Sofia cominciò a scartare delicatamente il pacchetto, avendo cura di non strappare la preziosa pellicola. Ancorché fosse evidente l’impazienza di scoprirne il contenuto, sembrava tesoreggiarne la sorpresa. Mentre la osservavo, durante la lunga operazione, non potei fare a meno di notare una sorta di leggera pressione, che le sue dita affusolate operavano sulla carta, forse nella speranza di intercettare rilievi altrimenti impercettibili, o forse perché solite muoversi in simil guisa chissà per via di quale attività o arte che allora potevo solo immaginare, o ancora…
Ognuno ritornò all’attività che aveva piacevolmente interrotto. Mentre Sofia ed io stavamo guadagnando la marmorea panchina, un altro battito d’ali attirò la nostra attenzione. Prima di voltarci, pensammo ad una ripresa dello spettacolo. Invero si trattava di due “artisti” ritornati nei pressi di Elsa. Ci sedemmo, quindi, e Sofia proseguì nel disvelamento del dono. Sollevò – tendendolo fino al limite dello strappo – un ampio lembo della carta regalo e mi mostrò ciò che apparve. La copertina di un libro, di colore blu, su cui si scorgevano solo alcune lettere, “mil”, accanto all’immagine di una donna in morigerato abito scuro.
«È una delle mie poetesse preferite, sono contentissima!» esclamò Sofia, dalla cui voce traspariva la sfrenata impazienza di cominciarne la lettura.
«Lo è anche per me» risposi entusiasta. Poi, dopo una breve pausa, aggiunsi: «Mi racconti del primo incontro?»
Affiorò sul volto di Sofia un velo di candore, la cui origine potei leggere tra le righe della sua risposta:
«È successo quando avevo tredici anni. In quel periodo cominciavo ad appassionarmi alla poesia e a leggerla per diletto. In realtà Emily Dickinson, e tanti altri autori, mi erano già vicini sin dalla nascita e, incarnando il tipico costume delle persone sagge, attendevano solo il momento giusto per appalesarsi nelle vesti dei loro scritti, i quali intanto facevano bella mostra di sé sulle mensole delle tre librerie disposte in casa, una delle quali – per metà destinata ad accogliere i libri scolastici – si trovava proprio nella mia cameretta, dove avvenne l’incontro. Era un pomeriggio strano, che seguiva una giornata un po’ turbolenta. A scuola avevo visto un ragazzo bellissimo e da quel momento la sua immagine prese ad occupare tutto lo spazio disponibile nella mia mente. In classe fu un disastro. All’uscita lo cercai, ma invano e ciò ne amplificò la figura, sognando la quale ripetei meccanicamente i soliti gesti, comuni a quasi tutti i ragazzi della mia età (tornare a casa, pranzare ecc.). Verso le tre e trenta del pomeriggio, mentre ero beatamente distesa sul mio letto (i libri non li avevo neanche tirati fuori dalla cartella), intenta a fantasticare sulle note di Don’t you (forget about me) dei Simple Minds, fui catapultata nella realtà dall’antenna della mia radio. Quel giorno, non potendo contare – per ovvie ragioni – sulla mia pazienza, pensai di ricorrere ad una soluzione più rapida. Presi un volume dalla mensola più vicina e lo posizionai in modo tale che reggesse l’antenna capricciosa, ma non ci fu verso e… una folata di vento proveniente dalla finestra semiaperta sfogliò il libro e lo richiuse, inducendomi a focalizzare lo sguardo su un’altra finestra. Fu così che passai dalla mia stanza a quella di Emily Elisabeth Dickinson, la quale scelse quel momento per appalesarsi nella mia vita.»
«Grazie Sofia, mi hai fatto dono di un racconto bellissimo. Ma quel testo conteneva tutte le sue poesie?»
«No, Antonio, solo una parte, un’intensa selezione di componimenti che imparai tutti a memoria. Nonostante ciò, e per ragioni inspiegabili, non mi sono mai messa sulle tracce della sua intera opera. Ora sai perché questo dono ingloba molteplici valori, uno dei quali è una sintonia con persone sensibili che stanno a tanti chilometri di distanza. Tu, invece, le conosci tutte?»
