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Eh sì, perché protagonista è una coppia di donne gay, Jules (Julianne Moore) e Nic (Annette Bening), sposate con due figli adolescenti, tipica espressione di una realtà geografico-culturale in cui la comunità gay è sempre stata particolarmente presente e forte (vi ricordate il film Milk?).
Perché una delle due, Jules, fa trasparire un passato da hippie e figlia dei fiori, che ne caratterizza modo di vestire e comportamenti anche in un presente in cui ha ormai 50 anni. E certamente anche questa comunità è stata ed è fortemente rappresentata nella città californiana.
Ancora, perché Paul (un fascinosissimo Mark Ruffalo), il donatore di sperma che Joni (Mia Wasikowska, l'Alice di Tim Burton) e Laser (John Hutcherson) chiameranno in causa curiosi di conoscere il loro padre biologico, gestisce una piccola coltivazione e un ristorante biologici. E qui c'è tutta la passione che negli ultimi anni l'anima alternativa di certa parte della California esprime per i concetti di local e organic.
E infine perché vediamo Paul sfrecciare con la sua motocicletta BMW sulle ripide discese delle colline di San Francisco, che tanto caratterizzano questa città.
Il tutto descrive un preciso contesto culturale e trasmette l'idea di una normalità e di una perfetta integrazione sociale di questa famiglia non convenzionale, in cui nessuno sembra patire le conseguenze e soffrire del proprio essere non convenzionali, bensì solo dei problemi che è possibile riconoscere in ogni matrimonio che duri da più di 20 anni e che si confronti con due adolescenti di oggi.
L'adolescente non cresciuto, l'impenitente scapolo che porterà lo scompiglio negli equilibri di questa famiglia sarà Paul, ma sarà lui stesso l'unico ad accorgersi di non avere qualcosa, di essere fondamentalmente solo.
Nic, Jules, Joni e Laser confliggono, si alleano, si scontrano, si allontanano, ma li tiene insieme l'affetto che hanno saputo costruire come famiglia. I momenti in cui a turno - tranne il taciturno Laser - chiamano a raccolta gli altri per vere e proprie riunioni di famiglia sono tra i momenti più commoventi e - al contempo - più esilaranti del film.
Si capisce l'intento di Lisa Chodolenko, porre l'accento sulla normalità, e certamente ci riesce, facendoci pensare, sorridere, partecipare, senza costringere nessuno a prese di posizione ideologiche.
Si capisce la voglia di normalità e di integrazione della comunità gay che la regista descrive. Personalmente, però, ho trovato l'operazione un po' buonista - per quanto utilmente universalizzante e opportunamente leggibile dal mondo etero.
San Francisco è stata la città non solo delle battaglie per i diritti, ma anche della rivendicazione delle differenze e del loro essere parte integrante di una società realmente democratica.
Integrazione non è necessariamente sinonimo di uniformazione, come - tra le righe - sembra emergere da questo film. I modelli possibili sono infiniti e tutti devono poter trovare uno spazio in un mondo libero, fondato sul rispetto dell'altro e sulla convivenza pacifica. Quello di Nic e Jules è solo uno dei modelli possibili.
Voto: 3/5
P.S. Visto in lingua originale. Sempre un'esperienza con una marcia in più.
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