Winter Whales War
Un titolo nato d’istinto ma che permette di dar sfogo alla nostra fantasia quello del nuovo album dei Sadside Project, duo formato da Gianluca Danaro e Domenico Migliaccio che suonano insieme dal 2009. Il loro incontro é stato casuale. Mentre in un garage si registravano cover di Jonny Cash, tra un take e l’altro, il chitarrista e l’aiuto fonico si sono trovati a suonare insieme e non hanno più smesso di farlo. Di lì a poco è arrivata la vittoria del Rock Contest, organizzato a Firenze da Controradio. “Siamo stati fortunati perché ci siamo ritrovati subito proiettati dal Sinister Noise davanti a trenta persone a Ostiense, fino a mille persone in un auditorium quindi è stato molto bello”.
I Sadside nascono come chitarra e batteria perché “scrivendo i pezzi direttamente in due non aggiungevamo altro; poi in realtà con il secondo disco ci siamo trovati a fare degli arrangiamenti più complessi e, pescando dall’underground cose che ci piacevano, abbiamo fatto collaborazioni”. Dopo un primo album garage rock suonato in presa diretta dal titolo Fairy Tales, un tour in giro per l’Italia e l’apertura a Roma e Firenze di due concerti dei Verdena, hanno iniziato a lavorare a qualcosa di diverso.
Il risultato é stato Winter Whales War, un album eclettico, capace di rendere naturale ed immediata la fusione di diversi generi musicali. Un sound ricercato nei minimi dettagli ma mai forzato, in cui ogni strumento, voce ed effetto sono in grado di ricreare, intorno a chi ascolta, immaginarie ambientazioni sempre differenti nel tempo e nello spazio. “La nostra scrittura è abbastanza intuitiva, è un po’ la sintesi di quello che ascoltiamo in quel determinato momento”.
Pezzi che partono pop dalla ricerca di una linea melodica con pianoforte e voce o chitarra e voce per poi prendere le diramazioni più diverse, con contaminazioni che passano dal rock, al blues, al folk, allo swing, all’RNB, senza mai abbandonare però quel timbro melodico che li rende molto orecchiabili. L’immediato paragone con i Black Keys e con i Bud Spencer Blues Explosion rischia di far perdere di vista il tratto caratteristico, che può spiazzare o affascinare, ma che rende comunque i Sadside non identificabili con un unico determinato genere musicale.
Dietro pezzi dai testi semplici sempre in inglese, lingua metricamente più affine, c’è un lungo studio per rimanere fedeli al genere e alla sua epoca. “Eravamo al servizio delle canzoni”.
Così vengono usati strumenti diversi a seconda che i pezzi abbiano progressioni armoniche attuali o atmosfere più vintage. Come in “1959”, un soul beat che ricorda il ballo liceale americano di fine anno, in cui, oltre a chitarre e batteria di quegli anni, il solo di chitarra “è fatto da mio padre che è di quegli anni”. Compaiono anche mandolino, tromba, un organetto anni ’70 acquistato in un mercatino romano e pedali analogici; tutto ciò per creare quel suono sporco, rotto, molto lo-fi, che contraddistingue l’intero disco.
E dato che “è bello quando vivi nella scena musicale e hai la possibilità di fare un lavoro un po’ più collettivo”, molti artisti hanno collaborato alla realizzazione di Winter Whales War, tra cui Roberta Sammarelli dei Verdena al basso e Adriano Viterbini dei Bud Spancer Blues Explosion alla chitarra. Una ciurma ubriaca composta da membri di alcuni gruppi underground forma il coro di “This is Haloween”, in cui 23 secondi all’indietro ci fanno entrare nell’esoterico mondo delle streghe, e ritorna nella traccia successiva, “Edward Teach also know as Blackbeard”, dedicata all’affascinante personaggio del pirata Barbanera.
Ma l’aspetto forse più particolare è l’uso di suoni campionati, dai rumori dei boschi dietro Cerveteri per ricreare lo scenario della foresta in “My favorite color”, a quello del mare, costante che ritorna in molti brani, metafora sicuramente inflazionata ma poche volte gestita con un tale sensibile realismo. L’infrangersi delle onde del mare infatti crea il sottofondo di “Sloop John B”, tradizionale anni ’30 ispirato alla versione dei Beach Boys e, nell’ultimo brano, che dà il titolo all’album, sempre il mare accompagna la lettura dei musicali e melanconici versi di “After the sea-ship” di Walt Whitman.
Ad un ascolto attento le nostre percezioni uditive e visive si fondono all’unisono nel viaggio di un marinaio attraverso le epoche, sballottato dalle musicalità tese delle onde del garage rock di “The same old story” e di “Molly”, alla violenta tempesta di “Nothing to lose blues”, con un desiderio costante che esplode nelle note di “ Hold fast”: quello di tenere duro fino al ritorno a casa.
“Non c’è una cronologia di significato ma tutto l’album è improntato nell’immaginario marinaresco perché fin da piccolo sono sempre stato molto affascinato da quell’ambiente, dall’idea del galeone, del viaggiare, della conoscenza di altri posti e anche dal viaggio come esperienza. Però, retorica a parte, anche esteticamente mi piace molto”. Un disco mai contenuto che nasconde una velata malinconia. “Penso che il nostro disco mascheri una sensazione di disagio, come se fosse un modo per uscire dalla situazione di staticità che hai nella vita se non hai interessi o comunque se fatichi a trovare un posto, una funzione”.
Questo ce lo dicono sottovoce, con la paura di cadere nel retorico, ed è facile cascarci usando la metafora del mare. Abbandonate quindi l’idea romantica dell’uomo che contempla le onde dell’oceano o del marinaio che gioca a dadi con la morte, perché non troverete questo nei dieci brani che compongono Winter Whales War.
No perché le note dei Sadside ci suonano che le parole non bastano. Ci chiedono cosa stiamo aspettando a svegliarci dagli abissi del sonno, a cessare di ripetere quei gesti ormai meccanici come l’infrangersi delle onde. E tra l’inizio e la fine del mare cantano, in mezzo a tanti corpi immobili, quell’unico io elettrico che da solo è in grado di trovare la sua strada. La strada per tornare a casa. Vivo.
a cura di Elisabetta Rapisarda All rights reserved
Per contatti: www.sadsideproject.bandcamp.com
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