«Ho letto tutte le poesie, ma di ognuna mi è parso di comprendere solo una parte e ciò deriva, per un verso, dal potere misterioso insito in tali espressioni letterarie e, per l’altro, dalla scelta presa da Emily Dickinson di chiudersi nella sua camera per oltre vent’anni.»
«Hai colto nel segno, Antonio. I versi indagatori e la vita di chi li vergò, hanno avuto un ruolo vitale per Marcello, per me e, indirettamente, anche per la nostra piccola Elsa. Tenendo sempre presente il suo pensiero, riusciamo a vivere nella nostra attuale condizione, ma prima di riprendere a raccontarti gli episodi salienti della nostra epopea, vorrei fare un omaggio a questa immensa poetessa.»
«Oh! Sofia, dal primo disvelamento del libro, ho cominciato a sperare che tu declamassi qualche poesia. Sono pronto ad ascoltare.»
Se alle prese con quei congegni ci fosse stato solo lo scienziato italiano, avrei potuto pensare che si trattasse di una sequenza della famosa scena di “Non ci resta che piangere” in cui, Roberto Benigni spiega a Leonardo Da Vinci le invenzioni che dovrà fare, mentre Massimo Troisi lo costringerà a giocare a carte, cimentandosi nell’impresa, vana, di insegnargli le regole della scopa.
Ma lì c’era anche Pitagora, sul cui volto si riflettevano i pensieri dell’animo, errante nel tempo e in pena per le sorti della sua Grecia.
Mentre fantasticavo, le forze portarono a termine la loro opera e Sofia poté prendere il libro per eseguire la sua.
Più dolce appare il successo
a chi mai lo conobbe.
Apprezza meglio un nettare
la più crudele arsura.
Nella schiera vermiglia
che oggi ha conquistato la bandiera
nessuno così bene
saprebbe definire la vittoria,
come il soldato sconfitto, morente,
sul cui orecchio deluso
lontani inni trionfali
vanno a infrangersi, chiari e torturanti.
Trascritto anche questo momento, mi preparai alla lettura da fare l’indomani, sul lungomare Caracciolo, dove mi attendevano i miei cari amici per la consueta lettura del giovedì pomeriggio.
Messaggio n. 4f
Nell’attesa delle risposte, passa anche il mese di agosto. In sintesi, cinque mesi senza reddito, né stipendio né cassa integrazione. Il fatto scandaloso è che i rappresentanti dello Stato e dei sindacati, Cgil e Uil, si permettono ancora di essere permalosi, fino al punto di rimarcare toni e pensieri. Nonostante cominci a scoraggiarsi, Marcello prende carta e penna e continua a scrivere.
In data 2 settembre 2010, viene inviato a Miriam Deserti (Filcams-Cgil) il seguente messaggio:
Salve, in attesa delle risposte alle lettere (ndr “quadro complessivo”) e del testo dell’accordo (se ne parlò al telefono per il posdomani, circa un mese fa) ti comunico che le denunce legali e quelle giornalistiche sono convogliate in un’unica direzione.
Grazie e cordiali saluti
Marcello Marchesi
Dopo poche ore, arriva la risposta:
Per quanto riguarda i testi dell’accordo io li ho inviati, probabilmente c’è stato un problema di ricezione e ho inviato anche la circolare che ho fatto alle nostre strutture territoriali.
Per quanto riguarda vostre denunce non ho inteso bene cosa intendi, ma se quanto scritto vuole essere una minaccia non mi piace nemmeno un po’.
In ogni caso riallego i documenti, sperando che questa volta la spedizione vada a buon fine.
Saluti, Miriam
Marcello replica a tono, seduta stante:
Assolutamente no, le denunce non sono una minaccia. Ho semplicemente inteso comunicare a te, quale rappresentante di un grande sindacato, che la battaglia intrapresa sarà condotta strenuamente.
Grazie per la disponibilità
Marcello Marchesi
Dopo aver ascoltato quelle lettere, ancora più crude ed eloquenti: cinque mesi senza alcun reddito, ci abbracciammo e ci demmo appuntamento per il giovedì successivo.