Spesso di un viaggio, di un amico, di una persona cara ci restano solo le foto.
Scattate per caso, magari. A volte in una posa buffa o con una espressione idiota ma che resta lì, impressa in un attimo che non passa più.
Sono importanti, le foto, e forse per questo i ragazzini non possono far a meno di farsi i selfie e metterli in rete, quasi fossero una prova della propria esistenza, un ci sono forzato ed ineluttabile.
La foto di sopra racconta la storia di ragazzi che vogliono aiutare altri ragazzi, in partenza per Kobane, città curda siriana che resiste allo stato islamico dell’Isis, dove avrebbero voluto costruire una biblioteca, ripiantare un bosco, mettere in piedi un campo giochi. Volevano partire per aiutare gli abitanti di una cittadina martoriata da mesi di lotta assurda.
Ragazzi con un sogno, un’ideale: aiutare chi resiste all'arrivo del Medioevo.
Partivano da Suruç con la speranzo di aiutare il prossimo.
Speranza spazzata via da un altro adolescente di vent'anni che si fa saltare in aria in mezzo a loro.
La ragazza della foto sotto, invece, era Arin Mirkin, morta il 5 ottobre scorso negli scontri contro i miliziani dell’Isis.
Arin era una giovane e bella ragazza curda con gli occhi verdi, madre di due figli, comandante di un'unità femminile di combattenti capace di uccidere in battaglia 15 jihadisti e di distruggere un blindato in battaglia. Arin si è fatta saltare in aria avendo ormai finito le munizioni pur di difendere la sua città, Kobane e di non cadere prigioniera del nemico. Una giovane donna che ha lottato contro un nemico cieco, l’Isis, che vuole imporre la sharia a tutto il mondo, che vede nella diversità il male, che butta armi chimiche contro i curdi siriani ed iracheni che non vogliono piegarsi. Un califfato fantasma, senza testa apparente, che applica il Corano in un modo che, se potesse, Maometto verrebbe diretto giù dal paradiso a prenderli a schiaffi.
O forse, come sempre, la religione è solo la scusa per il potere.
Arin è morta per le sue figlie, per il suo popolo, lottando.
I ragazzi di Suruç sono morti per cercare di cambiare il mondo.
Spero che mia figlia da grande somigli loro almeno un po’.