Magazine Pari Opportunità

“I Ragazzi Burgess” di Elisabeth Strout

Da Leragazze

copHo finito di leggere I Ragazzi Burgess, l’ultimo libro di Elisabeth Strout. Era da un po’ che non leggevo un romanzo che senza essere un giallo non mi facesse vedere l’ora di andare a dormire per proseguire con la lettura (si, perché io sono una lettrice notturna!)

Laura e Spicy avevano letto anche il suo precedente, Olive Kitteridge, di cui avevamo parlato anche qui sul blog. Io non l’ho ancora fatto, ma l’ho già chiesto in prestito alle mie so-cio-relle.

I Ragazzi Burgess racconta la storia di 3 fratelli (per la precisione due fratelli e una sorella) cresciuti nel Maine, in una campagna opprimente e benpensante. Dopo che la vita li ha portati altrove si ritrovano riuniti loro malgrado per risolvere un problema giudiziario di Zach, figlio di uno dei tre. E questa è l’occasione per raccontare la loro storia, ripercorrere le loro vite, analizzarle, e risolvere questioni apparentemente impossibili.

La morale alla base di questo romanzo è l’importanza e la centralità della famiglia: nucleo sociale forse patologico per sua natura, ma pur sempre luogo primigenio della formazione di ogni essere umano. Una frase mi ha colpito molto. Eccola per voi:

La bellezza di questo libro a mio avviso sta sia nella scrittura fluente della Strout, che utilizza un lessico “familiare”, un modo di parlare comune. E poi adoro i suoi personaggi: sono belle persone, di quelle cui ti affezioni, che ti spiace lasciare a libro finito. Anche quelli dipinti negativamente come arroganti e antipatici, rivelano un’umanità che, magari alla fine, ce li fa sentire vicini. Come sfondo alla storia dei tre fratelli Burgess, l’autrice affronta anche il tema del razzismo in America. Ci racconta infatti dell’ondata di immigrazione di profughi somali nel Maine, della loro difficoltà di integrazione e della diffidenza che (noi italiani lo sappiamo bene!) queste situazioni inducono nella popolazione locale. Qualcuno ha criticato la Strout per aver solo accennato a questo tema senza averlo approfondito, ma non mi pare un’opinione condivisibile, perché, a meno di farne un libro diverso  e inutilmente prolisso, ha reso benissimo l’idea dei problemi che derivano dalla commistione forzata di culture diverse, specie quando tale convivenza deriva dalla fuga di un popolo dal proprio paese, spesso dopo aver subito, o aver visto subire ai propri cari, tortura, violenza e morte.


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