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I registi di Venezia 71: Joshua Oppenheimer

Creato il 05 settembre 2014 da Nicola933
di Cinzia Carotti I registi di Venezia 71: Joshua Oppenheimer - 5 settembre 2014

Di Carotti Cinzia. In questi giorni si svolge la 71esima edizione della Mostra Internazionale di Arte Cinematografica Venezia. Ogni giorno, fino alla conclusione della manifestazione, Giornale Apollo proporrà un approfondimento su uno dei registi in concorso. In questo articolo vi presentiamo Joshua Oppenheimer.

Oppenheimer è un cineasta blasonato, accademico ma soprattutto è una delle voci più coraggiose del panorama culturale contemporaneo.  La sua denuncia, tanto sottile quanto politicamente eclatante, raggiunge vette altissime riconfermate anche in questa 71esima edizione del Festival di Venezia.

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Joshua Oppenheimer nasce a Austin, in Texas nel 1974. Ha vissuto a Washington, DC, Santa Fe, e Nuovo Messico. Oppenheimer ha studiato cinema sin da giovanissimo ricevendo un Bachelor of Arts (BA) in cinema presso la Harvard University. Riceve un dottorato di ricerca dal Central Saint Martins College of Art and Design, mentre completava gli studi grazie alla borsa di studio della fondazione Marshall.

Il suo primo lungometraggio risale al 1997 intitolato The Entire History of the Louisiana Purchase e vince uno Hugo d’oro al  Chicago International Film Festival.

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Dal 2004 al 2012 ha prodotto una serie di film in Indonesia. Il suo lungometraggio d’esordio, The Act of Killing, viene presentato in anteprima al Telluride Film Festival 2012. Da allora ha vinto numerosi premi in tutto il mondo, tra cui l’European Film Award per il miglior documentario, il premio della Giuria Ecumenica al 63esimo Festival del Cinema di Berlino, il premio Robert dall’Accademia del Cinema della Danimarca e l’Aung San Suu Kyi Award al Human Rights Human Dignity International Film Festival 2013. Il film tratta della purga anticomunista avvenuta in Indonesia tra il 1965 e il 1966, che portò alla morte milione di persone, raccontata dal punto di vista di due gangster, Anwar Congo e Adi Zulkadry, diretti responsabili dell’uccisione di centinaia di uomini ed oggi rispettabili membri di organizzazioni paramilitari indonesiane e ufficialmente membri di spicco nella vita del paese. I responsabili di questi crimini non si limitano a fornire testimonianze per il documentario: mettono in scena i propri crimini come protagonisti di un film, sviluppando la storia secondo i loro gusti e adattandola persino ai loro generi cinematografici preferiti generando una situazione fortemente impegnativa per lo spettatore spaccato emotivamente. Questa esperienza cinematografica per Anwar diventa un viaggio da incubo nel profondo delle sue emozioni inconsce fino a quando, per la prima volta nella sua vita, inzia a provare un profondo rimorso.

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Con The Look of Silence, presentato in questa edizione veneziana, l’approccio è totalmente diverso, il risultato altrettanto inquietante. Abbandonata la costruzione fantasiosa di The Act of Killing The Look of Silence rimane ancorato saldamente alla realtà. Una realtà così dura da risultare quasi paradossale superando qualsiasi finzione. Torniamo sempre nell’Indonesia che deve fare i conti con la purga anticomunista. Al centro del film c’è un uomo che ha perso il fratello maggiore  nell’epurazione. Insieme a Oppenheimer, rigorosamente silenzioso dietro la macchina da presa, l’uomo fa visita a coloro che si sono macchiati dei crimini e hanno partecipato, a vari livelli di gerarchia, nell’omicidio del fratello e di quasi un milione di altri presunti rivoluzionari. Lo sguardo di Oppenheimer si fa largo in un mare di omertà e di assoluto servilismo politico e sociale. Nessuno vuole prendersi la responsabilità del massacro, eppure tutti sono ancora pressoché convinti di aver agito per il bene del Paese e non provano a negarlo.

Qui il programma integrale di Venezia 71.


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