28 ottobre 2012 Lascia un commento
La neolingua era la lingua ufficiale dell’Oceania ed era stata messa a punto per le esigenze ideologiche del Socing, o Socialismo inglese. Nel 1984 non c’era ancora nessuno che ne facesse uso, tanto nella lingua parlata che in quella scritta, come suo unico mezzo di comunicazione. Gli articoli di fondo del «Times» erano scritti in neolingua, ma si trattava di un tour de force al quale soltanto uno specialista poteva sobbarcarsi. L’auspicio era che attorno al 2050 potesse sostituire totalmente l’archelingua, vale a dire l’attuale lingua standard. Nel frattempo, comunque, guadagnava terreno abbastanza celermente, dal momento che tutti i membri del Partito tendevano, nei loro discorsi di ogni giorno, a fare un uso sempre più ampio di parole e strutture grammaticali della neolingua. La versione in uso nel 1984, quale si ritrovava nella Nona e Decima Edizione del Dizionario della Neolingua, era provvisoria, e ancora prevedeva parole superflue e strutture obsolete che col tempo sarebbero state soppresse. Qui ci occuperemo della versione definitiva, emendata, quale si può rinvenire nella Undicesima Edizione del Dizionario. Fine specifico della neolingua non era solo quello di fornire, a beneficio degli adepti del Socing, un mezzo espressivo che sostituisse la vecchia visione del mondo e le vecchie abitudini mentali, ma di rendere impossibile ogni altra forma di pensiero. Si riteneva che, una volta che la neolingua fosse stata adottata in tutto e per tutto e l’archelingua dimenticata, ogni pensiero eretico (vale a dire ogni pensiero che si discostasse dai principi del Socing) sarebbe stato letteralmente impossibile, almeno per quanto riguarda quelle forme speculative che dipendono dalle parole. Il lessico della neolingua era articolato in modo da fornire un’espressione precisa e spesso molto sottile per ogni significato che un membro del Partito volesse correttamente esprimere, escludendo al tempo stesso ogni altro significato, compresa la possibilità di giungervi in maniera indiretta. Ciò era garantito in parte dalla creazione di nuovi vocaboli, ma soprattutto dall’eliminazione di parole indesiderate e dalla soppressione di significati eterodossi e, possibilmente, di tutti i significati secondari nelle parole superstiti. Tanto per fare un esempio, in neolingua esisteva ancora la parola libero, ma era lecito impiegarla solo in affermazioni del tipo "Questo cane è libero da pulci"; o "Questo campo è libero da erbacce". Non poteva invece essere usata nell’antico significato di "politicamente libero" o "intellettualmente libero", dal momento che la libertà politica e intellettuale non esisteva più neanche come concetto e mancava pertanto una parola che la definisse. A prescindere dall’eliminazione di vocaboli decisamente eretici, la contrazione del lessico era vista come un qualcosa di fine a se stesso, e non era permessa l’esistenza di una parola che fosse possibile eliminare. La neolingua non era concepita per ampliare le capacità speculative, ma per ridurle, e un simile scopo veniva indirettamente raggiunto riducendo al minimo le possibilità di scelta.
La neolingua si basava sulla lingua standard quale noi la conosciamo, sebbene molte sue frasi, anche prive di vocaboli creati ex novo, risulterebbero pressoché incomprensibili a un parlante dei nostri giorni. La neolingua prevedeva una divisione delle parole in tre classi distinte: un lessico A, un lessico B (relativo alle parole composte) e un lessico C. È più semplice analizzare ogni classe separatamente, ma le caratteristiche grammaticali della lingua verranno discusse nella sezione dedicata al lessico A, in quanto per tutte e tre le categorie valgono le stesse regole.
