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Ispirato dall'omonima ode di Neruda, due versi della quale campeggiano all'inizio dell'elegante libretto accluso al disco, concepito come una sorta di diario di bordo di una navigazione collocata in un passato in cui ogni viaggio rappresentava un'avventura e il distacco dalla terra simboleggiava la transizione a una realtà indefinita nello spazio e nel tempo. Altrettanto simbolico risulta dunque il richiamo a quei versi, non solo per l'immaginario marittimo che funge da filo conduttore dell'album, ma anche per la desemantizzazione qui compiuta dai Rachel's, tanto nel senso di un'espressività travalicante l'uso stesso della parola, quanto in quello di una riduzione del linguaggio musicale a strutture primigenie e in apparenza semplici, nelle quali i confini tra significato e significante si riducono fino a svanire.
"The Sea And The Bells" è un concept-album interamente dedicato al tema del mare e dei naviganti. Tredici i brani, per un'ora di musica, con il pianoforte di Rachel in evidenza, attorniato da violino, viola, violoncello, chitarra, basso, batteria e, per l'appunto, campanelli, a creare un "sound so pure. simple and passionate" ("Transmission"). La storia, che racconta di mare, di viaggi e di sirene, si snoda in maniera lenta e suggestiva, con un incedere quasi teatrale, tra arie rinascimentali eseguite nello spirito minimalista della Penguin Cafe` Orchestra (Rhine & Courtesan) e minimalismo drammatico stile Nyman (Cypress Branches), soffici sonate al pianoforte (Tea Merchants) e adagi pastorali lasciati fluttuare nel nulla ("All Is Calm"), brani di puri effetti timbrici con istantanee di tenebrosi field recordings come With More Air Than Words, paesaggi sonori appena abbozzati come Night At Sea e pezzi complessi, al limite del serialismo, di una qualità allucinata, come The Voyage Of Camille e His Eyes, o l'inquietante corpo centrale di Lloyd's Register, soggiogato, ma solo per poco, dalla violenza di archi distorti e spasmi di tromba, e dello stridore disturbante delle viole che irrompe su Sirens, quale agghiacciante monito alla vulnerabilità dell'animo umano.
Lungi dal riproporre pesanti atmosfere classicheggianti alla Yes o Emerson Lake & Palmer, i Rachel's ribaltano l'operazione compiuta da certo progressive dei 70: non suonano rock con l'attitudine di musicisti classici, ma suonano musica classica con attitudine rock. Come scrive Ferruccio Quercetti su "Music Club", infatti, "è come se i Minor Threat si lanciassero in una sonata per pianoforte". Ma, tra i loro riferimenti, i Rachel's citano anche musicisti come Michael Nyman, Arvo Part, Bill Frisell, John Zorn, e rock-band come Tortoise, Don Caballero e Talk Talk. Un magnifico gioco di specchi, che riflettono figure scomponendole e ricomponendole in maniera del tutto sorprendente e giocando con gli ossimori di forme generalmente ritenute tra loro opposte. Non appaia dunque temerario affermare che l'essenza del lavoro trae origine da un'impostazione di base derivante dal post-punk e dal noise in coerenza, del resto, con le biografie artistiche di alcuni dei musicisti qui impegnati (Bob Weston, già negli Shellac, Jason Noble e Kevin Coultas nei Rodan), filtrati tuttavia attraverso un'inconsueta sensibilità cameristica e di conseguenza tradotti in composizioni guidate da archi e pianoforte.
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