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I primi dodici mesi da Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella

Creato il 31 gennaio 2016 da Stivalepensante @StivalePensante

Sarò un “arbitro imparziale” ma chiedo la collaborazione di tutti i giocatori. Con queste parole Sergio Mattarella si presentò alle Camere lo scorso tre febbraio in un discorso nel quale fece subito capire che avrebbe impostato la sua presidenza sugli atti concreti piuttosto che sulle parole. E così è stato.

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I primi dodici mesi da Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella. Mattarella ci ha messo poco a far capire che il lungo regno di Giorgio Napolitano al Quirinale (ben nove anni) si era definitivamente chiuso. Nessuna ingerenza nell’attività di altre istituzioni, grande rispetto per le dinamiche parlamentari e riservatissima collaborazione con il governo di Matteo Renzi.

Sono stati 12 mesi di “training” quirinalizio, spesi a studiare la mastodontica macchina presidenziale, a definire la squadra dei suoi più stretti collaboratori che hanno subito mirato a riavvicinare l’istituzione ai cittadini. Proprio l’evidente scollamento tra gente e politica è stato la prima preoccupazione del presidente entrato nel Colle più alto nel bel mezzo di una crisi economica durissima. Eletto, inoltre, mentre le Camere ancora si leccavano le ferite del clamoroso fallimento di due anni prima, quando partiti rissosi non riuscirono a esprimere un nuovo capo dello Stato e si dovettero umiliare nel chiedere all’anziano Napolitano un inedito bis. E allora il cattolico riformatore Mattarella, da anni fuori dalla politica attiva, si è chiesto cosa non andava.

La distanza siderale tra cittadini e istituzioni, locali e periferiche, fiaccate da scandali e privilegi duri a morire, andava ridotta. Prima mossa, risultata poi assai popolare, è stata la quasi completa apertura del Quirinale al pubblico. Con l’attivazione di mostre ed esposizioni per rendere vera l’impalpabile definizione del palazzo che fu dei papi di “casa degli italiani”. Poi, a sorpresa, il neo-presidente si materializza a Fiumicino, in coda come tutti, per prendere un volo Alitalia per la sua Palermo, dove ha casa e dove spesso è tornato per cercare di condurre un briciolo di vita normale. Niente voli di Stato per i suoi spostamenti privati. Sembrerebbe ovvio, ma non lo era nell’Italia della politica. E poi, ancora, il tram a Firenze e sempre meno accompagnatori nei suoi viaggi all’estero. Prove di normalità che sembrano funzionare nella percezione pubblica, come dimostra l’ottimo indice di gradimento personale che Mattarella riscuote tra gli italiani. Ma il capo dello Stato non è stato in realtà silente. Certo toni e modi del suo apparire non piacerebbero a “spin doctors” americani ma il suo eloquio discreto nasconde richiami forti.

In questi 12 mesi Mattarella si è trovato a dover rintuzzare rigurgiti xenofobi quando le nostre coste erano invase di barconi e il flusso sembrava inarrestabile. Sempre distinguendo tra immigrati e richiedenti asilo il presidente ha più e più volte ricordato agli italiani il dovere della solidarietà e dell’accoglienza. Pur non mancando di senso comune come quando, recentemente, ha detto con chiarezza che gli immigrati che sbagliano e delinquono devono essere puniti ed espulsi. L’altra emergenza che sta investendo il suo settennato è quella del terrorismo fondamentalista. Su questo terreno scivoloso il presidente si è mosso in piena sintonia con Renzi, evitando fughe in avanti dettate dall’indignazione del momento. Tenendo insomma l’Italia in un ruolo di collaborazione piena nei teatri internazionali, dall’Afghanistan al Libano, ma non cedendo a tentazioni interventiste sulla Libia, Paese dove l’attività diplomatica e di intelligence dell’Italia resta altissima.

Poca politica in senso stretto, come si vede. Anche se a scorrere i testi dei suoi interventi si vede una linea razionale di pensiero. Dai reiterati appelli alla lotta alla corruzione, alla necessità di ripristinare la legalità (partendo dalla politica ma senza dimenticare quella ormai penetrata nel dna degli italiani), all’invito fiducioso a battere la mafia (lui, così provato dall’assassinio del fratello Piersanti). Ai giudici chiese sin dall’inizio di chiudere le faide interne e lasciare il piedistallo del protagonismo: Voi siete chiamati “a definire ogni giorno l’equilibrio fra diritti e doveri applicando le regole dettate dalla legge” ma sempre ricordando, disse a Firenze ai giovani magistrati, che quello del magistrato è “un compito né di protagonista assoluto nel processo né di burocratico amministratore di giustizia”.

Sostenitore tenace della necessità di riformare il Paese non è mai entrato nel merito del duro dibattito parlamentare che ha contraddistinto il 2015, anche se si sa che personalmente è a favore della fine del bicameralismo perfetto. Solo alla fine di quest’anno Mattarella è intervenuto con decisione su un tema di stretta attualità politica, quello dello scandalo delle banche, che stava pericolosamente minando un rapporto tra due istituzioni importanti come Governo e Bankitalia. “Occorre un accertamento rigoroso e attento delle responsabilità. Sono di importanza primaria la trasparenza, la correttezza e l’etica”, anche se il sistema creditizio italiano si è dimostrato “più solido di altri”, garantì prima di Natale. (ANSA)


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