Il lessico A. Il lessico A era costituito dalle parole utili alla vita di tutti i giorni, per attività come mangiare, bere, lavorare, vestirsi, scendere e salire le scale, circolare per mezzo di veicoli, curare il giardino, cucinare, e simili. Lo componevano quasi per intero parole che già possediamo (come correre, cane, colpire, albero, zucchero, casa, campo), ma, rispetto al lessico della lingua standard di oggi, il loro numero era estremamente esiguo e la gamma dei loro significati era definita in maniera di gran lunga più rigida. Queste parole, infatti, erano state private di ogni ambiguità e di ogni sfumatura di senso. Nei limiti del concepibile, una parola in neolingua non era che un suono a sé stante esprimente un unico concetto chiaramente definito. Sarebbe stato del tutto impossibile usare il lessico A a fini letterali o politici o per disquisizioni a carattere filosofico. Era infatti concepito unicamente per esprimere pensieri semplici e tendenti a uno scopo preciso, di solito relativi a oggetti concreti o ad azioni fisiche.
La grammatica della neolingua presentava due caratteristiche di fondo. La prima era data dall’intercambiabilità pressoché completa fra le diverse parti del discorso. Qualsiasi parola (in linea di principio, questa regola si applicava anche a termini come se o quando) poteva essere usata indifferentemente come verbo, nome, aggettivo o avverbio. Quando possedevano la stessa radice, non vi era differenza alcuna tra la forma del verbo e quella del nome; e questa regola causava automaticamente la distruzione di parecchie forme arcaiche. La parola pensiero, per esempio, non esisteva in neolingua. La sostituiva pensare, che fungeva sia da verbo che da nome. Non si seguiva alcun criterio etimologico: in certi casi era il nome a essere conservato, in altri il verbo. Perfino nei casi in cui un nome e un verbo di significato affine non presentavano connessioni di carattere etimologico, si procedeva di frequente all’eliminazione dell’uno o dell’altro. Non esisteva, per esempio, una parola come tagliare, poiché i suoi significati erano agevolmente coperti dal nome/verbo coltello. Gli aggettivi si formavano aggiungendo al nome/verbo il suffisso oso, gli avverbi aggiungendo il suffisso ente. In tal modo, per esempio, rapidoso significava "veloce" e rapidente significava "velocemente". Alcuni degli aggettivi ancora usati tutt’oggi, come buono, forte, grosso, nero, morbido, erano stati conservati, ma il loro numero complessivo era assai esiguo. Ve ne era scarso bisogno, dal momento che qualsiasi significato di tipo aggettivale poteva essere espresso aggiungendo oso al nome/verbo. Non era stato risparmiato nessuno degli avverbi esistenti oggi, a eccezione dei pochi già terminanti in ente. Questo suffisso era invariabile. La parola bene, per esempio, era stata sostituita da buonente.
In aggiunta a ciò, qualsiasi parola (e anche questa regola si applicava, in linea di principio, a qualsiasi lemma) poteva essere espressa al negativo mediante il prefisso s o rafforzata dal prefisso più (o da arcipiù se si volevano raggiungere esiti di maggiore enfasi). In tal modo, per esempio, sfreddo significava "caldo"; mentre piùfreddo e arcipiùfreddo significavano "molto freddo" e "freddissimo". Era anche possibile, come avviene nella lingua attuale, modificare il significato di quasi tutte le parole usando come prefissi le preposizioni anti, dis, post, su, sotto eccetera. Si scoprì che con questi sistemi si poteva ottenere un’enorme contrazione del vocabolario. Data, per esempio, la parola buono, non c’era bisogno di una parola come cattivo, visto che il significato richiesto veniva reso altrettanto bene — anzi meglio — da sbuono. In tutti i casi in cui due parole formavano una coppia naturale di opposti, vi era solo da decidere quale delle due sopprimere. Buio, per esempio, poteva essere sostituito da schiaro; o, anche, chiaro da sbuio, a seconda dei gusti.
La seconda caratteristica fondamentale della grammatica della neolingua era la sua regolarità. Tranne alcune eccezioni che verranno menzionate più avanti, tutte le desinenze obbedivano alle stesse regole. In tal modo tutti i verbi prevedevano forme identiche per il passato remoto e il participio passato, entrambi terminanti in to. Il passato remoto di correre era corruto, di ridere era riduto, e così di seguito: forme come corsi, risi, lessi, presi, dissi eccetera, vennero abolite. Il plurale prevedeva il ricorso al suffisso i per tutti i sostantivi: gatti, diti, penni, uomi. Il comparativo presentava le sole forme in ore per quello di maggioranza e la stessa forma in ore, preceduta da iper, per il superlativo relativo: per esempio, buonore e iperbuonore. Tutte le forme irregolari, come migliore, il migliore e così via, si intendevano abolite.
