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I sacerdoti di Silvio

Creato il 21 aprile 2011 da Albertocapece

I sacerdoti di SilvioAnna Lombroso per il Simplicissimus

Ceroni, Lassini, Alfano, Paniz, non occorre il mio prozio per identificare tratti comuni in questi archetipi dell’ubbidienza berlusconiana: mollicci, prelatizi, indistinguibili o quasi, sembra che il creatore un po’ stanco, la sera del sesto giorno, abbia sbozzato con la creta rimasta delle imitazioni di uomo soffiando senza entusiasmo un alito di vita in un bestiario di individui, votati a funzioni servili.
Il premier fa una accurata selezione del personale, mediante l’applicazione di criteri precisi propri dell’organizzazione aziendale. I candidati devono possedere, come un codice genetico, alcuni requisiti: fedeltà, spirito di appartenenza, lealtà acritica e incondizionata al padrone, servilismo, inclinazione all’oblio di principi e valori, incompetenza di ogni materia dello scibile, spregiudicatezza nei confronti di codici deontologici e derisione di leggi morali, arrendevolezza alla corruzione e suscettibilità ai condizionamenti.
A vederli mostrano una certa fierezza nell’accondiscendenza più cieca e ottusa ai voleri del loro capo indiscusso: come in una operosa fucina fabbricano provvedimenti e misure come fossero omaggi sacrificali. Che tanto le vittime, gli agnelli da immolare con voluttuosa adesione al disegno dispotico e autoritario sono sempre gli stessi: legalità, pubblico interesse, libertà e memoria della libertà conquistata, antifascismo, solidarietà, unità della nazione, equità e uguaglianza, diritti delle persone, partecipazione, democrazia. Con delle ricadute promosse e attese dal regime: l’esaltazione della contrapposizione manichea e della distanza incolmabile tra i cittadini “per bene” che si fanno gli affari loro e la casta, interessata alla perpetuazione di privilegi corporativi. L’alimentazione di diffidenza e paura che incrementano negli individui l’esercizio della delega insieme a una difesa solipsistica dei propri beni minacciati. L’allargamento delle differenze di stato, attraverso un sistema fiscale sempre più iniquo e l’erosione delle garanzie assicurate dalla stato sociale.
Il regime dell’incertezza vede premier e servi più o meno consapevolmente uniti intorno ad un fine che non è solo quello di salvare gli interessi e l’opulenza criminale del despota oltre che i suoi vizi e la sue patologie. C’è anche da parte sua il rancoroso intento di rendere tutti schiavi facilmente controllabili nell’ubbidienza e nei consumi. E da parte loro il desiderio, proprio di chi si crogiola in una accidiosa subalternità culturale, morale e sociale, di essere inferiori uguali tra altri inferiori.
L’uno e gli altri ci vogliono schiavi come loro. Dice Seneca, mostrami chi non lo è: chi è schiavo delle lussuria, chi dell’avidità, chi dell’ambizione, chi della paura.
Non so se sia vero l’antico paradosso, che solo la virtù rende liberi. A guardarli si direbbe che possiamo forse attribuire lo stesso potere all’intelligenza. E non dispero su altre passioni, la speranza, l’amore, la solidarietà. E sulla luce della ragione. Su beni non facilmente tassabili ma che producono un magnifico profitto.


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