La maschera è caduta: non è l’euro che serve all’Europa, ma l’Europa che deve servire l’euro, ossia la finanza; tutta la politica possibile, l’unica possibile è contenuta dentro la moneta. La conferenza tra la Merkel e Sarkozy giunge a questo desolante approdo, all’adorazione del totem “pareggio di bilancio”, secondo gli scrupolosi i dettami dell’Fmi. Con una coda grottesca, l’esortazione devota agli altri Paesi di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione, una mossa che proprio pochi giorni fa alcuni tra i più noti economisti statunitensi hanno scongiurato Obama di non fare (qui).
Naturalmente agli dei della finanza e ai loro comandamenti devono essere sacrificate le società con le riduzioni del welfare, dei servizi, l’abbassamento di salari e stipendi, l’aggressione ai diritti conquistati e insomma alla vita civile nel suo complesso. Non è bastato che negli ultimi trent’anni la quota dei salari sia passata in Europa dal 68 al 57 per cento, portando uno straordinario trasferimento di risorse da molti a pochi. Con un picco particolarmente alto in Italia, dove, secondo le cifre di Mediobanca, le grandi imprese hanno accresciuto i loro profitti del 64% in un quindicennio e le imprese in generale (comprese quelle fallite) del 16%.
No, non è servito occorre fare molto di più grazie alla crisi che arricchisce i ricchi e tartassa i poveri. Del resto non è un caso che il culto del capitalismo monetario continentale sia stato introdotto ieri ufficialmente e con messa cantata da due personaggi che sono vissuti nel culto di un capitalismo visto dall’est e quindi buono per definizione, adorabile sotto qualunque forma. La Merkel, si sa, dalla Germania dell’Est, dove pure la famiglia e lei stessa non disdegnavano pastette col regime comunista, tanto che il padre, pastore protestante, poteva permettersi due macchine. Sarkozy, (in realtà Sarközy de Nagy-Bocsa) figlio di un conte ungherese fuggito quando l’armata rossa era alle porte e il nazismo si ritirava, un avventuriero sbarcato a Parigi che oggi dice Nicolas “è il più tonto dei miei figli”. Entrambi disposti a danzare attorno al totem e corposamente aiutati a rimanere in carica vuoi con la diplomazia, vuoi anche con albergatori e cameriere consenzienti.
Certo il pareggio di bilancio è solo lo strumento illusorio di un risanamento, anzi è un ripiego maggiore del male visto che deprime il Pil e crea problemi ancora maggiori. Una ricetta già rivelatasi controproducente ed estremamente negativa che fa pagare i guai creati dal liberismo alle popolazioni. Un illusione introiettata a tal punto che ogni evidenza viene cancellata da un meccanismo mediatico complessivamente adorante, da sinistre spesso incapaci di elaborazione, dal tentativo in parte riuscito di trasformare i cittadini in consumatori. Infatti gli unici ad avere consapevolezza dell’inganno sono proprio i mercati, il braccio armato della finanziarizzazione. E giocano al ribasso sapendo che la paura e lo sgomento per la caduta aiuta la trasformazione della democrazia in oligarchia.
Perché in realtà i soldi, sia pure fasulli, sia pure originati da bit o da sofisticate tipografie, se si vuole si trovano: negli ultimi anni la Fed ha aiutato le banche intasate da tossine finanziarie per la straordinaria cifra di oltre 13.000 miliardi dollari, vale a dire più di sei volte il debito pubblico italiano. E mi chiedo come si possa accettare tutto questo come se niente fosse e chiedere sacrifici o pareggi di bilanci. Ma certi sacerdoti storditi dall’incenso o intrigati dentro il divino gioco, gridano al lupo per tosare le pecore.
E per l’Italia guidata da guitti? Bè che dire vale il titolo di un racconto incompiuto di Fitzgerald «The High Cost of Macaroni»