Le sole parole per le quali erano previste flessioni irregolari erano i pronomi, i relativi, gli aggettivi dimostrativi e i verbi ausiliari. Seguivano tutte le vecchie regole, eccezion fatta per il/la quale e i/le quali, forme ritenute inutili moltiplicazioni di che. Il futuro presentava la sola desinenza in ò: io dirò, tu dirò, egli dirò eccetera. Nella formazione delle parole erano previste ulteriori e poco numerose eccezioni, in genere giustificate dalla necessità di essere rapidi e concisi. Una parola difficile a pronunciarsi o che poteva facilmente prestarsi a essere recepita dall’orecchio in maniera imprecisa, era considerata per ciò stesso una parola cattiva: per questioni di eufonia, quindi, si inserivano alcune lettere in questa o quella parola, oppure si preferiva conservare la forma arcaica. Un bisogno, questo, che si faceva sentire soprattutto quando il lessico A interferiva con quello B. Più avanti chiariremo perché venisse data tanta importanza al processo di semplificazione della pronuncia.
Il lessico B. Il lessico B era costituito da parole costruite appositamente per scopi politici; da parole, cioè, che non solo avevano sempre e comunque una implicazione politica, ma tendevano a imporre a chi le usava l’atteggiamento mentale che si desiderava. Era difficile fare un uso corretto di questi termini senza una piena comprensione dei principi del Socing. In certi casi era possibile tradurli in archelingua, o addirittura in parole attinte al lessico A, ma di solito una simile operazione imponeva il ricorso a lunghe parafrasi e comportava sempre la perdita di sfumature. Le parole del lessico B erano una specie di stenografia verbale che comprimeva in poche sillabe tutta una serie di significati, al tempo stesso più precisa ed efficace di qualsiasi linguaggio ordinario.
Le parole appartenenti al lessico B erano sempre composte.
Consistevano di due o più parole, o parti di parole, fuse insieme secondo criteri che le rendessero facilmente pronunciabili. L’amalgama che ne sortiva era sempre un nesso nome/aggettivo/verbo, flesso conformemente alle regole correnti. Un solo esempio: la parola buonpensare significava, più o meno, "ortodossia" oppure, presa come verbo, "pensare in maniera ortodossa" e veniva declinata come segue: nome/verbo, buonpensare; passato remoto e participio passato, buonpensato; aggettivo e avverbio, buonpensante; nome verbale, buonpensatore.
Le parole del lessico B non erano costruite in omaggio ad alcun principio etimologico. Quanto alle parole da cui erano formate, poteva trattarsi di una qualsiasi parte del discorso. Per renderne più agevole la pronuncia, e purché la loro derivazione fosse chiara, potevano essere collocate in qualsiasi ordine e smembrate a piacimento. Poiché non era agevole ottenere risultati eufonici, rispetto al lessico A le formazioni irregolari presenti nel lessico B erano più numerose. In linea di principio, comunque, tutte le parole del lessico B potevano essere coniugate e di fatto si coniugavano tutte allo stesso modo.
