Nel liceo di Amiens inaugurato un medaglione a Louis Thuillier, morto in Egittpo, dove era andato a studiare il colera. Che lo ha ucciso.
Ecco, erano così, i Romanzi in tre righe che ogni giorno, per anni e anni, Félix Fénéon pubblicava sul quotidiano Matin, con una perseveranza che non riuscì a dimostrare in nient'altro.
Tre righe, tre righe appena per raccontare un'intera storia. Per aprire una finestra su un mondo, per illuminare una vita quasi sempre riacciuffata dalla fine, per disegnare i confini di una tragedia familiare o di un fattaccio di cronaca nera.
Tre righe e un meccanismo implacabile. Un rigo per circostanziare personaggi e ambientazione, un rigo per narrare la vicenda, un rigo per chiudere a effetto. Non una lettera più del necessario. Tutto il resto, superfluo.
Qualche tempo fa Adelphi ne ha pubblicato una selezione in un bel libretto, che io consiglio soprattutto per un testo di Matteo Codignola che racconta chi era Félix Fénéon: straordinario personaggio che solo la Parigi fine Ottocento poteva partorire.
Anarchico, ma impiegato modello al ministero della Guerra.
Processato per un attentato e difeso da personaggi come Stéphane Mallarmé, secondo il quale l'unica cosa pericolosa che poteva maneggiare era la letteratura.
Autore di un libriccino di appena diciotto pagine (la brevità era evidentemente un suo imperativo) che di fatto consegnò al mondo gli Impressionisti.
Personaggio pubblico interamente dedito alla falsificazione, non di banconote ma di identità, una vita nascosta sotto pseudonimi (anche le lettere private le firmava con altri nomi)
Direttore di riviste che si permettevano di avere Gide come critico letterario e Debussy come critico musicale, ma in fondo smanioso di rovesciare tutte le parole in un grande buco nero di silenzio.
Ecco, il silenzio. Félix Fénéon, dice Matteo Codignola, era l'equilibrio perfetto fra la parola e il suo contrario. Uno degli intellettuali francesi più importanti - e decisamente meno in vista - era semplicemente celui qui silence. Colui che se ne sta zitto.