I riflessi dell’anima, poesie di Roberta Strano

Creato il 11 dicembre 2011 da Antonino1986

Recensione di Domenico Turco

Opera prima, che raccoglie una significativa produzione letteraria elaborata nell’arco di quattro lustri (1991/2011), I riflessi dell’anima rivela al grande pubblico una poetessa e scrittrice straordinaria come Roberta Strano.

Siciliana di Palermo, città dove ha vissuto fino all’età di 16 anni, Roberta trasferisce con arte la sua esistenza sulla pagina. In genere non amo indulgere più di tanto sugli aspetti autobiografici di un autore o di un’autrice, ma nel caso di Roberta vita e letteratura vanno di pari passo. Al punto che sembra impossibile separare i due piani, pur in presenza di una sorprendente capacità trasfigurativa, che ammanta di un’aura di sogno i dati ricavati dal contatto con la realtà e le sue ovvie ragioni di concretezza.

Diario di un’evoluzione biografica e di un’avvincente maturazione personale, la folta pubblicazione  segue il cammino dell’intera esistenza raccontando i diversi episodi liricamente, senza quel compiacimento confessionale che caratterizza altri mondi letterari d’ispirazione soggettiva.

Da sottolineare la grande padronanza artistica della scrittrice siciliana, che già a quindici anni possedeva estremo talento, non esibendo quei veniali e fisiologici errori di composizione tipici degli autori in erba. Per quanto i testi siano tutti interessanti, però, esigenze di spazio impongono di concentrare l’attenzione su alcuni componimenti che più parlano al cuore, attraverso il codice non-cifrato delle emozioni e dell’amore.

Scritta quando l’autrice era poco più che adolescente, la suggestiva poesia Un giorno di marzo celebra il mare nelle sue più varie accezioni, anche di carattere simbolico. “Uomo libero, tu amerai sempre il mare!”, scrive il Baudelaire dei Fleurs du Mal. Roberta Strano interiorizza questa dimensione di libertà, che si associa solitamente alle vaste distese marine, sempre aperte all’esplorazione di nuove rotte: “Blu infinito di mare/si perde all’orizzonte/sfumato all’orizzonte.”

Il mare si confonde con il cielo, entrambi onirici emblemi dell’anima, che dipingono la realtà  in blu. Roberta si identifica  con lo splendido gabbiano che osserva dal “basso” con estatico abbandono: “[…]il bianco gabbiano/volteggia libero a mezz’aria/tra blu e blu/tra sogno e realtà […]”.

La dialettica “sogno/realtà” dà in qualche modo il tono all’intrigante mosaico di poesie e racconti che compongono il bel volume, dettandone il ritmo fascinoso, trascinante, a tratti cantilenante, non già nel senso di una filastrocca da scuola materna, bensì nell’accezione di una dolce nenia che culla e cattura, incanta e coinvolge.

Il tema del sogno si lega a doppia mandata ad un’esperienza esistenziale fondamentale come l’amore, in tutte le possibili accezioni, che rappresenta il vero e proprio fil rouge del libro.

Personalità profondamente e genuinamente romantica, Roberta Strano guarda al mondo con occhi innamorati. O, in altre parole, è la sua straordinaria capacità di trasmettere amore che prende magicamente la parola e si fa poesia:

Questa mattina

ho riaperto i miei occhi al mondo

e mi sono accorta di essere ancora senza di te.

Questa mattina,

che sembra un giorno come tanti,

ritorno da sogni grevi,

ho sognato di te

di questo amore dolce e amaro insieme {…]

da “TI AMO”.

Qui la poetessa siciliana mette a nudo i suoi sentimenti. Intimamente avvinghiata nelle dolci catene di un “amore dolce e amaro insieme”, Roberta racconta con semplicità e candore una condizione di dipendenza psicologica dall’amato. Ma si tratta di una dipendenza positiva, che rende ancora più liberi e purificati dalla forza di una passione, che diventa linea di continuità tra il tormento del distacco e l’estasi della presenza. Questo carattere ambiguo dell’amore è tradotto con eleganza nel limpido idioma della poesia, con cadenze delicate, leggiadre, non aggressive, che fanno comunque trapelare una passionalità sofferta e tenace.