Alcune parole del lessico B avevano significati altamente sofisticati, a malapena comprensibili per chi non avesse una piena padronanza della lingua. Si veda, per esempio, questa tipica espressione, presa da un articolo del «Times»: "Archipensatori nonventralsentire Socing". Il modo più sintetico di tradurla in archelingua sarebbe il seguente: "Coloro le cui idee vennero formate prima della Rivoluzione non hanno una comprensione piena dal punto di vista emotivo dei principi del Socialismo inglese". Si tratta però di una versione insoddisfacente. Tanto per cominciare, per comprendere sino in fondo la frase in neolingua appena citata, si dovrebbe avere una chiara idea di che cosa si intende per Socing. Inoltre, solo una persona totalmente radicata nel Socing potrebbe apprezzare a pieno l’energia del termine ventralsentire, che implicava un senso di accettazione cieca ed entusiasta, quale non è agevole a trovarsi oggi, o del termine archipensare, nel quale andavano a sovrapporsi in un nesso inestricabile i concetti di malvagità e di decadenza. Tuttavia la principale funzione di determinate parole della neolingua, e fra queste il termine archipensare, non consisteva tanto nell’esprimere dei significati, quanto nel distruggerli. In numero necessariamente esiguo, queste parole avevano ampliato sempre più la gamma dei loro significati, fino ad assorbire gruppi interi di parole le quali, visto che potevano essere rese in maniera sufficiente da un solo termine che le comprendeva tutte, potevano ora essere cancellate e dimenticate. La difficoltà più grande incontrata dai redattori del Dizionario della Neolingua non consisteva tanto nell’inventare nuove parole ma nel rendere cristallino — una volta che le avessero inventate — il loro significato, vale a dire rendere chiaro quali fossero quelle parole che le parole nuove andavano a cancellare.
Come abbiamo già visto a proposito della parola libero, termini che un tempo avevano posseduto un significato eretico erano stati conservati per amore di convenienza, purificati, però, di qualsiasi significato indesiderabile. Innumerevoli parole dello stesso tipo, come onore, giustizia, morale, internazionalismo, democrazia, scienza, religione, avevano semplicemente cessato di esistere. Un gruppetto di parole bastava a coprirle e, nel coprirle, le cancellava. Tutte le parole connesse ai concetti di libertà e uguaglianza, per esempio, erano contenute nella sola parola psicoreato, mentre tutte quelle che facevano capo ai concetti di oggettività e di razionalismo erano contenute nella sola parola archipensiero. Una precisione maggiore sarebbe stata pericolosa. Da un membro del Partito si esigeva un atteggiamento simile a quello di un antico ebreo, il quale sapeva (ignorando quasi tutto il resto) che tutte le nazioni diverse dalla sua adoravano "falsi dei". Per lui era inutile sapere che questi dei si chiamavano Baal, Osiride, Moloch, Astarte e via dicendo. Con ogni probabilità, anzi, meno ne sapeva e meno pericoli correva la sua ortodossia. Conosceva Geova e i comandamenti di Geova: sapeva, quindi, che tutti gli dei forniti di altri nomi e di altri attributi erano falsi dei. In modo non molto dissimile, il membro del Partito sapeva quale modello di condotta poteva dirsi corretto e, sia pure in termini eccezionalmente vaghi e generici, quali libertà potesse prendersi rispetto a esso. La sua vita sessuale, per esempio, era regolata dalle due parole in neolingua sessoreato (immoralità sessuale) e buonsesso (moralità sessuale). La parola sessoreato copriva tutte le deviazioni e i reati a base sessuale: la fornicazione, l’adulterio, l’omosessualità, e ogni altra forma di perversione; in aggiunta a ciò, definiva anche i rapporti sessuali praticati senza ulteriori finalità. Non vi era alcun bisogno di enumerarli uno per uno, poiché tutti indicavano un reato ed erano tutti punibili, in linea di principio, con la morte. Nel lessico C, costituito da termini scientifici e tecnici, poteva risultare necessario dare nomi specialistici a certe aberrazioni sessuali, ma si trattava di termini di cui il cittadino comune non aveva alcun bisogno. Egli sapeva che cosa si intendeva per buonsesso, vale a dire rapporti sessuali fra marito e moglie, con l’unico scopo di generare dei figli e privi di qualsiasi piacere da parte della donna: tutto il resto era sessoreato. In neolingua solo di rado era possibile seguire un pensiero eretico spingendosi oltre la percezione che si trattava, per l’appunto, di un pensiero eretico: oltre quel punto, le parole che sarebbero servite a esprimerlo semplicemente non esistevano.
