I programmi elettorali e la poca attenzione dei media

Creato il 15 febbraio 2013 da Postpopuli @PostPopuli

di Alberto Giusti

Sono troppo giovane per poter dire di aver vissuto davvero più di un paio di campagne elettorali per le elezioni politiche. Eppure l’impressione rimane la stessa, oggi come nel 2008. Dove sono i temi? Di cosa si discute realmente? Alternativa di governo significa solo persone diverse o significa anche politiche diverse? Ci lamentiamo sempre che in campagna elettorale non si discute delle proposte dei partiti e delle coalizioni, ma si portano avanti, con intensità doppia, le sterili polemiche che regnano tutto l’anno. Ma la colpa di chi è? È davvero dei leader o dei partiti? Forse no.

I programmi elettorali, più o meno chiari, più o meno settoriali, ci sono e possiamo leggerli su internet. I leader, aldilà delle #proposteschock, si lanciano tra loro dichiarazioni tematiche, sul lavoro, sulle tasse, sui diritti civili, sull’Europa, sulla scuola. Se si volesse effettivamente portare avanti un confronto vero, basterebbe per riempire i giornali non per una, ma per 10 campagne elettorali.

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Dopo aver guardato qualche settimana fa alla magistratura, oggi è tempo di mettere sotto torchio la nostra stampa. I nostri giornalisti si infuocano a ogni mezza parola detta o non detta per costruire alleanze, coalizioni post-voto, avvicinamenti di un millimetro o allontanamenti di un centimetro. La solita solfa che va avanti, anche questa, da anni, perlomeno dal “tradimento” di Fini. Non c’è in realtà un programma televisivo che riesca a spostare l’asse del discorso al lavoro, agli investimenti, al sapere, alla politica estera, ai diritti civili. Forse un po’ è colpa di una legge elettorale “lotteria”, come l’ha definita anni fa Roberto D’Alimonte, e quindi l’attesa da gioco d’azzardo per i magheggi del dopo voto è entrata direttamente nello spirito degli italiani, abbonati al lotto, al gratta e vinci e alla schedina. Ma non basta, non può bastare. In una campagna elettorale, il dovere del giornalista dovrebbe essere di informare l’elettore non solo delle configurazioni che potrà avere il prossimo governo, se spostato un po’ più a destra o un po’ più a sinistra, ma soprattutto come quell’esecutivo cambierà le vite dei cittadini. L’attenzione sui temi non può essere riservata solo alle sparate grosse come case, e proprio di case si è parlato anche troppo nelle ultime 2 settimane con la boiata immane della restituzione in contanti dell’IMU, il cui proponente si meriterebbe una denuncia per tentata truffa e vilipendio della povertà da parte di tutti quei pensionati possessori di immobili che con la pensione non arrivano a fine mese e che con gli spiccioli devono mettere insieme la spesa.

Insomma, non ci si può limitare a questo. Non ci si deve limitare a questo. E non solo sui giornali, ma soprattutto in televisione. Le tribune politiche sono oggi meno guardate di sempre. I talk show che sopravvivono in qualche modo alla par condicio snocciolano dati ma non riescono a far emergere le proposte. I telegiornali non riescono a uscire dalla dimensione della pura cronaca. La sensazione generale è che il voto sia una delega larghissima, con la quale dopo chi vince può fare quello che vuole. Sulla fiducia. Purtroppo non è così che si costruisce l’accountability.

Da un lato, possiamo anche affermare che qualche evento prevedibile, e soprattutto uno imprevedibile, sono entrati a gamba tesa nella campagna elettorale. Il programmato Sanremo, scriveva ieri Sergio Rizzo sul Corriere della Sera, ha “sanremizzato” le elezioni. Così i politici prendono i cani in braccio e puntano alle riviste scandalistiche. Il Papa invece, nel paese in cui per vedere delle dimissioni serve un miracolo, ha deciso di dimettersi proprio lui, e proprio adesso. Lo spread dell’immagine quotidiana, rispetto alla sostanza politica, è alle stelle. Vediamo in che condizioni sarà quello vero, la mattina del 26 febbraio. Per controllare se i politici rispettano le promesse, dovremo confrontare i fatti con i loro tweet. Sembra che solo così riescano a dire qualcosa di utile. Senza giornalisti di mezzo.


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