Altre volte la poetessa-scrittrice descrive il brivido dell’innamoramento mediante la metafora dello sguardo, che, magicamente e magneticamente, cattura il suo cuore.

Non so se intenzionalmente o meno, Roberta Strano recupera un tròpos letterario tipico del Dolce Stil Novo e della successiva tradizione petrarchesca:  gli occhi della persona amata si identificano con l’Amore stesso e, per misteriose vie, rendono possibile il miracolo “laico” dell’innamoramento:

Attraverso le onde del tempo

ho visto i tuoi intensi occhi azzurri,

il tuo sensuale profilo

e le tue labbra accennare un sorriso

e non ho potuto che amarti […}

 

da “La voce del silenzio”.

 

L’amore è una componente essenziale del suo modo di essere, di vivere e di concepire la vita.

Traccia che collega le diverse poesie scritte lungo l’arco della sua giovane esistenza, l’amore  si presenta in una vasta gamma di situazioni e gradazioni, ora drammatiche ora gioiose.

È l’Amore che suggerisce all’Autrice le pagine più affascinanti ed emotivamente coinvolgenti della raccolta, esprimendo quel bisogno di unità che porta due anime a stare insieme e a rispecchiarsi l’una nell’altra. Tuttavia l’amore, per Roberta, non è solo relativo al rapporto di coppia, non è solo eros, riguardando anche attori e relazioni diverse, forse meno intense sul piano emozionale ma non per questo meno importanti. In questo senso, sono esemplari le liriche dedicate rispettivamente alla madre e al padre lontano, venate di nostalgia e piene d’amore.

L’atmosfera struggente della stagione delle foglie morte fa da cornice a Luna d’argento, commovente poesia riguardante la maternità, quasi un atto di ringraziamento della scrittrice per il dono della vita elargito con grande generosità e spirito di sacrificio dall’amatissima genitrice: “Malinconico tramonto stasera/madre mia. {…]Tu che mi hai sempre guidato/che mi sei sempre al fianco/con la tua dolce presenza.”

Dopo alcune disperate domande di tipo retorico sul senso della vita, la chiusa finale esprime una nota di ottimismo e di speranza: “L’unica mia consolazione/sono il tuo sorriso/e la mia poesia:/Grazie di avermi fatto nascere poeta.”

Il sorriso della mamma e la poesia sono un tutt’uno, e danno la forza alla scrittrice di andare avanti, nonostante quelle che Cesare Pavese chiamava “le malefatte della vita” e il disagio di fronte ai problemi che s’incontrano a contatto con la comune esperienza del mondo. Molto toccante anche la lirica riguardante il padre lontano, Mi manchi, nella quale Roberta Strano esprime tutto il dolore del distacco, con accenti di pura disperazione ed autentico amore filiale:

Potrei ormai contare gli infiniti giorni

senza di te papà.

Sono tanti.

Sono giorni senza storia,

senza memoria,

in cui avrei potuto

tenere strette le tue mani nelle mie

e sentirmi ancora la tua bambina.

In una semplice domanda sembra racchiusa l’essenza struggente di quella che va considerata più di una poesia: “Papà, cosa ci rimane/adesso dei giorni perduti?”. L’accorato messaggio è un vero e proprio inno d’amore, un amore difficile, che si nutre di rimpianto, di nostalgia e di sensazioni spiazzanti, ma che, nel declinarsi  in questa chiave così malinconica o crepuscolare, rivela accenti di purissima autenticità, che accarezzano le corde d’arpa dell’anima. Molto significativa è anche la poesia che celebra il ricordo dell’esistenza terrena di Papa Giovanni Paolo II, Indimenticabile Karol. Scritta sulla spinta dell’urgenza cronachistica di raccontare un dolore condiviso, la toccante lirica inserisce la vicenda nell’ambito  di un percorso di fede genuinamente vissuta e testimoniata.

