Anche per quest’edizione il Primavera Sound di Barcellona vede all’interno del cartellone alcune band italiane emergenti: LNRipley, The Vickers, Junkfood, C+C=Maxigross. Un quartetto che si segnala soprattutto per la varietà di stili oltre al fatto di avere un potenziale feeling con il pubblico internazionale.
Come l’anno scorso, abbiamo intervistato singolarmente i gruppi con cinque domande ciascuno, tutte personalizzate eccetto l’ultima.
LNRipley
Collettivo in attività dal 2007, che mescola la drum’n’bass con altri generi elettronici. Da poco è uscito il nuovo disco The Getaway.
Ci potete parlare del vostro nuovo disco “The Getaway”? Com’è nato e secondo voi in cosa si differenzia dalle produzioni passate?
The Getaway per noi è una fuga dalla noia, evasione. Dal presente, da se stessi, dalle regole che il percorso già tracciato della realtà ci impone. È trasformazione in qualcosa di nuovo. Sperimentare altri mondi musicali, migliorarsi. Sicuramente, rispetto ai lavori passati è decisamente più tecnico. Curare i dettagli diventa sempre più una priorità.
Come nascono i brani dei LNRipley? Si parte dalle basi e dai pattern ritmici o sotto c’è una “forma canzone”?
Dipende dal brano, alcuni nascono piano e voce o chitarre e voce, altri invece da basslines o da pattern ritmici, la cosa più divertente è mischiare le due partenze però!
Quanto contano nel vostro live set l’impatto e la risposta che avete dal pubblico?
Ovviamente tanto. L’obbiettivo è dare energia/ricevere energia. Maggiore è l’intensità, maggiore sarà l’impatto sul concerto!
Con The Getaway puntate ancora di più all’estero, soprattutto in ottica live…
Certo! Sky’s the limit!
La domanda è d’obbligo: che cosa vi aspettate dall’esperienza al Primavera Sound?
Come per gli altri festival dove abbiamo suonato, quello che conta è vivere a pieno un’esperienza. Suonare in un festival non ti dà solo la possibilità di suonare davanti a tante persone, ma ti dà l’opportunità di conoscerle, e questo per noi è linfa vitale!
The Vickers
Quartetto fiorentino con una marcata predilezione per garage-rock e psichedelia. Hanno pubblicato da poco Ghosts, terzo disco della loro carriera.
Com’è nato il vostro ultimo disco, Ghosts?
Ci siamo presi una pausa dalla nostra intensa attività live e ci siamo chiusi nella nostra sala prove. Questa volta abbiamo scelto di seguire il lavoro da soli, registrando tutto l’album nella nostra sala prove. Questo ci ha permesso di prenderci il tempo che serviva per sperimentare qualsiasi cosa ci passasse per la testa. Abbiamo curato la produzione e i suoni in ogni singolo dettaglio, anche il mix è stato seguito in modo accurato con l’aiuto del nostro fonico e amico Francesco Taddei. Il master è stato realizzato all’Elba Studio di Glasgow.
Mi pare che in questo nuovo lavoro siano più forti i riferimenti psichedelici. La ritenete una piccola “svolta” o è qualcosa che già apparteneva al vostro sound?
È una svolta, avvenuta però in modo molto naturale e spontaneo. Se il disco sta avendo entusiasmanti riscontri è merito anche della sincerità di questa svolta. La musica psichedelica è da sempre una nostra passione, tanto che già in alcune canzoni precedenti a questo disco si può sentire l’influenza di questo genere sulla nostra musica. La psichedelia che amiamo è quella applicata al pop. La canzone è sempre al centro della nostra musica, tutto in chiave moderna e contemporanea, non revival. Diciamo che in questi ultimi due anni tutte le nostre influenze si sono materializzate in una forma matura e più complessa rispetto al passato. Questo disco rappresenta davvero al meglio i Vickers.
Quanto conta per voi avere visibilità anche all’estero? Pesa in questo senso la distribuzione della Rough Trade?
Suonare all’estero è fondamentale per un gruppo che canta in inglese, e possiamo dire di essere davvero soddisfatti, da questo punto di vista le cose stanno andando alla grande. Proprio ora siamo in viaggio verso la Svizzera per un tour di due settimane, che si concluderà con la nostra partecipazione al Primavera. La cosa più importante è suonare il più possibile e farsi conoscere, la distribuzione Rough Trade ci aiuta nella promozione del disco e questo ci permette di avere più pubblico ai concerti, è senz’altro un vantaggio notevole.
Cinque nomi che hanno ispirato maggiormente la vostra musica.
Beatles, Bob Dylan, Pink Floyd, Doors, Django Reinhardt.
Cosa vi aspettate dall’esperienza al Primavera Sound?
Siamo davvero contenti e non vediamo l’ora di suonare in uno dei festival più belli e importanti d’Europa. È uno di quei festival ai quali avremmo sempre voluto partecipare anche come semplici spettatori ma per vari motivi non ci siamo mai riusciti, ora ci andiamo a suonare, bellissimo.
Junkfood
Il quartetto bolognese s’è formato nel 2007, dedicandosi a un sound strumentale e sperimentale. È di quest’anno il loro secondo album, The Cold Summer Of The Dead.