Nessuna parola, nel lessico B, era neutra da un punto di vista ideologico. Moltissime erano eufemismi. Parole come camposvago (per indicare i lavori forzati) o Minipax (per indicare il Ministero della Pace, cioè della Guerra) stavano a indicare quasi l’opposto di quello che affermavano all’apparenza. Vi erano anche termini, però, che esibivano in maniera schietta e sprezzante la vera natura della società oceanica. Un esempio era la parola prolecibo, che contrassegnava le miserande forme di divertimento e le notizie fasulle che il Partito ammanniva alle masse. Non mancavano parole dal significato ambivalente, "buone" quando si applicavano al Partito e "cattive" quando si riferivano ai nemici del Partito. Il lessico B presentava inoltre molte parole che all’apparenza non erano altro che delle abbreviazioni e desumevano la loro sfumatura ideologica dalla loro struttura, più che dal significato.
Nei limiti del possibile, tutto ciò che avesse o potesse assumere un qualsiasi significato politico veniva inserito nel lessico B. I nomi di tutte le organizzazioni, associazioni, dottrine, paesi, istituzioni, edifici pubblici, venivano formulati secondo l’ormai noto criterio: una sola parola, facile a pronunciarsi e costituita dal minor numero possibile di sillabe, capace, tuttavia, di preservare il significato originario. Al Ministero della Verità, per esempio, il Reparto Archivio dove lavorava Winston Smith si chiamava Reparc, il Reparto Finzione Repfin, il Reparto Televisivo Reptel e via di seguito. Tutto ciò non aveva soltanto lo scopo di far risparmiare tempo. Anche nei primi decenni del XX secolo le parole e le espressioni a incastro avevano costituito una delle caratteristiche del linguaggio politico e si era osservato che la tendenza a usare formazioni abbreviate di questo tipo era più marcata nelle organizzazioni e nei paesi totalitari. Si pensi a parole come Nazi, Gestapo, Comintern, Inprecor, Agitprop. All’inizio una simile pratica aveva avuto, per così dire, una base istintiva, ma nella neolingua vi si era fatto ricorso in maniera assolutamente cosciente. Si era compreso che nell’abbreviare in tal modo una parola se ne restringeva e alterava sottilmente il significato, eliminando gran parte delle associazioni mentali a essa connesse. La voce Internazionale Comunista, per esempio, evoca tutta una serie di immagini: fratellanza universale, bandiere rosse, Karl Marx, la Comune di Parigi eccetera, laddove la parola Comintern trasmette solo l’idea di un’organizzazione chiusa e di un corpo dottrinario ben definito. Si riferisce a un oggetto che è possibile riconoscere quasi con la stessa facilità con cui si riconosce una sedia o un tavolo, e altrettanto limitato nella funzione. La parola Comintern può essere detta quasi senza pensare, mentre l’espressione Internazionale Comunista richiede che la mente vi indugi almeno per un attimo. Similmente, le associazioni mentali indotte da una parola come Miniver sono meno numerose e meno controllabili di quelle comprese nella parola Ministero della Verità. Ciò non solo spiega l’abitudine di abbreviare le parole tutte le volte che la cosa appariva praticabile, ma anche lo zelo quasi ossessivo con cui si cercava di rendere agevole la pronuncia di ogni parola.
Eccezion fatta per la precisione dei termini, in neolingua l’eufonia precedeva qualsiasi altra considerazione. Quando sembrava indispensabile, anche le regole grammaticali venivano sacrificate. E giustamente, perché si volevano (principalmente per scopi politici) parole brevissime e dal significato univoco, che si potessero pronunciare facilmente e che destassero il minor numero possibile di echi nella mente del parlante. Le parole del lessico B acquistavano ulteriore forza dal fatto che si rassomigliavano molto fra loro. Quasi sempre queste parole: buonpensiero, Minipax, prolecibo, sessoreato, camposvago, Socing, ventralsentire, politpensare e innumerevoli altre, erano formate da pochissime sillabe, con accenti equamente distribuiti all’interno delle parole stesse. Il loro uso favoriva un modo di parlare a scatti, a un tempo monotono e ben differenziato. Ed era proprio questo lo scopo al quale si tendeva. L’intento, infatti, era quello di rendere il discorso — specialmente quello relativo a oggetti non neutri da un punto di vista ideologico — il più possibile indipendente dall’autocoscienza. Per le finalità della vita quotidiana era indubbiamente necessario, o almeno lo era talvolta, riflettere prima di parlare, ma un membro del Partito, quando veniva sollecitato a emettere un giudizio etico o politico, doveva essere in grado di sputar fuori le opinioni corrette con lo stesso automatismo con cui una mitragliatrice spara i suoi proiettili. L’addestramento gli dava una mano, il linguaggio gli forniva uno strumento semplicissimo, mentre la struttura delle parole, fatte di suoni aspri e caratterizzate da una certa volontaria bruttezza, che ben si accordava con i principi del Socing, rendeva più agevole il processo.
