- Tempisto (Maai)
- Etichetta (Reigi)
- Qui e ora (Zen)
- Divertimento (Asobi)
Oggi disquisiremo del “far fare” una tecnica: difficile da comprendere con un articolo, sarebbe opportuna l’esperienza sul tatami ma comunque (se non fai aikido) provo a dartene l’essenza.
“Ci sono tanti modi di fare shihoo nage e anche quando sono già stato afferrato il mio movimento sarà tale da sfruttare l’energia di uke per fare la tecnica, quella forza con cui effettua la presa” ricordo benissimo le parole di Sensei Shimizu sapientemente tradotte da Max Gandossi in un articolo sullo stage in Serbia del Marzo 2012. In Aikido ci capita spessissimo, dal “tori” principiante al “tori” esperto, di FARE una leva al nostro uke (colui che attacca) quando, invece, il principio cardine della pratica aikidoistica è sfruttare la forza, la direzione, il movimento dello stesso uke per metterlo in condizioni di non attaccare più. Egli cessa il suo movimento offensivo poiché chi si difende ne neutralizza l’azione: non la interrompe, la neutralizza. Significa annullarne gli effetti negativi, rendere inefficace, innocua, inoffensiva l’azione di uke, non significa assumere il ruolo di uke, ovverosia diventare colui che offende!
Proprio qui a mio avviso sta la più grande difficoltà, con la quale ogni volta dobbiamo rapportarci indipendetemente dall’uke di turno e dalla tecnica da eseguire. Avere la pazienza di aspettare l’attacco, di ascoltare il movimento di uke, di intervenire solo quando la sua energia si sta esaurendo e riusciamo ad assorbirla nella nostra orbita, dettata dal tai-sabaki (movimenti fondamentali del corpo). In pratica l’uke viene guidato da tori in una posizione tale da diventare inoffensiva, mediante una leva (o meglio “auto-leva”) o un gentile invito a cadere (che è ben diverso dal “farlo cadere”).
Per concludere egregiamente questa serie di articoli sui principi dell’aikido, mi permetto di riportare un breve anedotto raccontatoci da Sensei Shimizu.Quando ero uchideshi di O’ Sensei, un commerciante di profumi francese chiese di poter avere lezioni private con O’Sensei. Pagó una fortuna per quelle lezioni e O’Sensei per alcuni mesi gli diede lezioni con grandissimo impegno; mi usó come uke per quelle lezioni, per mostrare le tecniche e per farle praticare allo studente. Il francese non era abituato a praticare e quindi i ritmi del keiko erano troppo duri per lui e spesso doveva sedersi a riposare… cosí io ne approfittavo per fare domande a O’Sensei. “O’Sensei, come faccio a fare le tecniche se vengo afferrato con la forza di un judoka?” Allora O’Sensei mi chiedeva di afferrarlo con la forza che avrei usato in uno shiai di judo e puntualmente venivo colpito prima ancora di organizzare la mia presa! Ma poi si lasciava anche afferrare e applicava, ogni volta in un modo diverso, le tecniche adattandole alla mia presa, trovando dove e come io applicavo la mia forza e sfruttandola, senza fare alcuno sforzo e mettendomi sempre nella condizione di essere sbilanciato o in leva.
Articoli BudoBlog correlati:
- L’ascolto e il bisogno di fare la tecnica
- La lettera nascosta (M°Shimizu a Milano by Max)
- Natale in Armonia: un sogno che si avvera
- I principi dell’Aikido (1° post di 5)