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I quattro devoti

Da Sharatan

I quattro devoti
Un giorno, quattro devoti andarono in moschea per pregare. Si prostrarono e iniziarono a recitare le lodi all’Altissimo con intensa devozione. Ad un tratto passò il muezzin, perciò uno dei quattro interruppe la preghiera per chiedere: "Per caso hai già cantato l’appello alla preghiera? C’è ancora tempo oppure è già tardi?” Quando uno degli altri vide che il primo aveva parlato, si sentì obbligato a intervenire: “Ma cosa dici? Ti rendi conto che hai interrotto la recita del takbir e che hai resa vana la preghiera?”A quel punto, interviene tutto inviperito anche il terzo devoto per dire a quello che aveva rimproverato il primo: “Ma tu perché non stai zitto? Perché non metti in pratica quello che dici?” Allora anche il quarto parlò, infatti volse gli occhi beati al cielo e pregò: “Sia lode all’Altissimo e al Misericordioso che non mi ha fatto perdere nelle tenebre! Per fortuna io non sono nel peccato come questi sventurati!” Chiaramente, si è capito che le preghiere di tutti i devoti furono sciupate.Questo racconto iniziatico è tratto dal Mathnawi di Rumi. La storiella insegna che ognuno è veloce a rimproverare gli altri e tende a non vedere le proprie pecche. Nella storia tutti sono impegnati a criticare gli altri ma, in realtà, ognuno cade in un errore ancora più grave di quello che rimprovera. I quattro sentono un maggiore desiderio di rimproverare l’errore piuttosto che prestare attenzione alle proprie azioni. Nella vita, dice Rumi, è beata l’anima che sa vedere le proprie pecche e che si sforza di rimediarle. Beato è colui che ricorda che tutti gli uomini sono per metà viventi nel regno del male, e per metà nel regno della luce invisibile. In verità, non dovremmo mai avere la presunzione di gridare in faccia agli altri i loro errori, se non sappiamo rimediare ai nostri errori. Se le cose della vita non vanno bene, dobbiamo cercare le cause, primariamente in noi stessi. Solo dopo aver fatto un'introspezione sincera e profonda, possiamo chiedere l’aiuto del Signore. Molti pensano di aver sempre ragione e credono che il torto sia sempre negli altri, ma nessuno è mai al sicuro dagli errori. Prima di sbagliare anche Iblis, l’angelo caduto che divenne demonio, seppe vivere in pace con Dio. Iblis deriva da “abrasa”che significa “cadere nella disperazione,” perché è la disperazione che fa sbagliare. Molti non reggono la disperazione, perciò sbagliano. Se non abbiamo mai sbagliato, la nostra purezza sarà un buon esempio. Ma, se il tuo prossimo ha bevuto quel veleno, tu rammenta solo lo zucchero che prima si trovava in lui.Buona erranzaSharatan

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