Lo stesso effetto era garantito dalla scarsa possibilità di scegliere fra una parola e l’altra. In rapporto al nostro, il vocabolario della neolingua era molto più esiguo, e si studiavano senza posa sistemi per ridurlo ulteriormente. In effetti, ciò che distingueva la neolingua da quasi tutte le altre lingue esistenti era il fatto che ogni anno, anziché ampliarsi, il suo lessico si restringeva. Ogni riduzione era considerata un successo perché, più si riducevano le possibilità di scelta, minori erano le tentazioni di mettersi a pensare. La speranza era di riuscire infine a far fluire il discorso articolato direttamente dalla laringe, senza alcuna implicazione dei centri cerebrali superiori. Un simile scopo era espresso, senza tanti infingimenti, dalla parola in neolingua ocoparlare, vale a dire "parlare, esprimersi come un’oca". A somiglianza di diverse altre parole del lessico B, anche ocoparlare aveva un duplice significato: quando le opinioni espresse in tal modo erano ortodosse, un simile termine era considerato un complimento, tant’è vero che quando il «Times» intendeva rivolgere un caldo apprezzamento a un oratore del Partito, lo chiamava ocoparlatore arcipiùbuono.
Il lessico C. Rispetto agli altri, il lessico C costituiva una specie di supplemento ed era formato quasi per intero da termini scientifici e tecnici. Erano simili a quelli oggi in uso ed erano basati sulle medesime radici, ma, come al solito, ci si sforzava di definirli rigidamente, privandoli di qualsiasi significato non gradito. Seguivano le stesse regole grammaticali degli altri due lessici, anche se nel linguaggio comune e in quello politico se ne faceva un uso assai limitato. Ogni scienziato o tecnico trovava tutte le parole che gli servivano nell’elenco approntato per la sua specifica materia: per quanto riguarda gli altri elenchi, infatti, gli bastava una semplice infarinatura. Solo pochissime parole erano comuni a tutte le liste, e mancava del tutto una terminologia relativa alla funzione della scienza come abito mentale o come processo speculativo, e ciò a prescindere dalle branche specifiche. In realtà, la parola "scienza" non esisteva affatto, poiché tutti i significati che potevano eventualmente esservi connessi erano già coperti a sufficienza dalla parola Socing.
Da quanto detto finora si sarà compreso che in neolingua era pressoché impossibile, se non a un livello minimo, esprimere opinioni non ortodosse. Naturalmente, era possibile fare uso di espressioni eretiche anche molto crude, prossime alla blasfemia, come Il Grande Fratello è sbuono, ma una simile affermazione, che a un orecchio ortodosso suonava come una palmare e assoluta assurdità, non avrebbe potuto ricevere il supporto di una qualsiasi argomentazione, perché mancavano le parole per sostenerla. Le idee avverse al Socing potevano essere concepite solo in forma vaga, non verbale. Per definirle si doveva far ricorso a termini molto generici, che mettevano insieme e stigmatizzavano interi gruppi di eresie, ma senza offrirne una definizione. In effetti, era possibile utilizzare la neolingua per finalità eretiche solo a patto di operare una illecita traduzione di alcune parole in archelingua. Per esempio, in neolingua poteva esistere una frase del tipo Tutti gli uomi sono uguali, ma solo nel senso in cui in archelingua potrebbe aversi la frase Tutti gli uomini hanno i capelli rossi. Una frase del genere era priva di errori grammaticali, ma conteneva una palese menzogna, che cioè tutti gli uomini posseggono la stessa corporatura, o lo stesso peso o la stessa forza. Il concetto di uguaglianza politica non esisteva più: di conseguenza, questo significato secondario era stato espunto dalla parola uguale. Nel 1984, quando l’archelingua costituiva ancora il mezzo di comunicazione più diffuso, esisteva in via teorica il pericolo che nel fare uso di parole in neolingua la memoria potesse ancora ritenere i vecchi significati. In effetti non era difficile, per una persona ben rodata nel bipensiero, evitare un simile rischio, ma nell’arco di un paio di generazioni sarebbe scomparsa anche la sola possibilità di incorrere in un errore del genere. Chiunque fosse cresciuto conoscendo soltanto la neolingua non avrebbe saputo più che una volta uguale significava anche "uguale da un punto di vista politico"; o che prima libero significava "intellettualmente libero"; allo stesso modo in cui una persona che non conoscesse il gioco degli scacchi non avrebbe saputo nulla dei significati secondari annessi alle parole regina o torre. Ci sarebbe stata tutta una serie di crimini che non avrebbe potuto commettere, per il fatto stesso che mancavano termini atti a definirli ed erano quindi inimmaginabili. Ed era anche prevedibile che, col tempo, i tratti della neolingua sarebbero divenuti sempre più marcati: parole sempre meno numerose, significati sempre meno flessibili, sempre più ridotta la possibilità di usarle in maniera impropria.
