Può piacere o meno ma la crescita che Android ha avuto nell’ultimo anno è stata davvero importante. A questo balzo in avanti hanno contribuito diversi fattori che solo in minima parte sono però derivati da mosse azzeccate di BigG.
Il primo motivo sta nella mancanza di un concorrente che vuole giocare sullo stesso campo da gioco.
In attesa dell’ennesima entrata fuori tempo di Microsoft (Windows Mobile 7 dovrebbe essere lanciato per metà Ottobre, in ritardo ormai di anni), e del risveglio della bella Nokia addormentata nel bosco (nell’ultimo cambio al vertice si dovrebbe decidere, tra le altre cose, quale OS tra Symbian e MeeGo portare avanti), il mercato mobile non ha un OS di tipo universale, a-la Windows per capirci.
iOS come OS X (ma anche come RIM) fa parte di un ecosistema in cui l’unico player è la società stessa.
Apple ha deciso che il connubio hardware/software sarebbe stata ancora una volta la scelta vincente per realizzare un dispositivo tutto tondo (e, anche alla luce dei diversi problemi di sicurezza di Android c’è poco da obiettare), sia per realizzare una amalgama giusta (Apple ha di fatto una User Experience che ancora rimane insuperabile) che per motivi di bilancio (i profitti vengono ancora principalmente dall’hardware e al contrario di Google le mire sono altre).
La stessa situazione vale per RIM e in qualche modo potrebbe valere parzialmente anche per Samsung con Bada.
iOS solo su un carrier
Come già ho avuto modo di dire, l’unica rete veramente valida per la distribuzione di smartphone rimane quella che passa attraverso le unte mano dei carrier (Google ci ha provato per un anno col Nexus e miseramente ha dovuto alzare bandiera bianca). Attualmente, nel mercato che veramente conta (gli USA), iPhone è disponbibile solo attraverso AT&T (che, tra le altre cose, non ha una rete che brilla certamente per prestazioni e stabilità). Le cose potrebbero cambiare con l’uscita a gennaio sotto Verizon e altri carrier (da un recente sondaggio sembra che parecchi utenti Verizon attendano interessati una simile notizia e che Android sia stata – almeno in certi casi – una ‘scelta dovuta’).
In realtà c’è da dire che difficilmente iOS potrà superare Android in valori assoluti, questo a meno di non voler considerare l’inevitabile frammentazione ed erosione del market share che l’ingresso degli altri competitor potrebbe portare (e anche in quel caso sarebbe solo un ridimensionamento).
In ogni caso la ragione principale è nella natura stessa di Android che fa si che questo OS sia destinato ad essere installato su device molto diversi per caratteristiche e destinazione d’uso (non sempre veri e propri smartphone, non sempre a persone interessate a sfruttare le caratteristiche peculiari di questi apparecchi).
A tal proposito sarebbe interessante poter togliere dalle statistiche tutti quei dispositivi che per prestazioni/caratteristiche limitate partecipano solo numericamente al totale; considerarli sarebbe come dire che anche i Nokia di fascia bassa sono numericamente validi soltanto perchè montano Symbian (e in realtà questo è il principale problema di Nokia: essere prima per numeri ma non nella realtà dello share e dei bilanci).
Questa universalità, se da un lato permette di creare un ecosistema molto vasto dall’altra pone l’accento su problemi che il mondo PC ha già avuto modo di sperimentare negli anni passati.
Al momento per Android non esiste una HIG, ovvero una lineaguida -anche di massima- in grado di definire una interfaccia utente il più possibile omogenea tra le applicazioni. In questo senso è invece tutto libero e affidato alla bontà dei produttori di software (che in buona sostanza significa dover fare i conti con poche buone soluzioni e tante nefandezze all’user experience).
Il fatto che poi Android sia all’interno di una vasta gamma di dispositivi fa si che gli sviluppatori debbano in qualche modo mediare tra caratteristiche spesso diverse (dimensioni dello schermo, reattività dei display touch che, sopratutto nella fascia bassa, sono decisamente deprimenti) con risultati che solo in parte sono validi.
Un altro problema di Android è la varietà di versioni nel marketplace. Esistono un buon numero di versioni da 1.5 alla 2.2 uscita qualche mese fa, e testare la compatibilità di un programma può risultare difficile e dispendioso in termini economici e di tempo. Il fatto che non tutte poi siano stabili fa si che ci sia una certa criticità non trascurabile nella distribuzione delle applicazioni (che per software medio-grandi può tradursi anche in una spesa da affrontare nell’assistenza tecnica).
Se da un lato l’etereogeneità dei dispositivi sul quale Android è installato fa si che ci sia una gran quantità di dispositivi raggiungibili, dall’altro ogni handset porta con se pregi e difetti non sempre trascurabili. Al contrario di iOS si genere allora una perdita di consistenza e si rendono necessari dei test in grado di coprire almeno i dispositivi più importanti.
Un altro problema di Android è lo store che è disponibile soltanto sul telefono e sotto la completa personalizzazione dei carrier. Inutile parlare della version web che per ora è uno scherzo per funzioni e possibilità offerte (in compenso le recensioni sono utili, coincise e dritte al punto; un buon modo per escludere tutti quei software di poco conto). Dal punto di vista tecnico, se da un lato negli ultimi mesi il market è megliorato, con l’aggiunta dei crash reports, dall’altro risulta ancora poco organizzato e solo relativamente utile (tanto per dirne una, non c’è ad esempio la possibilità di vedere una classifica di vendita per paese, molto utile se si vuole capire il target di un certo applicativo).
Sempre rimanendo sul marketplace è sintomatico il fattore vendite. Guardando gli ultimi dati di vendita si scopre che le app non vendono bene come quelle iPhone (e se da un lato ce ne sono parecchie gratis, dall’altro c’è un prezzo da pagare sia per l’utente, in fatto di qualità, sia per la decisione di un software house su possibili investimenti).
Il gaming poi non è un mercato accentuato su Android (anche se l’ingresso di Angry Birds potrebbe contribuire a migliorare la situazione) è anche vero che la stragrande maggioranza delle app non sono di qualità e di usabilità eccelsa (qui torniamo al discorso delle HIG).
Il fatto che, al contrario di iTunes, lo store è poi disponibile solo sul telefono, rende l’acquisto una esperienza non sempre confortevole che Google dovrebbe spingere molto di più.
Pur tuttavia Android ha le sue belle frecce nell’arco: a partire dalla mancanza di approvazione delle app, al fatto di poter essere online in qualche minuto fino ad arrivare ad una base di utenti che spesso è fatta di gente competente e appassionata (cosa che deriva in gran parte dal market share ancora non elevato; questo è un discorso che inevitabilmente cambierà una volta che l’OS verrà “spalmato” su una massa eterogenea di handset).
In sostanza, e per concludere, il grosso problema di Android sta nell’esperienza d’uso: si tratta di un fattore critico che in parte deriva dall’alta customizzazione offerta ai carrier, ma che affonda le radici anche in una visione del software totalmente opposta a quella di Apple (e che per certi versi ricalca quella di Windows) e nel fatto che sia un OS destinato a coprire una ampia gamma di dispositivi spesso molto diversi per fascia d’età, prezzo e caratteristiche.
Sarà interessante ora vedere come deciderà di comportarsi Microsoft (che insieme a Nokia è il vero rivale di Android), che almeno fino ad ora sembra seguire di più le orme di Apple.