Il compianto lacerante, straziante, del Sommo Pontefice si scioglie, sul finale, con una riflessione positiva, ispirata da un atteggiamento di accettazione della morte, nella prospettiva cristiana della vita eterna:

Tu eri amore,

perdono,

carità,

e adesso sei tornato

vicino a Dio,

lasciandoci per sempre.

Ma dolce è pensare

che la tua anima

non ci abbandonerà mai

ovunque noi andremo,

perché tu ci ami […]

Voglio pensarti ora

senza più sofferenze

né malattie

accanto al Supremo Padre

che ci guidi da lassù,

ancora, ancora.

La letteratura, per Roberta Strano, è un’esperienza totale, che coinvolge interamente la vita e contribuisce alla sua comprensione. Pensieri e parole convergono nella metafora straordinaria dei “riflessi dell’anima”, che presuppone concettualmente l’idea di un’analogia tra luce e spirito, visto come una materia luminosa che con i suoi raggi investe anche gli angoli più oscuri e polverosi dell’Universo, portando dovunque il Verbo dell’Amore. Dotata di una felicissima e fertile creatività, la scrittrice spazia con estrema libertà tra poesia e prosa, raggiungendo in entrambi i generi vertici di assoluta eccellenza.

La poetessa-scrittrice, però, non indulge quasi mai all’ermetismo, utilizza un criterio di chiarezza che ben si concilia con il proposito di arrivare al cuore e alla mente anche del comune lettore. Fanno tuttavia eccezione alcuni testi emblematici, che dimostrano una certa versatilità nel cimentarsi in operazioni letterarie più ardite, che sfruttano registri stilistici archetipici e simbolici, di magica e complessa capacità suggestiva.

Il figlio del paese delle nebbie è un racconto d’atmosfera, di carattere lirico; ricorda molto Lovecraft perché rinvia ad un mondo di confine, sospeso tra mito come espressione dell’inconscio collettivo e sogno come produzione di altre realtà, di altri eventi della coscienza e di misteri che sfuggono ad una visione razionale, chiara e distinta dei fenomeni.

Il figlio del paese delle nebbie è più di un  personaggio: è un’entità simbolica che riporta ad un tempo leggendario e al recupero di quella dimensione onirica che fa parte del DNA di ognuno di noi, ma che per varie ragioni abbiamo perso di vista. Il figlio del paese delle nebbie (e dello spirito) incarna anche l’ideale dell’amore romantico, tormentato e maledetto: “I suoi occhi richiamavano il sud mescolato con il nord delle origini  di quei posti incantati e tormentati allo stesso tempo. Lui  era bello come un angelo ed era anche il demonio, era il tutto ed era il nulla. Rivolto verso il  mare, sconvolto dalla tempesta, con gli occhi spalancati, protendeva la sua  anima verso l’infinito, fin quasi a sentire il vuoto dentro se stesso.”

 

La ricerca dell’infinito, che assume la coloritura della Sehnsucht, l’ansia di Assoluto, delinea un individuo singolarmente  complesso, che si identifica con la “percezione del vuoto” di cui pure vuole essere vincitore e signore: “Lui era il figlio del paese delle nebbie, la coscienza infelice, solo, anche tra  la moltitudine.”

 

La figura hegeliana della coscienza infelice indica in maniera peculiare   un’illusione ottica dell’Io, che non si identifica con la realtà di cui è già parte senza averne consapevolezza. In questo senso tale concetto afferma una distanza che si ritiene erroneamente incolmabile tra  l’umano e il Divino, vivendo il dramma di una scissione  con l’armonia originaria. Armonia che solo l’amore può ricostituire, per creare un nuovo mondo e una nuova verità. E nello sforzo, immane, di superare l’abisso, Roberta Strano punta tutto sull’essenziale che, invisibile agli occhi, può essere colto solamente dal cuore…


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