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I racconti WATT 0,5: Intervista a Raffaele Di Stasio e Alessandra De Cristofaro

Creato il 24 luglio 2012 da Viadeiserpenti @viadeiserpenti

ale diIntervista a Raffaele Di Stasio

Mentre scriveva il racconto ha pensato anche alle immagini che lo avrebbero potuto meglio rappresentare? Coincidono o si avvicinano a quelle effettivamente create dall’ illustratore?
Non penso a quali immagini potrebbero rappresentare ciò che scrivo. Per quanto descrittivo ed evocativo possa essere il linguaggio verbale, l’immagine narrativa rimane allo stato potenziale finché non interviene l’immaginazione del lettore; leggendo, ciascuno produce una sua immagine del testo – almeno in teoria. Il paradosso dell’immagine narrativa sta nel fatto che, pur essendo potenziale rispetto all’immaginazione del lettore, è compiuta in quanto segno verbale, il che rende pleonastico, a mio avviso, ogni discorso sul rapporto tra immagine verbale, narrativa in questo caso, e immagine visiva, artistica. Tale paradosso permette inoltre di comprendere, o almeno d’intuire, le ragioni per cui l’immaginazione è più facilmente colonizzabile mediante i linguaggi visivi (soprattutto quelli del cinema, della televisione, della rete) che non mediante i linguaggi verbali, i quali, al contrario, ci rendono per lo più refrattari alla colonizzazione dell’immaginario (soprattutto quelli della letteratura, della filosofia e anche della religione – quando si ha voglia di leggerne i testi ovviamente).
Ad ogni modo, tra le illustrazioni di Alessandra De Cristofaro mi ha colpito la ragazza con la maschera del cane (Watt 0,5, p. 102). La maschera lì ha dimenticato la sua funzione essenziale, cioè quella di nascondere; è quindi una maschera paradossale, che non nasconde bensì svela e rende ancora più evidente l’incapacità di amare incisa nello sguardo della figura femminile. Proprio come, nel racconto, il legame col cane evidenzia allo sguardo del protagonista maschile l’impossibilità dell’amore.

Tema centrale del racconto sembra essere l’amore, soprattutto la sua declinazione negativa. Solo un cane, conclude il protagonista, riesce ad amare senza chiedere nulla, mentre gli uomini, forse, non capiscono che cosa sia l’amore e quindi non sanno amare. È così anche per lei?
Per quante eccezioni ci possano essere, mi sembra evidente che la declinazione negativa dell’amore, l’impossibilità di amare, sia consustanziale all’antropologia contemporanea: l’attuale condizione umana non permette di capire che cosa sia l’amore. Le ragioni della nostra condizione potrei riassumerle dicendo che, da lungo tempo ormai, avendo trasformato ogni cosa e persino se stesso in merce, l’uomo non contempla più la gratuità: in noi e nelle nostre relazioni è dominante il valore di scambio. Che tutto, ma proprio tutto, sia scambiabile, mercificabile, spettacolarizzabile, è un’idea fissa collettiva, un delirio diffuso.
Certo il protagonista del racconto, nel momento in cui conclude che solo un cane può amare senza chiedere nulla in cambio, si espone a una critica caustica, “celiniana”, sintetizzabile con una frase del tipo: «L’amore è l’infinito alla portata dei cani» (Walter Siti, Resistere non serve a niente, Milano 2012, p. 143). Tuttavia il protagonista non teme di sentire la mancanza di quell’infinito, il problema è piuttosto la sua mediocrità antropologica: per riprendere un antico mito, potrei dire che, riguardo all’impossibilità dell’amore, egli è figura di un’umanità che ha perduto Pòros (il passaggio, l’espediente, il mezzo che rende possibile l’impossibile) ed è rimasta sola con Penía (la povertà, l’indigenza, il bisogno dell’impossibile).

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con la scrittura?
Non lo so ancora.

Intervista ad Alessandra De Cristofaro

Non tutte le storie si prestano allo stesso modo a essere illustrate. Quale coefficiente di difficoltà darebbe al racconto sul quale ha lavorato? Che rapporto ha avuto col testo e cosa ha voluto restituirne con le immagini?
La suggestione di un testo è soggettiva. Russò è un racconto con una panoramica piuttosto ampia, racchiude un’intera vita e ne mostra i lati più taglienti. Per me era carico di immagini. Quando lavoro su un testo cerco per quanto possibile di farlo mio, cerco con lui un dialogo, qualcosa che possa dire solo a me. È questo che mi spinge verso la scelta delle immagini. Ho cercato di restituire l’atmosfera polverosa che attraversa il racconto, il senso di inquietudine e di incapacità all’azione, al cambiamento. Mentre lo leggevo si è fermata in me l’idea delle rotaie del treno come sinonimo di percorso obbligato, di corsa verso la fine. E poi il rapporto sbilanciato, quasi ridicolo, tra uomo e animale.

Ha avuto modo di confrontarsi con lo scrittore?
No, non ci siamo confrontati.

Quale sarà il suo prossimo appuntamento con l’illustrazione?
Ho iniziato da poco a lavorare su alcune fiabe minori dei Fratelli Grimm.

Qui la recensione di Russò


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