirito dissacrante sul suo presente, in una flanerie che è un ultimo atto di resistenza contro l’integrazione sociale.
Quindi, un Brass che, pur privo delle consuete inquadrature ginecologiche e di sequenze di sesso più o meno esplicito, manifesta comunque il suo animo ribelle, provocatorio e anticonformista, ricorrendo, in ogni caso, ad un certo voyeurismo e ad alcuni momenti di erotismo abbastanza audaci per l’epoca.
Anche se, in realtà, all’interno di quello che possiamo tranquillamente definire un apologo sociale e politico sospeso di continuo tra passato e presente, l’anticonformismo va individuato nelle tutt’altro che classiche scelte di racconto, derivate in maniera evidente dalla lezione della Nouvelle Vague (tra l’altro, non dimentichiamo che il protagonista aveva interpretato l’anno precedente Questa è la mia vita di Jean-Luc Godard).
Basterebbe citare la narrazione frantumata e la scelta di alternare una sequenza a colori a tutto il resto in bianco e nero in questo gioiellino di taglio sperimentale da rivalutare, che viene presentato corredato d’interessante booklet a cura di Bruno Di Marino, autore anche dell’intervista al giornalista Salviano Miceli inclusa quale extra.
Tra interviste a Giorgio Gosetti, Mario Sesti e Antonello Piroso, una conversazione con Alessandro De Simone, Ilaria Ravarino e Michela Greco e i cortometraggi Fierrot le pou, Cauchemar blanc e Assassin di Mathieu Kassovitz, è invece Boris Sollazzo ad occuparsi dei contenuti speciali – e del booklet incluso nella confezione – del dvd de L’odio (1995), opera seconda del futuro autore de I fiumi di porpora (2000), nonché lungometraggio che, interamente girato in uno splendido bianco e nero, gli permise di aggiudicarsi il premio per la miglior regia presso il quarantottesimo Festival di Cannes.
Del resto, non si può fare a meno di rimanere ancora oggi stupiti dinanzi agli avvincenti e già allora innovativi 95 minuti di visione incentrati sulla movimentata giornata di tre giovani nelle banlieus parigine: il teppista ebreo Vinz, che pretende rispetto, il nero Hubert e il maghrebino Saïd, rispettivamente con le fattezze del mai disprezzabile Vincent Cassel, del televisivo Hubert Koundé e di un quasi esordiente Saïd”Conan the barbarian”Taghmaoui.
Una giornata che Kassovitz – il quale compare anche brevemente nel ruolo di un naziskin – raccontata con notevole senso del ritmo, attraverso l’uso di una camera di ripresa che non sembra mai perdere di vista i tre protagonisti, che si ritrovano per le mani addirittura una pistola d’ordinanza, e guardando, di sicuro, a grandi cineasti d’oltreoceano quali Spike Lee e Martin Scorsese, omaggiato tramite una divertente citazione della storica sequenza dello specchio di Taxi driver (1976).
Per non parlare, invece, di quella della roulette russa che richiama Il cacciatore (1978) di Michael Cimino, tra i tanti memorabili momenti di un elaborato che, coinvolgendo in una piccola apparizione anche il veterano Vincent Lindon, potrebbe essere riassunto in un duro e rabbioso grido di disperazione ed emarginazione sociale su celluloide volto a ricordare, a partire dal titolo, che l’odio non può fare altro che generare odio. Fino al bellissimo finale aperto.
Francesco Lomuscio
Scritto da Francesco Lomuscio il set 18 2011. Registrato sotto RUBRICHE, VIDEODRHOME. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione