La sinistra brasiliana – comunisti compresi – appoggia la realizzazione della Coppa del Mondo. E’ una scelta che la sinistra in Europa fatica invece, comprensibilmente, a digerire. Vediamo di analizzare la situazione con un certo distacco critico. Il motivo delle incomprensioni di fondo è che si tende a confondere un paese capitalista avanzato (come il nostro), con un paese in via di sviluppo: così facendo si sbaglia completamente la chiave di lettura.
Il Brasile è un paese che, grazie al governo di colazione fra i socialisti di sinistra del PT, i maoisti del PPL e i comunisti del PCdoB (che esprimono pure il Ministro dello Sport!), si vuole gradualmente emancipare dal giogo neo-coloniale che l’ha costretto alla povertà per decenni. Questo compito è, secondo loro, fattibile solo valorizzando da un lato la coscienza civica (quindi potenzialmente anti-imperialista) dei cittadini (e lo sport assolve, spesso anche da noi, questo scopo “patriottico”) e, dall’altro lato, favorendo un’accumulazione primaria di capitale (come era stato previsto da Marx e come sta facendo pure la Cina) attraverso queste “grandi opere” molto contraddittorie sia dal punto di vista sociale che ambientale. Peraltro anche il sociologo Domenico De Masi afferma che il cimentarsi nell’organizzare sia i Mondiali di calcio sia le Olimpiadi estive è “forse l’ultima tappa di un processo con cui il Paese si è sganciato dalla sudditanza psicologica, estetica e culturale verso l’Europa, prima, e gli Stati Uniti, poi. È l’annuncio al mondo che il Brasile è un Paese autonomo dal punto di vista culturale, economico e sociale”.
In pratica le priorità della sinistra latinoamericana e della sinistra occidentale hanno sfumature diverse proprio perché diversi sono i contesti storici e sociali di partenza: loro mirano allo sviluppo veloce, così da sottrarsi ai diktat occidentali e poter togliere dalla povertà più facilmente numeri notevoli di persone, noi abbiamo invece, in Europa e in Svizzera, come primo obiettivo quello di evitare sprechi e di sviluppare, mantenendo il nostro livello di benessere relativo, un’economia sostenibile ecologicamente e socialmente. Conflitto totale a sinistra, dunque? Non necessariamente, se si accetta – da buoni materialisti dialettici – di vedere le cose senza dogmatismi.
Il governo Dilma sta promuovendo, al di là dei Mondiali di calcio, ampi investimenti nell’educazione pubblica e nella sanità, dove negli ultimi anni sono stati fatti ampi passi avanti. Uno dei settori in cui le disuguaglianze sociali in Brasile sono sempre state palesi è proprio quello dell’accesso agli studi: pochi giorni fa, il 3 giugno, il parlamento – su proposta della presidente, con il decisivo contributo dei comunisti e con il pieno sostegno del movimento studentesco – ha approvato però un cospicuo piano di investimenti pari al 10% del PIL brasiliano. Senza dubbio una grossa conquista per il Paese.
I comunisti brasiliani e il sindacato CTB sono però in prima linea anche per chiedere che i lavoratori impiegati dall’industria del Mondiale siano meglio remunerati e protetti (cosa che, effettivamente, non sono ancora a sufficienza). A mio avviso si dovrebbe fare di più anche dal punto di vista ecologico, ossia dare una risposta alla questione dell’utilizzo delle strutture una volta terminata la competizione sportiva, a favore di progetti di integrazione sociale delle periferie urbane e delle fasce povere della popolazione brasiliana.
Quelle brasiliane sono le contraddizioni, a volte dolorose, a cui ogni paese che si sta rendendo sovrano deve far fronte e che la sinistra di questi paesi si ritrova a gestire dopo anni di governi neo-liberisti (democratici o dittatoriali poco cambia) subalterni a Washington. Si tratta di dinamiche che bisogna leggere in modo dialettico, comprendendo come l’ascesa dei BRICS (di cui il Brasile è appunto la lettera “B”) e quindi di una realtà mondiale di tipo multi-polare, rappresentano oggi l’unica speranza per frenare l’espansionismo atlantico (soprattutto statunitense), consentendo un equilibrio geo-economico che potrà essere il terreno su cui sviluppare nuove forme di indipendenza dei popoli e di progresso sociale per i paesi poveri.
- Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere del Ticino del 12 giugno 2014 (link)