Soppiantata una volta e per sempre l’archelingua, anche l’ultimo legame col passato sarebbe stato reciso. La storia era già stata riscritta, ma qua e là ancora sopravvivevano, purgati alla meglio, frammenti della letteratura trascorsa e, finché si riusciva a conservare la propria conoscenza dell’archelingua, era possibile leggerli. In futuro tali frammenti, ammesso che fossero riusciti a sopravvivere, sarebbero stati incomprensibili e intraducibili. Era impossibile tradurre in neolingua un qualsiasi passo in archelingua, a meno che non si riferisse a un qualche procedimento tecnico o a semplici azioni quotidiane, o non fosse già intrinsecamente ortodosso o, volendo usare la parola in neolingua, buonpensante. Ciò significava, in pratica, che nessun libro scritto prima del 1960 poteva essere tradotto nella sua integrità. La letteratura del periodo antecedente la Rivoluzione poteva essere soggetta solo a una traduzione ideologica, che è come dire a un’alterazione completa del senso e del linguaggio. Si prenda, a mo’ di esempio, quel celebre passo dalla Dichiarazione d’Indipendenza:
Noi riteniamo che queste verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini siano stati creati uguali e che il Creatore li abbia forniti di determinati Diritti inalienabili: fra questi, la ‘Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. Al fine di garantire questi diritti, gli Uomini si sono dati dei Governi che derivano il loro giusto potere dal consenso dei governati. Quando una qualsiasi Forma di Governo opera per la distruzione di questi fini, è Diritto del Popolo mutarla o abolirla, istituendo un nuovo Governo…
Sarebbe stato impossibile tradurre tutto ciò in neolingua conservando al tempo stesso il senso dell’originale. Se si provasse a farlo, con ogni probabilità l’intero passo sarebbe fagocitato dalla parola psicocrimine. L’unica traduzione possibile sarebbe di natura ideologica: le parole di Jefferson, pertanto, verrebbero trasformate in un panegirico del governo assoluto.
In effetti, si stava già traducendo con questi criteri una gran parte della letteratura del passato. Motivazioni di mero prestigio consigliavano di conservare la memoria di certe figure storiche, al tempo stesso allineando le loro opere ai principi del Socing. Si stavano quindi traducendo diversi scrittori, come Shakespeare, Milton, Swift, Byron, Dickens e altri. Una volta che un simile processo si fosse concluso, i loro scritti originari — e con essi tutto quanto ancora sopravviveva della letteratura del passato — sarebbero stati distrutti. Si trattava di un compito lento e difficile, e ci si aspettava che potesse concludersi solo nel primo o secondo decennio del XXI secolo. Vi erano anche parecchi testi di natura eminentemente pratica (manuali tecnici di cui non si poteva fare a meno, e simili) ai quali si doveva riservare lo stesso trattamento, ed era unicamente per garantire un giusto lasso di tempo a questo lavoro di traduzione preliminare che l’adozione integrale della neolingua era stata fissata solo per il 2050.