Ascoltando The Cold Summer Of The Dead si ha l’impressione di ascoltare un disco con atmosfere cupe. Era già questa l’idea che avevate quando avete iniziato a registrarlo?
Sì, nel senso che il carattere del lavoro è emerso nella fase compositiva e, in generale, nella pre-produzione del disco. Ci siamo accorti di questa tendenza nella musica che scrivevamo e abbiamo cercato di assecondarla il più possibile.
Com’è nata l’idea per il titolo?
È la traduzione del verso finale di “Novembre” di Giovanni Pascoli. Ci è sembrata molto calzante, dato che i giorni delle registrazioni (Halloween, Ognissanti e il giorno dei morti) e quelli del successivo missaggio sono quelli dell’estate di San Martino cui fa riferimento la poesia, ma soprattutto per i sentimenti di inquietudine e di angoscia che esprime. È infatti ambientata in quel periodo dell’anno detto anche “Indian Summer”, durante il quale il clima è apparentemente più mite e suggerisce un’illusione primaverile, destinata però a sfociare nell’autunno e, allegoricamente, nella morte”.
Che si deve aspettare chi viene a vedervi dal vivo?
Il live è la nostra dimensione preferita, considerando che anche i nostri dischi, seppur in studio, sono comunque registrati dal vivo. Generalmente sono live molto energici e coinvolgenti. Ciò detto, ci piace anche modulare in una certa misura i concerti in funzione della venue e del pubblico. Possiamo improvvisare di più o di meno, eseguire tutti i brani separatamente o collegare più episodi assieme, essere più veementi o riflessivi a seconda delle situazioni. Cerchiamo di tenerci un certo margine di manovra, anche per evitare di finire a fare sempre lo stesso tipo di concerto con la medesima scaletta.
Una curiosità che ho sempre avuto: quali sono le vostre ispirazioni musicali più importanti?
Veramente troppe da menzionare, come ascoltatori abbracciamo un range veramente amplissimo: si va dal rock di ogni tipo alla musica contemporanea, dallo jazz sperimentale all’elettronica, con tutto quello che sta in mezzo, ma è un elenco assolutamente parziale ed incompleto. Non tutto quello che ci piace e che ci ispira finisce poi necessariamente nella musica di Junkfood. O, sarebbe meglio dire, è ravvisabile nella nostra musica.
Cosa vi aspettate dall’esperienza al Primavera Sound?
È una splendida vetrina da cui proporre la nostra musica in un contesto internazionale, speriamo di esserne all’altezza e di poter cogliere il massimo da quest’esperienza. Comunque vada, sarà un’occasione per vedere un sacco di artisti che seguiamo da sempre e divertirci. Non ci lamentiamo.
C+C Maxigross
Arrivano dalle Prealpi veronesi e hanno esordito nell’autunno scorso con Ruvain, disco caratterizzato da un suono folk rock a tinte pop e psichedeliche.
È passato appena un anno dalla pubblicazione di Ruvain, magari è presto ma avete già in mente il seguito o state lavorando a del nuovo materiale?
Assolutamente sì, stiamo lavorando al nuovo disco: nuovi suoni, nuove canzoni, nuova formazione. Alla fine Ruvain è uscito l’anno scorso, ma è stato registrato due anni fa! Insomma è vecchietto e rappresenta come eravamo.
Quanto conta il posto dove siete cresciuti nella composizione della vostra musica?
Penso che la cosa che ci influenza di più sia dove componiamo, registriamo, lavoriamo, mangiamo, strimpelliamo, ci rilassiamo, facciamo passeggiate, feste, concerti, cioè la Lessinia. Inoltre, avendoci passato tanto tempo anche durante l’infanzia, questo posto magico è legato a moltissimi ricordi e sensazioni che portiamo dentro tuttora.
Parliamo di Ruvain: com’è stato lavorare con Marco Fasolo durante le session di registrazione?
Lavorare con Marco è stato l’inizio di una nuova consapevolezza, una nuova maniera di registrare che riesce a cogliere al meglio quello che vogliamo esprimere con la nostra musica: presa diretta, poche sovraincisioni, suoni scelti con estrema cura, non in editing ma in sede di registrazione, imprecisioni naturali, groove umano e niente metronomo. La prima canzone che abbiamo registrato con lui è stata “Pamukkale in E”, che poi è finita anche come prima del disco, proprio a segnalare simbolicamente questo nuovo inizio. Ogni volta che l’ascoltiamo riviviamo quella specie di epifania. Poi, oltre all’aspetto puramente musicale, abbiamo conosciuto una persona che ora è un caro amico e collaboratore.
Come definireste la vostra musica con tre aggettivi?
Camino, soppressa, marmellata (nel senso di jam). Non sono aggettivi, scusa.
Domanda d’obbligo: cosa vi aspettate dall’esperienza al prossimo Primavera Sound?
La sensazione mai provata e tuttora inconcepibile di non volere più essere bombardato simultaneamente da svariati concerti imperdibili dalla colazione a notte fonda. E di vedere il concertone di Caetano Veloso e trarne smisurato piacimento.
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